Nel finale del libro, Zeno Cosini confessava la sua difficoltà nell'esprimersi non tanto in italiano ma in toscano. Trieste, allo scoppio della Grande Guerra era una città austriaca, perché sviluppatasi - per come la conosciamo - grazie all'impero austriaco che da piccolo borgo l'aveva trasformata in una città bella e prospera. L'italiano era insieme al dialetto locale e allo sloveno, una delle lingue, oltre al tedesco (o se si vuole all'austriaco, considerandone le differenze di pronuncia) che si parlavano a Trieste e dintorni a supporto del multiculturalismo che caratterizzava quell'area.

Dopo che i fascisti presero il potere,  in tutta Italia iniziò una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali, e in funzione di ciò Mussolini, lo statista di riferimento dei (post) fascisti attualmente al governo, avviò una campagna di italianizzazione dell'Istria e della Dalmazia dove vennero persino imposti i cognomi italiani  a decine di migliaia di croati e sloveni.

Proprio a Trieste, una prima avvisaglia di quanto i fascisti fossero carogne, si ebbe con l'incendio del Narodni dom (in sloveno Casa nazionale, Casa del popolo), nel luglio del 1920.

Fino al 1943, quelle zone furono oggetto di colonizzazione e rappresaglia... con gli italiani che facevano quello che gli ebrei israeliani stanno stanno facendo oggi nei Territori Occupati appartenenti al popolo palestinese.

"... Si informano le popolazioni dei territori annessi che con provvedimento odierno sono stati internati i componenti delle suddette famiglie, sono state rase al suolo le loro case, confiscati i beni e fucilati 20 componenti di dette famiglie estratti a sorte, per rappresaglia contro gli atti criminali da parte dei ribelli che turbano le laboriose popolazioni di questi territori..."

Questo è quello che facevano i fascisti da quelle parti, come dimostra parte del proclama precedente, del maggio 1942, pubblicato dal Prefetto della Provincia di Fiume, Temistocle Testa.

Caduto il fascismo, la vendetta di cui furono protagonisti i colonizzatori italiani è stata la logica - non certo dovuta - conseguenza delle crudeltà di cui in precedenza si resero responsabili, fascisti, nazisti e ustascia. Quando si commemorano le vittime delle foibe, i (post) fascisti odierni di tutto ciò non dicono nulla, anzi si guardano bene dal dirlo.

I profughi istriani erano stati per lo più colonizzatori fascisti e al tempo del loro ritorno in Italia, per tale motivo, furono guardati con sospetto e trattati con poca compassione. Alcuni di loro, nonostante tutto, non vollero abbandonare il fascismo, confluirono nel MSI, e fondarono la storica sezione di Colle Oppio, in cui si è formata la classe dirigente (post) fascista che ha fatto da mentore all'attuale ducetta che oggi occupa Palazzo Chigi.

È a seguito di questa storia che Giorgia Meloni, che evita come la peste qualsiasi ricorrenza che la possa associare ai partigiani e alla resistenza, che oggi si è esaltata con la celebrazione del 70° anniversario del ritorno di Trieste all'Italia. Questo il suo intervento:

"Settant'anni fa, il 26 ottobre 1954, sotto una pioggia battente ed un impetuoso vento di bora, una moltitudine di donne e uomini accoglieva le truppe italiane che entravano a Trieste. Tutta la città aveva vegliato quella notte, aveva aspettato i soldati col Tricolore per abbracciarli e con loro stringersi di nuovo al resto della Nazione. Quel giorno, la Patria tornava a Trieste e Trieste tornava alla Patria. Una giornata scolpita nella memoria del popolo italiano, arrivata al culmine di una lunga storia d'amore e di sofferenze, di sconfitte e di vittoria, di amarezze e di speranze.Se nella Prima guerra mondiale Trieste era stata il simbolo del compimento del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, al termine della Seconda guerra mondiale la città ha incarnato una storia completamente diversa. I quaranta giorni di occupazione jugoslava, i massacri delle foibe, l'amministrazione angloamericana e l'incombere delle conseguenze di un trattato che separava Trieste dall'Italia, confinandola a “Territorio Libero”. Alla perdita delle province dell'Adriatico orientale - Pola, Fiume e Zara -, e al conseguente esodo degli italiani da quelle terre, si aggiunse una nuova “questione Trieste”, città contesa tra Italia e Jugoslavia, tra mondo libero e mondo comunista. Ma la questione triestina non è rimasta mai confinata alla disputa diplomatica tra le cancellerie e ai rapporti tra i governi. È stata una questione di popolo, che ha infiammato i cuori di un'intera generazione di italiani, animato il dibattito culturale e di costume. I giovani di ogni città dello Stivale sfilavano con il Tricolore e la bandiera di Trieste, su cui si staglia l'alabarda di San Sergio, e a Sanremo si cantava il volo di una colomba bianca che era al contempo una dichiarazione d'amore, il saluto e la promessa del ritorno di Trieste all'Italia. Nel novembre 1953, la rivolta di Trieste contro gli inglesi, innescata da un Tricolore strappato, aveva costituito la premessa del riscatto. I sei caduti di quelle giornate, tra cui un giovanissimo esule zaratino di appena 14 anni, Pierino Addobbati, hanno fatto rivivere alla Nazione la spinta ideale di un rinnovato Risorgimento. Mi auguro che il settantesimo anniversario del ritorno di Trieste all'Italia sia l'occasione per rinnovare una promessa e fissare nuovi traguardi da raggiungere. Quella promessa è ribadire la dichiarazione di fedeltà alla Patria, alla sua identità, ai suoi valori, ai suoi simboli, proiettando nel futuro la storia di cui siamo eredi. Oggi Trieste non è più la città della periferia d'Italia e dell'Europa, ma è al centro di un'Europa radicata in una comune identità fatta di radici, libertà, democrazia, lavoro e opportunità. È una città che, per la sua posizione geografica, è al centro di snodi strategici e può ambire a diventare una grande piattaforma logistica proiettata sull'Adriatico, e dunque del Mediterraneo e non solo.Penso alle grandi prospettive di crescita che potrebbero arrivare dallo sviluppo del corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, a cui l'Italia ha contribuito a dare vita in ambito G20. È una iniziativa strategica fondamentale, di cui intendiamo essere protagonisti e nella quale possiamo svolgere un ruolo decisivo. Trieste, allo stesso tempo “la più italiana” e “la più mitteleuropea” tra le città italiane, è anche un ponte naturale tra l'identità italiana e latina, con quella dei popoli slavi e germanici a noi più vicini. Questo ci consente di giocare un ruolo da protagonista anche nella proiezione verso i Balcani Occidentali, regione che da sempre ha un'importanza fondamentale per l'Italia. Tutto ciò che accade al di là dell'Adriatico ci interessa e noi abbiamo una grande responsabilità nei confronti di una regione che non può rimanere ancora a lungo fuori dalla casa comune europea. Anche e soprattutto per questo, l'Italia continuerà a lavorare affinché il processo di riunificazione dei Balcani occidentali all'Europa possa proseguire, con slancio e determinazione.Ma Trieste - con le sue imprese, il suo tessuto produttivo, la sua proiezione marittima -, può giocare un ruolo importante anche per sostenere l'innata vocazione geopolitica dell'Italia a guardare verso Sud, il Mediterraneo allargato e l'Africa, anche con la spinta propulsiva del Piano Mattei, che significa approccio positivo, paritario e non predatorio con i popoli e le Nazioni di quel continente.70 anni fa Trieste tornava all'Italia. Oggi celebriamo questa lunga storia d'amore, con l'alzabandiera solenne in Piazza dell'Unità d'Italia, i tricolori alle finestre e gli occhi al cielo per ammirare la meraviglia delle Frecce Tricolori.L'anima di Trieste, intrisa di un'italianità profonda e tormentata, chiede prospettive, orgoglio, futuro. E noi siamo pronti a sostenere quest'ambizione. Perché Trieste è parte di noi. Trieste è Italia".

Spulciando nella bislacca retorica del suo "intervento", qualcuno riesce a trovare un vago accenno a quanto riportato in precedenza? No. E non ci sarebbe da stupirsene se almeno, invece di conservatrice, Meloni si definisse per quello che è... una (post) fascista.