Apartheid è un termine coniato nell’Unione Sudafricana (dal 1961 Repubblica Sudafricana) per designare la politica di segregazione razziale e il sistema istituzionale e sociale in cui tale politica si è tradotta.

Praticata fin dalla nascita (1910) dello Stato sudafricano, con misure quali il Natives land act del 1913, che vietava agli indigeni l’acquisto di terre al di fuori delle riserve (bantustan/">bantustan, pari al 13% del territorio sudafricano), la politica di apartheid fu teorizzata a partire dagli anni 1930, soprattutto per iniziativa del National party, e trovò un particolare sviluppo dopo l’avvento di quest’ultimo al governo (1948).

Con una serie di provvedimenti legislativi (a cominciare dal Population registration act del 1950, che stabiliva la sistematica classificazione razziale della popolazione) fu edificato un complesso sistema segregazionista, che a partire dagli anni 1960 vide anche la concessione di una formale "autonomia" ai bantustan.

La politica di apartheid fu condannata a partire dal 1959 con un movimento di boicottaggio nato in Gran Bretagna con lo scopo di supportare i neri sudafricani. L'anno successivo, dopo quanto accaduto a Sharperville dove 69 manifestanti disarmati furono uccisi dalla polizia sudafricana, l'Anti Apartheid Movement (AAM) intensificò il suo impegno, trasformando il semplice boicottaggio in una campagna per l'imposizione di sanzioni economiche e il totale isolamento del Sudafrica dell'apartheid.

Questa campagna portò, nel tempo, ad escludere il Sudafrica da numerose competizioni sportive e dal 1970 gli fu vietata la partecipazione ai Giochi Olimpici, fino a costringere le Nazioni Unite ad imporre a quel Paese sanzioni economiche a partire dalla metà degli anni '80.

La fine dell'apartheid fu sancita solo nel 1994, data in cui si svolsero le prime elezioni a suffragio universale nella storia del paese.

Il contenuto precedente è quanto riportato, con l'aggiunta di qualche integrazione, dall'enciclopedia Treccani per descrivere il significato del termine apartheid.

Al giorno d'oggi esiste nel mondo una nazione che pratichi tale politica? In base a quanto pubblicato nel marzo 2017 dall'ESCWA (United Nations Economic and Social Commission for Western Asia), una commissione delle Nazioni Unite, tale nazione esiste, ed è Israele. Il rapporto, ritirato dall'Onu esclusivamente per motivi diplomatici, è redatto in termini tali da analizzare il problema non in base a generiche accuse, ma su basi legali, raffrontando la legislazione israeliana con documenti riconosciuti internazionalmente, come l'Apartheid Convention e lo Statuto di Roma, che contribuiscono a identificare le politiche di apartheid.

Si potrebbe corredare questa premessa con la vicenda di Ahed Tamimi, la ragazzina palestinese incarcerata da mesi in attesa di un processo in cui rischia una condanna a 10 anni per aver "osato" schiaffeggiare due soldati israeliani, rapportandola a quella di un soldato israeliano che ha ammazzato a bruciapelo un combattente palestinese ferito ed inerme subendo una condanna a neppure due anni di carcere, ma sarebbe solo una delle tante ingiustizie che quotidianamente la popolazione palestinese è costretta a subire dal 1967.

Pertanto, veniamo al dunque, e cioè chiederci come sia possibile che una manifestazione sportiva, oltretutto italiana, celebri il 70esimo anniversario della nascita di Israele consentendo di far disputare la tappa inaugurale del Giro d'Italia a Gerusalemme Ovest che, in quel periodo, sarà pure riconosciuta come capitale dagli Stati Uniti?

È evidente, come già le polemiche suscitate dall'indicazione di Gerusalemme Ovest sul percorso del Giro dovevano far capire fin da subito, che Israele dà a tale iniziativa un significato preminentemente politico. Come è possibile che una manifestazione sportiva possa celebrare uno Stato che applica una politica di apartheid opprimendo da 51 anni una popolazione a cui non sono riconosciuti i diritti che lo sport vorrebbe promuovere?

E che dire degli sponsor della manifestazione? I marchi che sponsorizzano il Giro d'Italia e i suoi protagonisti pensano di poter acquisire prestigio e clienti nel promuovere una manifestazione che celebra uno Stato in cui i diritti dei palestinesi vengono giornalmente calpestati? Enel, Mediolanum, Segafredo, EuroSpin, Rovagnati, Fiat, Sangemini, Castelli... solo per citarne alcuni a cui vanno aggiunti quelli delle varie squadre partecipanti, non hanno nulla da dire al riguardo? Per loro è tutto normale?

Perché non chiederglielo? Suggerirei di farlo a chiunque abbia letto queste poche righe. Personalmente lo farò senz'altro, anche con insistenza, e le risposte che otterrò non mancherò di farle conoscere.