A tre giorni di distanza da Trump, anche Hillary Clinton ha presentato il suo programma economico. Non a caso, anche lei per farlo ha scelto Detroit, in Michigan, uno stato che nelle primarie del marzo scorso aveva decretato la vittoria di Bernie Sanders con un distacco di ben dieci punti percentuali.
Il Michigan è uno degli stati più colpiti dalla recessione, in cui la desertificazione industriale ha creato delle vere e proprie città fantasma. Ed è lì che la candidata democratica deve cercare di recuperare consensi fra quello che resta della classe operaia.
Niente di più efficace, quindi, che cominciare il discorso con una captatio benevolentiae, nel ricordo del nonno, operaio in una fabbrica, e del padre piccolo imprenditore, con l'auspicio che ogni famiglia americana possa raccontare una storia come la sua, iniziata da umili origini.
Quello di "un'economia che funziona per tutti, non solo per chi è al vertice" è lo slogan della candidata democratica fin dall'inizio della sua campagna.
Questa volta, ha fornito qualche dettaglio in più sul modo in cui intende raggiungere il suo obiettivo e questo ci consente di mettere a confronto il suo programma economico con quello di Trump, analizzando i punti principali.
Occupazione e Salari
Clinton. La sua priorità è quella di creare nuovi posti di lavoro, principalmente attraverso investimenti in infrastrutture pubbliche, quali ponti, strade, connettività, energie rinnovabili, per complessivi 275 miliardi di dollari in cinque anni, reperiti grazie ad una nuova politica fiscale.
Questo dovrebbe stimolare gli investimenti privati e garantire 10 milioni di posti di lavoro entro il 2020, come sostiene Moody's convinta dalle proposte di Hillary, grazie anche ad una ripresa dell'attività industriale nel Mid-West.
Sul fronte dei salari, è favorevole ad un innalzamento a 12 dollari/ora, a condizione di una maggiore produttività.
Trump. Intende anche lui creare occupazione mediante non meglio specificati investimenti in infrastrutture, ma soprattutto riportando la produzione negli Stati Uniti. Sono diventati ormai una costante i suoi attacchi ad Apple e la promessa, difficile da mantenere, di costringerla a produrre i suoi iPhone in America.
Contrario fin dall'inizio della campagna elettorale ad un aumento del salario minimo da 7,25 a 10 dollari all'ora, sembrerebbe aver recentemente cambiato idea, come ha lasciato intendere in alcune interviste.
Politica fiscale
Clinton. Una maggiore giustizia sociale, attraverso un aumento delle tasse sui redditi più alti. Condivide quella che è comunemente definita la "regola Buffett", proposta appunto dal miliardario Warren Buffett ("i miliardari non possono pagare meno tasse delle loro segretarie"), con un imposizione minima del 30% sui redditi superiori al milione di dollari e un ulteriore 4% oltre i 5 milioni.
Abolizione dei paradisi fiscali e semplificazione della normativa fiscale per le piccole aziende fanno parte del suo programma, insieme ad un credito fiscale per le imprese, che prevedono una partecipazione ai profitti, e il mantenimento della tassa di successione.
Trump. Le sue idee ricordano da vicino la Reaganomics: una politica tesa a favorire i redditi alti provoca una ricaduta di cui beneficiano coloro che hanno un reddito basso. La realtà ha dimostrato che le cose non funzionano proprio così.
Il tetto all'imposta sul reddito dovrà essere del 33%, e per le imprese è previsto un taglio netto, con un massimo che si attesta al 15%. La tassa di successione sarà abolita, cosa che, fra l'altro, ai suoi eredi farà risparmiare quattro miliardi di dollari.
Commercio
Clinton. Un tasto particolarmente delicato per Hillary, che deve scontare i peccati di Bill, responsabile di aver sottoscrito il NAFTA, l'accordo di libero scambio fra i paesi del continente nord-americano, che ha favorito la delocalizzazione di molte imprese.
L'ex-segretario di Stato ha già preso le distanze dal NAFTA, dopo che Sanders ne aveva fatto un cavallo di battaglia della sua campagna, e ha dichiarato che, da presidente, si opporrà al TTP (Transpacific Trade Partnership), un analogo trattato con i paesi dell'Estremo Oriente.
Trump. Contrario a tutti gli accordi per il libero commercio, intende non solo opporsi al TTP e al TTIP con l'Europa, ma anche rinegoziare il NAFTA.
La sua idea dell'America è quella di un paese quasi autarchico, che dovrebbe riportare al suo interno tutta la produzione industriale.
Energia
Clinton. Energie rinnovabili ed una ristrutturazione delle rete elettrica sono due aspetti fondamentali del suo piano per il rilancio dell'economia.
Sulla lotta ai mutamenti climatici, è in completa sintonia con Barack Obama e intende fare degli Stati Uniti il più grosso produttore di energia pulita del mondo, attraverso una politica di investimenti che coinvolgerà anche le amministrazioni locali.
Trump. In senso diametralmente opposto la sua politica energetica. Per lui i mutamenti climatici sono una bufala inventata dai cinesi per rendere meno concorrenziale l'economia americana.
Quindi, stop al risparmio energetico e ritorno al pieno utilizzo delle energie fossili. Con lui presidente, l'accordo sul clima di Parigi diventerà carta straccia e gli Stati Uniti non finanzieranno più i programmi ambientali delle Nazioni Unite. Più chiaro di così...