Donald Trump, colui che dal prossimo anno potrebbe ricoprire la carica di presidente degli Stati Uniti, apre oggi ufficialmente il "Trump International Hotel" di Washington, un hotel super-lusso risultato della trasformazione dell'edificio che ospitava la sede delle Poste, situato sulla principale strada della città, la Pennsylvania Avenue, che unisce la Casa Bianca al Campidoglio. In pratica, che venga eletto o meno l'ormai famoso tycoon sarà comunque alla Casa Bianca o almeno nelle sue vicinanze.

Non si tratta di una vera e propria inaugurazione, ma di una sorta di soft-opening, che consentirà al nuovo albergo di essere pienamente operativo per il mese di gennaio, quando sarà inaugurato ufficialmente, in occasione della cerimonia di assunzione della carica da parte del nuovo presidente.

Un hotel super-lusso nell'edificio del vecchio ufficio delle Poste
Una notte in una delle 263 camere dell'hotel, tutto marmo e decorazioni in oro, non costerà meno di 800 dollari. Chi, invece, intende pernottare in una suite, spenderà 33 mila dollari per la Townhouse e mezzo milione di dollari per la suite presidenziale.

L'hotel occupa l'Old Post Office, un edificio costruito nel 1902 e rimasto per molti anni vuoto. La manutenzione e la gestione costavano alle casse dello stato oltre 6 milioni di dollari all'anno e così nel 2008 è stata approvata una legge che consente di dare in concessione edifici pubblici ai privati.

Fu indetta una gara e fra i progetti presentati ce n'era uno che prevedeva di trasformare l'edificio in un hotel della catena Hyatt, riservando, però, una parte alla realizzazione di un museo della cultura ebraica. Nonostante che questo fosse il progetto che sembrava aver incontrato il favore degli esaminatori, a sorpresa, dopo lunghe trattative, il vincitore risultò proprio Donald Trump.

Non è molto chiaro come si sia arrivati a questa decisione, perché i documenti sono stati resi pubblici ma con molti omissis, per decisione del tribunale, e quando ormai non era più possibile tornare indietro.

Un investimento da 200 milioni di dollari
Quello che è noto è che, a un certo punto, Trump si è presentato con un assegno di oltre 200 milioni di dollari e ha ottenuto una concessione che durerà 60 anni. La domanda che tutti si fanno è: dove ha preso i soldi?

170 milioni di dollari sono un prestito della Deutsche Bank, che sembra esser diventata ormai la banca ufficiale di Trump. A questi si aggiungono 42 milioni che verrebbero direttamente dalle tasche di Trump, che però non dice dove li ha presi. La cosa strana è che dalle prime stesure del progetto risulta che, all'inizio del 2013, la partecipazione di Trump era di soli 2,4 milioni di dollari.

A gestire l'affare del nuovo "Trump International Hotel" sono la DJT (sta per Donald J. Trump) Holdings LLC, che ha una quota del 77 per cento, e una serie di società intestate ai tre figli maggiori (Ivanka OPO LLC, Don OPO LLC e Eric OPO LLC), che insieme detengono il 22 per cento, ma che risultano non aver investito una lira, meglio... un dollaro.

In tutto questo non c'è niente di illegale, intendiamoci, ma certo è abbastanza strano che il governo americano faccia un accordo della durata di 60 anni con un uomo dal passato, diciamo così, un po' movimentato e che, magari, fra pochi mesi diventa anche presidente. Come risulta dai seppur pochi documenti resi noti dall'immobiliarista di New York, il suo indebitamento è di oltre 315 milioni di dollari, in larga parte verso le banche.

Precedenti poco confortanti
Per ben quattro volte Trump è dovuto comparire davanti al tribunale fallimentare. Clamoroso è stato, negli anni 90, il fallimento del "Taj Mahal", il casinò di Atlantic City, da lui stesso definito l'ottava meraviglia del mondo che dovette chiudere dopo appena un anno.

Trump e i suoi conoscono troppo bene i meccanismi del sistema finanziario americano, perché il miliardario possa fallire a titolo personale. Tuttavia per risollevarsi ha dovuto cedere partecipazioni in diversi casinò, vendere il suo yacht e, perfino, una linea aerea.

La vicenda è già finita in tribunale
All'interno del nuovo hotel avrebbero dovuto aprire i loro ristoranti due famosi chef, José Andrés e Geoffrey Zakarian, che dopo la firma dei contratti si sono rifiutati, quando hanno sentito Trump definire, in campagna elettorale, i messicani degli stupratori.

La vicenda è finita in tribunale e, durante le udienze, si è scoperto che per l'intero affare del "Trump International Hotel" esistono due piani industriali, uno ad uso interno, più realistico che tiene conto dei rischi, ed uno "per altri scopi". Se fosse stata la presentazione di quest'ultimo piano a far vincere la gara a Trump, la vicenda assumerebbe veri e propri contorni penali.

Infatti, alla General Services Administration, proprietaria dell'immobile, oltre ai tre milioni di dollari di affitto all'anno, andrà anche una percentuale dei guadagni derivanti dalla gestione. Se i numeri fossero stati ritoccati per avere la meglio sugli altri partecipanti, le responsabilità sarebbero gravissime.