Dopo esser partito dall'eroporto di Ciampino, Papa Bergoglio è stato accolto al suo arrivo all'aeroporto di Genova dal cardinale Bagnasco, insieme alle principali autorità. Ed è così iniziata la visita pastorale all’Arcidiocesi di Genova che lo vedrà impegnato per l'intera giornata in una fitta rete di appuntamenti.
Di seguito è riportato il resoconto del primo incontro che è stato con i lavoratori dell'Ilva. Papa Francesco ha iniziato, ricordando che anche per la Chiesa il lavoro è una priorità, «perché è quel primo comando che ha dato ad Adamo. Fa crescere la terra, lavora la terra, dominala. C’è sempre stata una amicizia tra la Chiesa e il lavoro, a partire da Gesù lavoratore. Dove c’è un lavoratore lì c’è l’interesse della Chiesa.»
«L’imprenditore deve essere prima di tutto un lavoratore - ha ammonito il Papa. - Nessun buon imprenditore ama licenziare la sua gente: chi pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando gente non è un buon imprenditore, è un commerciante! Oggi vende la sua gente, domani vende la dignità propria».
Fare impresa non vuol dire essere o diventare speculatori: «L’imprenditore non va assolutamente confuso con lo speculatore, sono due tipologie diverse: lo speculatore è una figura simile a quella che Gesù nel Vangelo raffigura come un mercenario, per contrapporlo alla figura del Buon Pastore. Lo speculatore usa l’azienda e i lavoratori per fare profitto. La sua è un’economia senza volti, non ci sono le persone. Quando l’economia perde contatto con il volto, con le persone concrete, essa stessa diventa senza volto, quindi un’economia spietata.»
Dialogando con i lavoratori dell'Ilva, Bergoglio ha ricordato che il lavoro deve essere riscatto sociale e non ricatto sociale: «Attorno al lavoro si edifica l’intero patto sociale, perché quando non si lavora, o si lavora male, poco o troppo, è la democrazia che entra in crisi, è in crisi tutto il patto sociale.
E’ anche questo il senso dell’articolo primo della Costituzione italiana, che è molto bello: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Possiamo dire che togliere il lavoro alla gente, sfruttare la gente con lavoro nero o malpagato, è anticostituzionale.»
Un riferimento alla Costituzione quanto mai opportuno, visto che molti politici "giovani e dinamici" e che si dicono pure cattolici hanno fatto leggi in senso del tutto opposto rispetto allo spirito del primo articolo della Costituzione.
Poi, Francesco ha parlato anche di reddito e pensioni, affermando che «l’obiettivo vero da raggiungere non è un reddito per tutti, ma il lavoro per tutti, perché senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti.
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Il lavoro di oggi e di domani sarà diverso, forse molto diverso, pensiamo alla rivoluzione industriale, ma dovrà essere lavoro, non pensionati, lavoro. Si va in pensione all’età giusta, è un atto di giustizia, ma è contro la dignità delle persone mandarle in pensione a 35-40 anni, dargli l’assegno dello Stato e avanti.
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Voi sapete la percentuale di giovani disoccupati dai 25 anni in giù che ci sono in Italia? Cercate le statistiche. Questa è un’ipoteca per il futuro, perché questi giovani crescono senza dignità, perché non hanno il lavoro che è quello che dà la dignità. Un assegno statale, mensile che ti faccia portare avanti la famiglia non risolve i problemi. Il problema va risolto col lavoro per tutti.»
Infine, papa Francesco, pooco in linea con il dinamismo della politica 2.0 tanto di moda di questi tempi, ha pure parlato di meritocrazia nel mondo del lavoro: «Molti lavori della grande economia e finanza non sono in linea con la tradizione cristiana, e dunque con l’umanesimo cristiano. Quando un’impresa crea un sistema di incentivi individuali che mettono i lavoratori in competizione tra loro può ottenere qualche vantaggio, ma finisce per eliminare quel tessuto di fiducia che è l’anima ogni organizzazione. E così quando arriva una crisi l’azienda si sfilaccia e implode, perché non c’è più nessuna corda che la tiene. Bisogna dire con forza che la cultura competitiva dei lavoratori dentro un’impresa è un errore, e quindi è una visione che va cambiata.
Al di là della buona fede di tanti che la invocano, la meritocrazia sta diventando la legittimazione etica delle disuguaglianza - un disvalore, l'ha definita il Papa. - E il nuovo capitalismo tramite la meritocrazia crea disuguaglianze. Se due bambini alla nascita nascono diversi per talento, li remunererà diversamente, così quando due bambini andranno in pensione la disuguaglianza tra di loro ci sarà.»
E per ultimo il Papa ha voluto ricordare un altro disvalore, quello della povertà, per cui «il povero è considerato non meritevole e quindi un colpevole: e se la povertà è colpa del povero, i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa. Non è la logica del Vangelo, non è la logica della vita! La meritocrazia è quella del fratello maggiore della parabola del figliol prodigo: lui disprezza il fratello minore e pensa che deve rimanere un fallito perché se l’è meritato.»