MARCELLO LIPPI
"In nerazzurro non ero ben visto perché difendevo la mia juventinità, questo per loro non andava bene.
Ad Appiano non feci molto bene, nessuno accettava il mio modo di giocare.
A Torino ho vinto perché lavoravamo più e meglio di tutti.
In carriera ci sono alti e bassi.
Ho avuto tantissimi alti, l'Inter è un basso, come altri che ho avuto.
Il perché non è più importante: era una grande squadra, un grande ambiente, ma non è andata benissimo, tutto qua".
MARCELLO LIPPI ricorda la sua avventura all'Inter
PAOLO MALDINI
"Mio padre non mi ha mai spinto, né ha preteso per me scorciatoie.
A 10 anni arrivo al Milan e il tecnico gli chiede: 'Signor Maldini, dove lo faccio giocare?'.
'Ah, non so, veda lei', disse, e andò in un angolo della tribuna, il più lontano possibile dal campo.
Mio padre diceva: “comportati bene, sii onesto, impegnati sempre al massimo e il 90% è fatto”.
Ora invece è tutto più difficile: ci sono ragazzi che a 13 anni hanno il procuratore e lo sponsor tecnico, ci sono genitori convinti di avere in casa il nuovo Messi, e gli scaricano sulle spalle le loro aspettative, ci sono allenatori che pensano solo alla classifica e non alla crescita mentale del ragazzo, che magari arriva da lontano e non ha il sostegno della famiglia...
La voce di "figlio di" mi ha accompagnato fino alla prima squadra.
'Giochi solo perché sei il figlio di Maldini', voci di avversari, ma anche di genitori dei miei compagni.
Non è stato facile, ma alla fine penso di essermela cavata bene.
Mi piace ricordare mio padre, che sapeva essere sempre ironico, con una frase bellissima: 'Lui non è più il figlio di Cesare, io sono diventato il padre di Paolo'."
PAOLO MALDINI
ANDREA PIRLO
"La stanza numero 205 di Coverciano, spartana, fatta di due letti
singoli, un bagnetto e un terrazzino è stata la camera dei segreti, prima da condividere con Nesta e poi con De Rossi, i due estremi della romanità. Laziale Sandrino, romanista Daniele, in Germania uniti da una sofferenza interiore difficile da gestire. Ci abbiamo provato insieme, noi tre e basta. Nesta si è infortunato subito, contro la Repubblica Ceca nel girone eliminatorio. Quanti
pianti, quante tensioni, era mezzo esaurito e si rifiutava di parlare con chiunque, a parte noi. Lippi ogni tanto ci lasciava la serata libera, lo portavamo fuori a cena, tentavamo in tutti i modi di farlo distrarre, eppure lui continuava a ripetere una
frase: "Non mi sento parte di questa squadra, mi faccio sempre male". Una volta dovevamo tornare in macchina da Düsseldorf, la prima città nelle vicinanze del nostro ritiro di Duisburg, guidava lui (c'era anche Barzagli). In autostrada prima
io e poi Daniele, dal nulla, abbiamo urlato la stessa cosa: "Stai sbagliando strada, devi uscire qui, ad Ausfahrt".
"Ma..."
"Ma cosa? Esci Sandrino. Esci."
"Siete sicuri?"
"Certo che lo siamo. Esci, esci subito, sennò torniamo in ritardo e ci tocca pagare una multa."
Con una mossa spericolata, tipo passando da cento all'ora a zero in cinque secondi, con frenata secca seguita da una sterzata verso una curva a gomito, ha seguito le nostre indicazioni. Ovviamente ci siamo ritrovati in un posto spettrale, senza luci, con campi tutto intorno, tipo quelli di Grano rosso sangue, il peggior
film che abbia mai visto. Ci eravamo persi. Io e Daniele ridevamo, Nesta si preoccupava: "Ma cosa cazzo c'avrete mai da ridere, e adesso come torniamo indietro?".
"Sandrino..."
"Porca puttana, già leggo sui giornali tutti i giorni che perdo i pezzi, ora scriveranno anche che sono il primo calciatore italiano disperso nella storia del Mondiale."
"Sandrino..."
"Aò, ma 'ndo cazzo siamo finiti?"
"Sandrino..."
"Ma la smettete di ridere? Cosa volete?"
"Sandrino, ausfahrt in tedesco vuol dire uscita..."
Non ci ha menati altrimenti si sarebbe fatto male anche al braccio, però la voglia c'era. Non pensavo che un essere umano potesse imprecare tanto quanto lui quella notte, però avevamo raggiunto lo scopo: per qualche ora aveva pensato ad altro, si era divertito."
Andrea Pirlo
GAZZA
"Ero nel mio letto erano le tre o le quattro del mattino e mia moglie mi dice:” C’è qualcuno al piano di sotto”.
Così, ascoltando, ero abbastanza sicuro che potevo sentire qualcuno al piano di sotto. Così sono sceso prendendo un ferro da stiro. Vado di sotto e sento rumori provenire dalla cucina.
Quindi penso: ‘Che cosa ha intenzione di fare qui? Devo solo reagire, qualsiasi cosa accada’. “Quindi apro la porta della cucina e quello che vedo è Paul Gascoigne davanti al mio frigo“, racconta divertito McCoist. “Sono le tre e mezza del mattino e lui non si gira nemmeno, gli dico: ‘Paul, cosa stai facendo?’. Lui nemmeno si gira e mi dice: “Sto facendo un panino”.
Così gli ho ricordato che erano le tre e mezza del mattino: “Lo so, ma mi sono svegliato e non potevo tornare a dormire, avevo fame e non avevo cibo nel frigo”.
Quindi gli chiedo come è riuscito a entrare e mi ha risposto così: “Ricordo che tre o quattro settimane fa eri al telefono con la tua signora e le hai detto che avevi lasciato la chiave di riserva in una borsa sotto la quercia, me lo ricordavo e pensavo che sarei venuto usando la tua chiave per fare un panino”.
Così sono tornato su per le scale e la mia signora mi ha detto: ‘Cosa sta succedendo?’.
Le ho risposto: ‘Ah, stai tranquilla, è solo Paul che è venuto per farsi un panino’“
ALLY MCOIST, ex nazionale Scozzese
SEEDORF
"La serie A non è quella che vedete oggi, è quella che il mondo ha conosciuto fra gli anni 90 e la metà degli anni 2000, un posto in cui solo i più forti riuscivano a imporsi e in cui almeno 7-8 squadre erano serie contendenti al titolo.
Persino la lotta per la UEFA era infuocata.
In questo grande palcoscenico Juventus e Milan si contendevano il titolo e spadroneggiavano ovunque. Le gare con la Juventus erano molto sentite, nel corso del tempo noi avevamo avuto Dida, Maldini, Nesta, Cafu, Gattuso, il sottoscritto, Kakà, Inzaghi, Shevchenko, loro avevano Buffon, Thuram, Ferrara, Montero, Nedved, Camoranesi, Trezeguet, DelPiero.
Proprio a proposito di quest'ultimo Carlo Ancelotti era molto preoccupato. "Nedved va fermato con le cattive, Camoranesi con la tattica, Del Piero dovete inventarvi qualcosa, ma state attenti".
Il mister lo conosceva bene e negli allenamenti alla Juventus lo aveva descritto come disumano, un aggettivo che considero riduttivo.
Io e Alex siamo amici da un po', c'è rispetto reciproco perché apparteniamo allo stesso tipo di calcio, così diverso da quello attuale, così profondamente più vero.
Dico sul serio: c'è una grande differenza. In vista delle gare contro la Juventus gli allenamenti raddoppiavano e restavamo fino a tarda serata, con i difensori, a capire come neutralizzarli.
Sapevo che la Juventus faceva la stessa cosa.
Allenamenti in serata o cene di squadra in cui si parlava di lavoro e delle strategie di marcatura.
Sapevo che ad Alex non serviva alcun allenamento, avrebbe potuto presentarsi in gara in ciabatte dopo aver passato una settimana a girarsi i pollici e avrebbe comunque giocato come sapeva, da fenomeno qual era.
Durante uno dei tanti nostri scontri Ancelotti mi diede il compito di marcarlo a uomo. "Mister, così non posso arrivare al tiro come vuole". "Clarence, del tiro non me ne frega niente, rimonta Del Piero.
Non devi per forza segnare ogni volta".
Fu una partita dura.
Del Piero giocò trequartista, un ruolo non suo, ma stargli più vicino non so se potesse essere considerata una cosa positiva o una maledizione.
Dopo una palla persa da Pirlo al limite dell'area partì un loro contropiede. Del Piero aggirò il mio movimento con una finta di corpo, andai a vuoto e lo rincorsi per una ventina di metri.
Mentre stavo per raggiungerlo servì l'assist decisivo.
Furono i novanta minuti peggiori della mia vita calcistica, quelli passati attaccati ad Alessandro Del Piero.
Quando lo rivedo i miei primi pensieri vanno ai nostri scontri e a quanto fosse inverosimilmente forte palla al piede".
Cosa ne pensate di queste parole di Clarence Seedorf?
TREZEGUET
"Lo avevo sognato, non una, ma più volte. Ogni volta che chiudevo gli occhi lo vedevo, magari in maniera diversa, ma il risultato non cambiava: palla in rete, abbraccio dei compagni, festa della nostra curva a San Siro.
Si, il gol scudetto lo avrei segnato io, ne ero certo.
Era stata una stagione particolare, prima l'infortunio alla spalla, poi un virus influenzale, poi la botta alla caviglia in nazionale, saltai in pratica mezzo campionato.
Ma in quel 8 Maggio, Milan-Juve con entrambe le squadre appaiate a 76 punti, ero pronto per giocare, era in pratica uno spareggio per il titolo.
Ci apprestavamo a giocarlo senza il nostro miglior giocatore in quel periodo, già perchè Zlatan Ibrahimovic in quel primo anno alla Juve era una forza della natura, impressionante vederlo anche solo in allenamento. Zlatan però doveva scontare l'ultima delle tre giornate di squalifica rimediate contro l'Inter proprio in quella giornata, curioso per una squadra che si diceva controllasse tutto il calcio italiano, sarebbe bastato che l'arbitro De Santis, indagato di esser molto amico di Moggi, nel referto dicesse di aver visto tutto, invece...
Avremmo giocato io e Alex, così il venerdì nello spogliatoio mi lasciai andare a una confessione: "segno io e vinciamo ragazzi".
Poche parole che però scatenarono il putiferio: in pochi secondi molti si lanciarono in gesti scaramantici, qualcun altro, invece, con una pacca sulla spalla mi fece "bella David, dichiarato vale di più". Ma nessuno mi prese per matto, forse per la determinazione con cui lo dissi, forse perchè era giusto crederci. La notizia venne alla ribalta, addirittura sui giornali in prima pagina, ma io ne ero sempre più convinto.
Scesi le scalinate di San Siro quel pomeriggio con grande tranquillità, e poi e andò tutto come previsto, la rovesciata di Alex, il mio gol, la mia esultanza...al minuto 28 lo scudetto numero 28.
I tifosi mi cantavano 'Quando gioca segna sempre Trezeguet', in quel caso sarebbe andato meglio 'quando sogna, segna sempre Trezeguet'..."
DAVID TREZEGUET
Milan, Conceicao col dubbio Reijnders: da valutare per la Fiorentina, Musah recuperato
Seduta di allenamento per il Milan con brutte notizie per il tecnico Sergio Conceicao che ha visto uscire anzitempo dal campo Tijjani Reijnders. Durante la sessione a Milanello in vista della sfida di sabato sera contro la Fiorentina, il centrocampista olandese ha alzato bandiera bianca abbandonando in anticipo il centro sportivo per una indisposizione. Mal di stomaco e ritorno a casa per il 26enne le cui condizioni verranno valutate nella rifinitura di domani per capire se sarà o meno della sfida alla Viola.
Scalpita Yunus Musah, pienamente recuperato e arruolabile a centrocampo. La seduta ha fornito poi spunti per la formazione che si vedrà a San Siro, col tecnico lusitano intenzionato a rilanciare dal 1′ Tomori con Thiaw in difesa. Contro la Fiorentina potrebbe esserci una chance a destra per Chukwueze con Pulisic sulla trequarti e Leao a sinistra alle spalle di Tammy Abraham. Solo panchina, ancora una volta, per Gimenez.
Percassi insegue Gasperini: “Spero resti all’Atalanta…”
“Speriamo che il mister rimanga con noi”. Ad affermarlo è il presidente Antonio Percassi di fronte a Gian Piero Gasperini, alla squadra e alla numerosissima platea in sala alla ‘prima’ di “Atalanta – Una vita da Dea”, docu-film diretto dal regista Beppe Manzi e che racconta le notti nerazzurre che hanno portato al trionfo di Dublino, narrate dai protagonisti stessi. Un messaggio che anticipa la proiezione e a cui fa eco anche Giorgio Scalvini all’uscita dalla sala: “Sarebbe una cosa nuova per me se il mister dovesse andare via: sono molto legato a lui, ha esaudito i miei sogni e spero che rimanga”.
In sala anche i vertici del calcio italiano, il presidente della Lega Serie A Simonelli e l’ad De Siervo, che hanno definito l’Atalanta “un esempio da seguire”. Presente la rosa al completo (molti giocatori anche con famiglia al seguito), dirigenti nerazzurri e istituzioni, che hanno sfilato sul blue carpet con decine di tifosi affacciati dalle scale mobili di Oriocenter e hanno poi assistito alla proiezione della pellicola, inaugurata con il saluto del regista e del presidente Percassi, che ha sottolineato orgoglioso il legame identitario della società con la città di Bergamo: “Noi siamo l’Atalanta, non dimentichiamolo mai. Abbiamo un programma da rispettare, stiamo nei limiti senza esagerare, ma col nostro sistema riusciamo a combattere con tutte”.
Serie A, Genoa-Udinese 1-0: decisivo il bolide di Zanoli dopo le parate di Leali
Il Genoa ha inaugurato la 31a giornata di Serie A battendo 1-0 l'Udinese, raccogliendo il quinto successo nelle ultime sei partite disputate al Ferraris e brindando alla salvezza con largo anticipo. In un match bloccato e con poche occasioni, la più nitida è capitata Lucca al 47' ma il centravanti dell'Udinese l'ha divorata spedendo il pallone sul fondo con la porta spalancata. Non ha sbagliato, invece, Zanoli al 77': dopo il grande intervento di Leali su Rui Modesto al 74', l'esterno del Grifone si è fatto trovare pronto sul secondo palo per spedire il pallone alle spalle di Okoye. Annullato il pareggio di Rui Modesto al 93'.