Recenti analisi hanno messo in luce come il motore di ricerca di Google mostri una netta tendenza a privilegiare le testate giornalistiche indiane, in particolare quelle con posizioni ultranazionaliste, contribuendo così a una campagna globale di disinformazione in un contesto di crescenti tensioni diplomatiche tra Bangladesh e India.

Il 25 novembre 2024 le autorità del Bangladesh hanno arrestato Chinmoy Krishna Das, un monaco e leader di una comunityà indù, con l'accusa di sedizione. L'arresto ha scatenato violenze: scontri tra sostenitori del monaco e la polizia, un tragico episodio a Chattogram con la morte di un avvocato, e persino una protesta di migliaia di monaci indù provenienti dal Bengala Occidentale diretti verso il confine con il Bangladesh. Inoltre, attivisti in India hanno attaccato un consolato del Bangladesh in risposta a quanto percepito come una repressione delle minoranze religiose.

In questo clima di tensioni, voci ultranazionaliste in India hanno alimentato retoriche propagandistiche, arrivando persino a parlare di un “genocidio degli indù” in Bangladesh, nonostante numerose fonti locali e occidentali, oltre a studi indipendenti, abbiano smentito tali affermazioni. È in questo contesto che il ruolo di Google Search diventa particolarmente critico.

L'analisi condotta dal Techglobal Institute ha evidenziato che, sia in ricerche effettuate in inglese che in bengali (bangla), Google tende a dare priorità ai media indiani, anche quando l'utente si trova nel paese dove l'evento è avvenuto, ossia il Bangladesh. Ad esempio, cercando il nome “Chinmoy Krishna Das” in inglese da località del Bangladesh, le testate indiane – come Times of India, The Hindu, Hindustan Times e The Indian Express – dominano la prima pagina dei risultati, oscurando fonti autorevoli e affidabili provenienti dal Bangladesh quali The Daily Star, The Business Standard e Prothom Alo. Quando la ricerca viene effettuata in bangla, i risultati risultano leggermente più bilanciati, ma la tendenza rimane finisce per promuovere le fonti indiane.

Questo schema si ripete anche da altre parti del mondo, con ricerche condotte da Australia, Stati Uniti, Regno Unito e vari paesi dell'Unione Europea che mostrano una predominanza di contenuti indiani, a volte fino al 90% dei risultati nelle sezioni “top stories” e nelle prime pagine. In confronto, il motore di ricerca Bing ha restituito risultati leggermente più equilibrati, con circa il 65% di contenuti provenienti dall'India e il restante 35% da fonti bangladeshi e occidentali.

Il motivo principale di questa disparità risiede nei meccanismi di ranking utilizzati da Google, che si basano su una serie di fattori tra cui:

  • Autorità del dominio e SEO: Le testate indiane, grazie a strategie SEO avanzate e alla produzione massiccia di contenuti in lingua inglese, godono di una maggiore visibilità online e di un'alta “autorità” percepita dall'algoritmo.

  • Engagement e titoli sensazionalistici: Gli algoritmi di Google tendono a premiare i contenuti che generano maggiori interazioni, spesso incentivando titoli e notizie con toni più allarmistici ed emotivi.

  • Regionalizzazione e personalizzazione: Pur essendo in grado di fornire risultati iper-localizzati – come dimostrato per eventi locali negli Stati Uniti – lo stesso approccio non viene applicato in maniera equivalente a contesti nazionali in paesi come il Bangladesh, dove le fonti locali vengono sistematicamente marginalizzate.

La predominanza di una narrativa filtrata e parziale ha ripercussioni ben oltre il semplice ambito mediatico. Le distorsioni nei risultati di Google contribuiscono a formare un'opinione pubblica internazionale basata su informazioni incomplete o errate, alimentando tensioni diplomatiche e influenzando le decisioni di politici e istituzioni esterne.

Già parlamentari britannici e statunitensi hanno reagito alle notizie di violenza contro le minoranze indù in Bangladesh, invocando interventi e sanzioni. L'affidamento a una rappresentazione squilibrata e sensazionalistica rischia di compromettere la capacità dei decisori di comprendere la complessità della situazione e di intervenire in modo proporzionato, potenzialmente danneggiando la stabilità del paese e scoraggiando investimenti esteri.

La mancanza di trasparenza negli algoritmi di Google solleva interrogativi cruciali sul ruolo dei grandi gatekeeper digitali nella formazione dell'opinione pubblica. Quando un singolo motore di ricerca influisce così pesantemente sulla diffusione delle notizie, diventa fondamentale che esso garantisca una rappresentazione equilibrata e veritiera dei fatti, soprattutto in situazioni di alta sensibilità politica e sociale.

L'analisi in questione evidenzia come la dipendenza da criteri basati esclusivamente su metriche di engagement e visibilità possa portare a un'ulteriore marginalizzazione delle voci locali e alla diffusione di narrative parziali, strumentalizzate a fini politici. È pertanto necessario un ripensamento dei modelli di ranking, con maggiore attenzione alla qualità dell'informazione e alla diversità delle fonti, per evitare che il potere informativo si trasformi in uno strumento di manipolazione geopolitica.

In un'epoca in cui la velocità e l'accessibilità delle informazioni sono alla base della formazione dell'opinione pubblica, è indispensabile che gli strumenti digitali vengano continuamente monitorati e migliorati per tutelare la democrazia e prevenire che la ricerca della visibilità e dell'engagement comprometta la verità e la pluralità dei punti di vista.