Nulla è più consolatorio della frase “nessuno è perfetto”, quando si è alle prese con qualcuno dei numerosi difetti che ci affliggono. Ma non chiediamo mai chi sarebbe il responsabile preposto alla compilazione della lista dei difetti umani, che ne convalida e certifica l’eventuale portata antisociale.

Può essere la comunità in cui viviamo?

Comunità a sua volta inserita in un contesto più ampio che è la società nel suo insieme. Al solito: quella che abbiamo determinato con regole, priorità, prestazioni, necessità di vita, eccetera.

Quindi diciamo che la nostra comunità è l’artefice della lista dei difetti umani. Alcuni indubbiamente oggettivi, che qui indichiamo come difetti del “primo ordine”, quali l’aggressività, l’arroganza, l’egoismo, la supponenza, l’invidia. Altri soggettivi che invece chiameremo del “secondo ordine”, come l’ansia, l’accondiscendenza esasperata, l’empatia eccessiva, la paura esagerata, la suscettibilità allo stress, sensibilità sovrabbondante, stati di facile eccitabilità, e così via.

Tutti questi “difetti” hanno in comune la risposta emotiva che li caratterizza rispetto a una qualunque situazione di vita. Ma noterete che nel secondo elenco è stato necessario accostare un aggettivo o predicato che rendesse esagerata quella qualità (eg: paura eccessiva) altrimenti non classificabile come difetto.

Qualcuno potrebbe obiettare che per tutti i termini del primo ordine dovrebbe essere sottinteso l’aggettivo “normale”. Per esempio una “aggressività normale” ci vuole per stare al mondo, si potrebbe dire. E magari qualcun altro direbbe che una “sana invidia” rende più competitivi. Un po’ forzato, ma accogliamo pure questa eventuale obiezione.

A tal punto la domanda è: qual è il limite a una “sana invidia” (primo ordine) piuttosto che una “paura eccessiva” (secondo ordine)?

Prima di rispondere teniamo presente che i difetti del primo ordine li abbiamo ritenuti “oggettivi” perché contrari all’etica già per deduzione intuitiva. Per ragionamento minimale potremmo dire che la loro oggettività nasce principalmente dal fatto di essere lesivi per uno o più soggetti esterni, bersaglio dell’invidia in esempio. A differenza di quelle del secondo ordine, dove l’unico soggetto leso è l’individuo stesso, l’esempio della paura eccessiva che lo potrebbe far vivere male.

Un’altra cosa da considerare è che il “mal vissuto” di una condizione del secondo ordine non è scontato. L’individuo affetto può ben evitare le situazioni che lo mettono a disagio alla luce del suo “difetto”. Le eventuali rinunce non causano necessariamente un diverso patimento, essendoci numerosi fattori compensatori che possono rendere accettabile, per sé, quella natura (eg: non rinuncio a una professione pericolosa se non mi piace anche per altri motivi).

Un arrogante, invece, non può farci nulla. A meno di non diventare eremita.

In buona sostanza solo i difetti del primo ordine sono sicuramente tali, mentre quelli del secondo sono piuttosto discutibili. E ciò va considerato a monte del ragionamente sui limiti di accettabilità per entrambi.

Osserviamo una cosa ancora. Tutti i difetti in esame dovrebbero ostacolare la piena realizzazione dell’individuo nella società in cui vive, e per converso la società verrebbe ostacolata da tali individui che non contribuiscono appieno allo sviluppo della società stessa. Ed è per questo che ne stiamo parlando. Tuttavia, è curioso osservare che i difetti del primo ordine non sarebbero davvero un ostacolo. Mentre lo sono certamente i secondi.

Questo va brevemente dimostrato attraverso constatazioni di comune esperienza, dove osserviamo sovente che le prevaricazioni (arroganza, supponenza, egoismo) sono tra i segni distintivi di chi occupa posizioni di vertice nella società. Viceversa, eccessiva sensibilità e mitezza sono d’ostacolo alle scalate al potere, in quanto percepiti come segni di debolezza umana.

Perché mai è così?

Queste ultime riflessioni rendono possibile una permutazione piuttosto scioccante: al primo ordine abbiamo i difetti dei forti (contrari all’etica), al secondo ordine i difetti dei deboli.

L’intero scibile della psicologia insegna, tuttavia, l’esatto opposto: la forza non può essere contraria all’etica e si esprime con la sensibilità; mentre l’eroismo con la serena accettazione dei propri stati emotivi. Qui basterebbe fermarsi alla forza, benché sia una “forza debole” per la società attuale.

L’intero corpo del ragionamento ci porta a concludere che i difetti del secondo ordine non sono effettivamente dei difetti in danno della società, e non potrebbero nemmeno essere considerati delle debolezze della natura umana. E se questo è vero, possiamo anche risparmiarci di indagare i limiti, ma basti osservare che il primo ordine non è mai accettabile, mentre il secondo dipende esclusivamente da come lo si vive soggettivamente, e non può essere oggetto di discriminazione nella società e nei rapporti interpersonali (scuola, lavoro, amicizie).

Ma dopo tutto questo bel discorso torniamo coi piedi per terra.

La realtà che abbiamo costruito è basata sulla competizione, a ogni livello: tra studenti, sul lavoro, tra le aziende, nella politica, tra gli stati. Non è molto compatibile con la natura della maggior parte degli esseri umani e dei loro difetti di “forza debole”, che alla competizione preferirebbero la cooperazione. Pertanto, affinché diventino qualità di “forza” a tutti gli effetti è necessario che non siano più richieste quelle qualità di prevaricazione (contrarie all’etica) che giocano un ruolo primario nella realtà competitiva.

In attesa che la competizione venga definitivamente mandata in pensione, si abbia comunque consapevolezza di non essere sbagliati, ma semplicemente di vivere in una società che ha diversi problemi. Molti più di quelli di un ansioso cronico che ripete l’esame 10 volte a causa di un sistema di valutazione che non ammette alternative; o di chi perde la promozione sul lavoro perché non ha mai il coraggio di chiederla. Si faccia finta di essere in terapia di gruppo con l’intera società problematica, e magari si riesce a favorire questo auspicabile pensionamento.

Siamo in clima Pasquale, quindi tramutiamo questa riflessione in un augurio a tutti per una sana cooperazione che curi la competizione!


📸 base foto: Ryan McGuire da Pixabay