di Redazione

Finalmente ha un nome il nuovo capo del Dap scelto dalla Guardasigilli Cartabia. Sarà Carlo Renoldi, giudice della Cassazione. È un magistrato che tra i suoi maestri ha avuto Alessandro Margara, che fu capo del Dap ed è passato alla storia perché trattava i detenuti come uomini. Cosa ne pensa di questa nomina? 

Guardi io esprimo un giudizio sui fatti, per cui vedremo come se e come dirigerà un dipartimento tra i più complessi e difficili del Ministero della Giustizia. Quanto al “trattamento dei detenuti come uomini”, credo debba essere insito in chi si impegna nella gestione delle carceri italiane. Non parlerei neanche di uomini, ma più correttamente di esseri umani.


Il trattare i detenuti come uomini però era riferito alla funzione della pena.

Non potrebbe essere diversamente. La nostra Carta Costituzionale ci dice che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Margara era favorevole a un “carcere dei diritti”. Come potrebbe non essere così? Diritti dei detenuti, diritti degli operatori penitenziari, diritti delle vittime di reato. La pena nel nostro ordinamento penale è pluridimensionale. Nel pieno rispetto delle regole, ad esempio, sono favorevole a una pena effettiva e senza sconti, soprattutto quando di mezzo c’è la mafia o il terrorismo.


Al nome di Carlo Renoldi la Cartabia sarebbe arrivata dopo aver selezionato e sentito una decina di magistrati anche di lungo corso. Lei chi avrebbe visto bene in quel ruolo?

Per fortuna non faccio il Ministro della Giustizia e non compete a me questa scelta. Posso solo dire che in questo momento avrei visto bene in quel ruolo Roberto Tartaglia che ho avuto il piacere di incontrare una sola volta e che nonostante la sua giovane età a mio avviso avrebbe ben ricoperto quel ruolo soprattutto dopo la sua esperienza da vice di Petralia. Poi diciamolo: largo ai giovani.


Si è letto su alcuni quotidiani che la Cartabia abbia scelto Renoldi soprattutto per la sua idea di carcere dal volto umano, secondo lei questo può essere un criterio di scelta?

Non so cosa abbia indotto il Ministro della Giustizia a scegliere questo magistrato e sinceramente mi interessa poco saperlo. Avrà fatto le sue valutazioni. Questa nomina rientra tra quelle che competono al Ministro che quindi se ne assume la piena responsabilità rispondendone nelle sedi previste dalla legge qualora tale scelta si dimostrasse non appropriata.


Lei conosce Carlo Renoldi?

No. So soltanto che è stato un magistrato di sorveglianza. Ho letto alcuni suoi scritti e commentato qualche suo provvedimento. Le sue idee mi sembrano chiare.


Una delle frasi che a me ha colpito è quando scrive: “… anche un mafioso ha diritto a un processo giusto”. Lei in merito cosa ne pensa?

Mi sembra un’ovvietà. Certo che anche un mafioso ha diritto a un processo giusto. Non mi sembra che in Italia ci siano stati processi ingiusti contro i mafiosi. Con il maxiprocesso di Palermo siamo stati modello ed esempio per tutto il mondo.


Le sentenze di Renoldi in Cassazione vanno nella direzione indicata dalla Consulta sui permessi premio e sulla liberazione condizionale che fanno cadere il presupposto rigido della collaborazione. Può ottenere i permessi e può liberarsi dall’ergastolo ostativo non più solo chi si pente. Lei è d’accordo con questo orientamento?

Le sentenze si accettano, si impugnano e si commentano. Nel commentarle ho più volte detto e scritto di non condividere questo orientamento.  Io credo che la premialità possa funzionare per i condannati che mostrano di volersi rieducare e reinserire e ci provino davvero in concreto e non in astratto o per mera convenienza. Non credo che in questo preciso momento storico potremmo permetterci casi simili a quello di Antonio Gallea. Condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio del giudice Livatino, di recente, ha approfittato dei benefici penitenziari ottenuti per rientrare in posizioni di rilievo nella sua organizzazione criminale (la Stidda), facendo valere proprio i suoi quasi trent’anni di carcere senza aver mai collaborato. La pericolosità sociale va valutata caso per caso e in concreto.


Renoldi è tra i primi giudici che hanno aperto ai permessi premio ai detenuti 41 bis, pensa che questo suo orientamento influirà anche nell’esercizio delle sue funzioni come Capo del Dap?

Non credo che fare il giudice ed essere Capo del Dap siano ruoli analoghi. Il giudice deve valutare, in concreto, le prove portate alla sua attenzione. Il Capo del Dap è un manager che deve gestire un dipartimento che, come ho detto prima, è tra i più complessi da amministrare all’interno del Ministero della Giustizia. Se le sue idee influenzeranno il suo prossimo ruolo, questo può saperlo solo lui.



Vincenzo Musacchio, criminologo, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.  È oggi uno dei più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali, un autorevole studioso a livello internazionale di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative a livello europeo.