La troupe della tv pubblica francese è stata in Puglia al fianco delle donne che sfidano il crimine organizzato con una resistenza quotidiana fatta di scorte, minacce e speranza
Di fronte al silenzio, loro parlano. Di fronte alla paura, loro resistono. Di fronte alla mafia, loro lottano. Il volto della legalità in Puglia è sempre più spesso femminile. Sono magistrate, poliziotte, giornaliste, attiviste: donne che, ogni giorno, affrontano una criminalità organizzata tanto feroce quanto invisibile agli occhi del grande pubblico. È a loro che si è dedicato il reportage firmato dai giornalisti francesi Rémi Cadoret, Bernard Bedarida e Bertrand Aguirre per France 24, un’immersione di dieci giorni tra Foggia, Bari e Lecce, alla scoperta di una realtà ignorata, sottovalutata, ma sempre più inquietante.
Il documentario – parte della serie “Reporters” – porta il telespettatore nel cuore della Puglia mafiosa, dominata da clan emergenti e spietati: la cosiddetta “quarta mafia”, definita dalla DIA come una delle più violente d’Europa. Non è un racconto d’archivio né una ricostruzione storica. È un diario vivo, intenso e in presa diretta, in cui a parlare sono le donne che questa mafia la combattono ogni giorno, spesso con pochi mezzi, ma con una determinazione incrollabile.
Donne contro la sacra corona unita
Bruna Manganelli, pubblica ministera della Procura antimafia di Bari, è una protagonista determinata e costantemente sotto minaccia, che si muove con la scorta e che ha ottenuto risultati significativi contro i clan del traffico di droga ed estorsioni.
Altra figura rilevante è Rosaria De Razza, dirigente di una squadra antimafia della Polizia a Bari, che guida un team composto solo da uomini in operazioni complesse con l’uso di droni, sorveglianza e blitz mirati.
Il documentario riflette anche sull’assassinio nel 1984 di Renata Fonte, consigliera comunale di Nardò (Lecce) uccisa per aver ostacolato progetti edilizi sostenuti dalla mafia; la sua morte fu inizialmente liquidata come “delitto passionale”, rivelando la negazione storica dell’influenza mafiosa in Puglia. Le figlie di Renata, Sabrina e Viviana, cercano ancora giustizia e riconoscimento della verità.
Marilù Mastrogiovanni, giornalista investigativa coraggiosa, ha denunciato collusioni tra mafia e politica e lo smaltimento illegale di rifiuti tossici, come i PCB nella discarica di Ugento (Lecce); per questo ha subito minacce, violenze, attentati incendiari e perfino persecuzioni legali tramite cause pretestuose per diffamazione, costringendo lei e la sua famiglia a trasferirsi.
Una mafia feroce e silenziosa
“La mafia foggiana non cerca il consenso. Non ha bisogno di mostrarsi. Uccide e basta.” Questa è una delle frasi più dure che emerge dal reportage. I clan della Puglia non hanno il volto “mediatico” di cosa nostra o della 'ndrangheta, ma controllano interi territori, estorcono, uccidono, incendiano, gestiscono il traffico di droga e armi con metodi brutali.
A Foggia, da anni, la Procura antimafia è in prima linea contro quella che viene definita “la mafia più sottovalutata d’Italia”. Ed è proprio lì che i giornalisti francesi hanno incontrato alcune delle protagoniste di questa battaglia: magistrate e funzionarie che lavorano sotto scorta, in un clima di intimidazione continua. Come una giovane sostituta procuratrice che, con voce ferma ma visibilmente stanca, racconta: “Qui il pericolo è reale. Le minacce non sono generiche: sappiamo di essere nel mirino. Ma il nostro dovere è continuare”.
Donne sotto scorta ma non in silenzio
La loro vita è scandita da misure di sicurezza, cambi di percorso, protezioni costanti. Una quotidianità stravolta, in cui anche un semplice caffè può diventare un rischio. Eppure, nessuna di loro appare rassegnata. Anzi, ciò che colpisce nel documentario è proprio la serenità ostinata con cui queste donne parlano del loro lavoro.
Accanto alle magistrate, ci sono le agenti di polizia, le carabiniere, le ufficiali della Guardia di Finanza. Figure operative e spesso invisibili, che svolgono indagini fondamentali: pedinamenti, intercettazioni, raccolta di testimonianze in territori dove anche solo parlare alla giustizia può costare la vita. Una poliziotta racconta: “Il problema non è solo la mafia. È il muro di omertà che la protegge. In certi quartieri, siamo viste come nemiche”.
Il reportage dà spazio anche a chi lavora sul fronte sociale, in un contesto in cui la cultura mafiosa si insinua già tra i banchi di scuola. Una delle storie più toccanti è quella di una donna che ha perso il figlio in un regolamento di conti tra clan e che oggi gira le scuole pugliesi per raccontare la sua storia ai ragazzi: “La mafia mi ha portato via tutto. Ma io non voglio vendetta. Voglio giustizia”.
A Bari, un’associazione di donne organizza laboratori, incontri pubblici e percorsi educativi nelle periferie più difficili. “La legalità si costruisce anche con l’empatia e con la presenza. Se lo Stato non c’è, c’è la mafia. Noi vogliamo esserci”, afferma una delle attiviste.
Un tributo al coraggio
Quello realizzato da Rémi Cadoret, Bernard Bedarida e Bertrand Aguirre non è solo un reportage d’inchiesta. È anche un omaggio silenzioso alla tenacia di queste donne che, con lucidità e coraggio, affrontano una delle più oscure minacce del nostro Paese. Raccontano una Puglia che non si arrende, che non si volta dall’altra parte, che vuole rompere il patto di paura con cui la mafia tiene sotto scacco intere comunità.
Alla fine del documentario, resta un messaggio potente: non ci sono supereroi in questa lotta, solo persone comuni – e in gran parte donne – che scelgono ogni giorno da che parte stare. E che, nel farlo, rischiano tutto. Ma danno speranza a tutti.