Si può riassumere nell'ecumenismo ciò che sostiene e caratterizza l'opera di papa Francesco. Il Giubileo che domani si concluderà ne è la dimostrazione.
In un'intervista rilaciata al quotidiano della CEI Avvenire, Bergoglio ha commentato con queste parole la celebrazione dell'Anno santo straordinario: «Prima di me c’è stato san Giovanni XXIII che con la Gaudet mater Ecclesia nella "medicina della misericordia" ha indicato il sentiero da seguire all’apertura del Concilio, poi il beato Paolo VI, che nella storia del Samaritano ha visto il suo paradigma. Poi c’è stato l’insegnamento di san Giovanni Paolo II, con la sua seconda enciclica Dives in misericordia, e l’istituzione della festa della Divina Misericordia. Benedetto XVI ha detto che "il nome di Dio è misericordia". Sono tutti pilastri. Così lo Spirito porta avanti i processi nella Chiesa, fino al compimento.»
È il Concilio Vaticano II a guidare Francesco. E l'ecumenismo è, di quel Concilio, la chiave di volta. E l'ecumenismo, come già il Papa ha detto in passato, «è un'occasione pratica per tradurre in concreto le riflessioni sulla misericordia.» Quindi, tutti coloro che si affannano, fatture alla mano, per stabilire se il Giubileo sia stato o no un successo, sprecheranno il loro tempo se pensano che le loro parole possano avere un qualche effetto sulle future scelte del Papa.
Ecumenismo, si badi bene, che non va inteso unicamente in senso teologico, ma anche in senso letterale nel suo significato originale che sta ad indicare la totalità del mondo e delle persone che lo abitano.
Ed in questi termini, si capiscono appieno le parole della catechesi di papa Francesco che, in occasione del concistoro per la nomina dei nuovi cardinali, commentando nell'omelia un passo del vangelo di Luca, afferma: «La nostra è un’epoca caratterizzata da forti problematiche e interrogativi su scala mondiale. Ci capita di attraversare un tempo in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti.
Vediamo, ad esempio, come rapidamente chi sta accanto a noi non solo possiede lo status di sconosciuto o di immigrante o di rifugiato, ma diventa una minaccia, acquista lo status di nemico. Nemico perché viene da una terra lontana o perché ha altre usanze. Nemico per il colore della sua pelle, per la sua lingua o la sua condizione sociale, nemico perché pensa in maniera diversa e anche perché ha un’altra fede.
Nemico per… E, senza che ce ne rendiamo conto, questa logica si installa nel nostro modo di vivere, di agire e di procedere. Quindi, tutto e tutti cominciano ad avere sapore di inimicizia. Poco a poco le differenze si trasformano in sintomi di ostilità, minaccia e violenza.
Quante ferite si allargano a causa di questa epidemia di inimicizia e di violenza, che si imprime nella carne di molti che non hanno voce perché il loro grido si è indebolito e ridotto al silenzio a causa di questa patologia dell’indifferenza! Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi!»
E rivolgendosi ai nuovi cardinali ha poi proseguito, aggiungendo: «Proveniamo da terre lontane, abbiamo usanze, colore della pelle, lingue e condizioni sociali diversi; pensiamo in modo diverso e celebriamo anche la fede con riti diversi. E niente di tutto questo ci rende nemici, al contrario, è una delle nostre più grandi ricchezze.
Cari fratelli, Gesù non cessa di "scendere dal monte", non cessa di voler inserirci nel crocevia della nostra storia per annunciare il Vangelo della Misericordia. Gesù continua a chiamarci e ad inviarci nella "pianura" dei nostri popoli, continua a invitarci a spendere la nostra vita sostenendo la speranza della nostra gente, come segni di riconciliazione.
Come Chiesa, continuiamo ad essere invitati ad aprire i nostri occhi per guardare le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della loro dignità, privati nella loro dignità.»
E questo invito, nei limiti delle proprie possibilità, il Papa lo ha rivolto più volte con parole e documenti anche a coloro che pretendono di definirsi cristiani e guidano le sorti delle varie nazioni. Ma non solo costoro non continuano a metterlo in pratica, ma faticano pure a capirlo, ammesso che lo abbiano mai ascoltato.