Un libro bellissimo, scritto in maniera semplice ma che riempie il cuore e che narra con sottile arguzia ma allo stesso tempo rende benissimo con il climax tipico ei grandi narratori il dramma dell’ultimo periodo del fascismo, offrendo uno spaccato della provincia italiana di quel tempo. Un libro da far leggere in tutte le scuole, perché tratta argomenti del passato ma con una naturalezza e con una attenzione al tema del patriarcato che ancora oggi è attualissimo.
“I giorni di vetro” edito da Einaudi della giovane scrittrice Nicoletta Verna. racconta la storia di Redenta, una ragazza come tante, nata in una famiglia della provincia emiliana, con una grave malattia che la rende storpia dalla nascita. È ingenua, ma il suo sguardo sbilenco vede ciò che gli altri ignorano. È vulnerabile, ma resiste alla ferocia del suo tempo. È un personaggio letterario magnifico. La voce di Redenta continuerà a risuonare a lungo, dopo che avrete chiuso l’ultima pagina. Redenta è nata a Castrocaro il giorno del delitto Matteotti. In paese si mormora che abbia la scarogna e che non arriverà nemmeno alla festa di San Rocco. Invece per la festa lei è ancora viva, mentre Matteotti viene ritrovato morto.
È così che comincia davvero il fascismo, e anche la vicenda di Redenta, della sua famiglia, della sua gente. Un mondo di radicale violenza – il Ventennio, la guerra, la prevaricazione maschile - eppure di inesauribile fiducia nell’umano. Sebbene Bruno, l’adorato amico d’infanzia che le aveva promesso di sposarla, incurante della sua «gamba matta» dovuta alla polio, scompare senza motivo, lei non smette di aspettarlo. E quando il gerarca Vetro la sceglie come sposa, il sadismo che le infligge non riesce a spegnere in lei l’istinto di salvezza: degli altri, prima che di sé. La vita di Redenta incrocia quella di Iris, partigiana nella banda del leggendario comandante Diaz. Intenso, coraggioso, fortissimo, poetico,
“I giorni di Vetro” è il romanzo della nostra fragilità e della nostra ostinata speranza di fronte allo scandalo della Storia. Questo romanzo è un toccante spaccato italiano del ventennio fascista in Emilia-Romagna. Come l’autrice scrive nelle note finali, in questa storia non c’è nulla di vero ma è tutto vero. Perché vera è la triste realtà in cui vivono i protagonisti sin dalla nascita, nella povertà della provincia, laddove manca il lavoro e il pane. Una povertà oggi quasi impossibile da immaginare: famiglie che considerano un lusso farsi fare il cappotto da una sarta che raccoglie dall’immondizia scampoli di stracci, famiglie che attendono i soldi di un marito al fronte per poter combinare almeno un pasto al giorno, famiglie che vivono, tuttavia, l’apparenza di un decoro per le figlie che vorrebbero destinate a una vita di matrimonio e di marmocchi.
Ma la sorte riserva loro ben altro: la malattia, la guerra, la disperazione. E per le figlie femmine la sorte, già segnata in una vita di sudditanza familiare, è facile che custodisca qualcosa di ancora peggiore: la violenza fisica, oltre che psicologica, tra le mura domestiche, da parte di mariti privi di ogni scrupolo.