TACCUINO #60
 

1. Introduzione
 

Il presente lavoro indaga il concetto di Non Ente come chiave di volta per una riformulazione ontologica che sfugga alle cristallizzazioni dicotomiche della tradizione metafisica. L’analisi si sviluppa attraverso un approccio genealogico e fenomenologico, esplorando l’evoluzione storica della problematica e i suoi snodi concettuali fondamentali. In tal senso, si delinea una critica radicale alla nozione di verità come dispositivo epistemico, mettendo in discussione il postulato di corrispondenza tra essere e pensiero e inaugurando una prospettiva fondata su un’ermeneutica del pre-riflessivo.
 

2. Testimonianze Storiche e Riferimenti Antichi
 

2.1. Isaac Israeli ben Solomon e la crisi dell’Adaequatio rei et intellectus
 

Il tal Israeli, erede della tradizione neoplatonica, introduce un’aporia cruciale: la verità come adeguazione dell’intelletto alla realtà presuppone un’ontologia stabile, ma tale stabilità è un costrutto e non un dato. Il Non Ente emerge qui come un’esigenza negativa: ciò che eccede il dominio del pensabile non è semplice assenza, bensì un’irruzione nel regime epistemico consolidato. Israeli non si limita a registrare il problema, ma ne sottolinea la portata sovversiva: la conoscenza, lungi dall’essere adesione a un ordine dato, è costruzione di senso in uno spazio di incertezza irriducibile.
 

2.2. La genealogia del Non Ente nella filosofia antica
 

Il divieto parmenideo del μὴ ὄν, mē ón, “ciò che non è” si inscrive in una strategia di esclusione epistemica che attraversa la metafisica occidentale fino alla sua formalizzazione aristotelica. Tuttavia, nel Sofista, Aristocle introduce una nozione di Non Essere non più come pura negazione, ma come differenza: ciò apre uno spiraglio per una considerazione del Non Ente non come nulla, ma come alterità irriducibile. La scolastica medievale, nel tentativo di neutralizzare questa tensione, reintroduce un’ontologia statica, in cui il Non Ente viene relegato alla categoria del non attualizzato o dell’impossibile.
 

τὸ μὴ ὄν "il non-ente" o "il non-essere" con l'articolo determinativo (τὸ).
 

"Ciò che non è" e "il non-ente" o "il non-essere" non sono esattamente la stessa cosa.
 

Differenze e precisione:
 

1. μὴ ὄν (me on) → "ciò che non è"
 
Qui μὴ (mē) indica una negazione più modale o qualitativa (non assoluta come οὐ).
ὄν (on) è il participio presente di "essere", quindi significa "ciò che è".
Quindi μὴ ὄν è "ciò che non è" nel senso di un qualcosa che non possiede l'essere.
 

essere → verità (ἀλήθεια, ἑρμηνευτική, θαύμα)
 

2. τὸ μὴ ὄν (to me on) → "il non-ente" o "il non-essere"
 

τὸ, l’articolo neutro, che sostantiva la frase, la rende più astratta.
"Il non-ente" o "il non-essere" implicano una categoria più generale, non un semplice
riferimento a qualcosa che non è.
 

3. Critica e Decostruzione: Il Dispositivo della Verità
 

3.1. La verità come costruzione e non come dato
 

La pretesa che la verità sia un attributo intrinseco della realtà è una sedimentazione storica di pratiche linguistiche e istituzionali. La dicotomia vero/falso non è un riflesso oggettivo del reale, ma un’operazione di filtraggio che stabilizza il campo del dicibile. Il Non Ente si configura allora come il residuo di questa operazione, il rimosso che testimonia l’artificialità di ogni pretesa di fondazione assoluta.
 

3.2. Il collasso del modello epistemico binario
 

Israeli anticipa una crisi del pensiero che prelude alla dissoluzione della dicotomia ontologica fondamentale. Se la realtà non è data ma costruita, la distinzione tra essere e non essere si rivela uno strumento di gestione simbolica e non un dato strutturale dell’esistenza. Il Non Ente emerge qui non come assenza, ma come una dimensione dell’esperienza che sfugge alla dicotomia presenza/assenza, stabilendo una nuova fenomenologia dell’indeterminato.
 

4. Krisis e Ribaltamento Ontologico
 

4.1. La crisi del significato e la genealogia del “vero”
 

L’etimologia del termine “vero” (verus, dal latino) rimanda non tanto a una corrispondenza tra pensiero e realtà, quanto a una condizione di fiducia e affidabilità. In questa prospettiva, il “vero” non è una qualità intrinseca delle cose, ma una funzione regolativa del linguaggio e della prassi sociale. Il ribaltamento semantico proposto in questa sede consiste nel ricondurre la verità al suo statuto originario di costruzione intersoggettiva, decostruendo l’illusione della sua necessità ontologica.
 

4.2. Il Non Ente come emergenza del non-dicibile
 

Il Non Ente non è una negazione dell’essere, bensì un’eccedenza rispetto ai regimi epistemici consolidati. Esso si manifesta nella tensione tra il dicibile e l’indicibile, tra l’intellegibile e il vissuto. L’esperienza esistentiva del Non Ente si colloca dunque in uno spazio di frattura, in cui l’ontologia cessa di essere una griglia normativa e diventa un campo di forze in continua ridefinizione.
 

5. La Percezione Viscerale e il Superamento del Dualismo
 

5.1. Oltre il primato della razionalità
 

La tradizione filosofica occidentale ha privilegiato il cosiddetto logos come strumento privilegiato di accesso alla realtà. Tuttavia, la fenomenologia del Non Ente impone una revisione di questo paradigma: ciò che sfugge alla categorizzazione logica non è inesistentivo, bensì percepibile attraverso altre modalità. La percezione viscerale si configura come un sapere pre-riflessivo che precede la formalizzazione concettuale e ne mette in discussione i presupposti.
 

5.2. Lo struggere viscerale come metodologia filosofica
 

Il pensiero del Non Ente non può essere ridotto a una teoria astratta, ma deve tradursi in una pratica esistenziale: lo struggere viscerale è un metodo (pathos epistemico) che implica il confronto diretto con il limite, la sospensione del giudizio e l’esposizione alla vertigine dell’indeterminato. Qui il Non Ente non è un problema da risolvere, ma una soglia da abitare.
 

6. Conclusioni e Prospettive
 

Questo percorso non mira a fornire risposte definitive, bensì a delineare un nuovo spazio di interrogazione. Il superamento della dicotomia ente/non ente non implica la dissoluzione della struttura del pensiero, ma la sua radicale ridefinizione: il Non Ente non è il negativo dell’essere, ma il suo orizzonte di possibilità. Il compito della filosofia non è più la ricerca della verità, ma la capacità di restare nell’aperto, di abitare l’irrisolto.
 

«Del concetto di significato. Se allontanando da noi il pensare concettuale e la linguistica, come fossero il libro e la persona, ma ovviamente partecipando di queste, e se, con significato, noi parliamo di esperienza, e quindi riconduciamo all'esistenza e a ciò che è stato vissuto ed è vissuto al reale, osservato attraverso la personale lente e quindi il cosiddetto segno del reale, noi possiamo quindi intendere significato e esperienza, e se riportiamo ciò che è stato veduto, noi facciamo significato dell'esperienza. Al contrario, se falsiamo ciò che è stato, se rinneghiamo ciò che abbiamo veduto, se non riportiamo il vero (e si presti attenzione, qui non argomentiamo della fumosità della verità come assoluto, ma relativizzando ciò che ognuno ha vissuto nella e della propria esperienza), ecco che se non riportiamo ciò che abbiamo veduto, noi non riportiamo esistenza, quindi riportiamo la non-esistenza. Ora, così essa si dissolve nel momento in cui noi utilizziamo il linguaggio che ci parla. E quindi, ritornando sul significato, non facciamo significato, ma a quel punto noi non siamo essere e noi non siamo esistenza. Quindi abbiamo partecipato nel momento in cui falsiamo e non ridiamo la verità del vero, ovvero riportiamo il falso in una menzogna, in una bugia, il non-esistere. Noi non esistiamo nel momento in cui non diciamo il vero. Che importa dunque de la verità!?».

 

Glossario Filosofico Essenziale
 

1. Non Ente: Ciò che eccede la dicotomia essere/non essere, manifestandosi come alterità irriducibile.
 

2. Struggere viscerale: Metodo di interrogazione filosofica che implica un confronto diretto con il limite e l’indeterminato.
 

3. Adaequatio rei et intellectus: Dottrina epistemica della corrispondenza tra realtà e intelletto, decostruita in questa prospettiva.
 

4. Vero/Falso: Costrutti linguistici e sociali che regolano il dicibile, senza alcuna necessità ontologica intrinseca.