Il recente Monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza (LEA) realizzato dal Ministero della Salute, e anticipato dal Sole 24 Ore, evidenzia un quadro sanitario nazionale in chiaroscuro. Se da un lato si registra un miglioramento nell’assistenza ospedaliera, dall’altro la prevenzione e le cure territoriali restano in sofferenza. Tuttavia, dietro ai numeri e alle statistiche, si cela una realtà ben più drammatica: la cronica carenza di medici e infermieri e il loro trattamento economico e professionale sempre più insostenibile.
Nonostante il miglioramento complessivo dei servizi ospedalieri, l’emergenza che affligge la sanità italiana è sempre la stessa: il personale sanitario è insufficiente e sottopagato. Il problema non riguarda solo le Regioni storicamente più fragili, come Calabria, Sicilia e Abruzzo, ma si estende a tutto il Paese. Anche le Regioni più virtuose, come Veneto, Toscana ed Emilia-Romagna, non possono ignorare il rischio che il miglioramento degli indicatori sia solo temporaneo, se il problema della carenza di personale non verrà affrontato con misure concrete e durature.
Durante l’emergenza Covid-19, medici e infermieri sono stati celebrati come eroi. Oggi, quegli stessi eroi sono stati dimenticati e lasciati soli a fronteggiare carichi di lavoro insostenibili, turni massacranti e stipendi indegni della loro responsabilità. Molti scelgono di lasciare il Servizio Sanitario Nazionale per cercare condizioni migliori all’estero o nel settore privato, aggravando ulteriormente il problema.
Nel frattempo, le assunzioni promesse tardano ad arrivare e le retribuzioni restano inadeguate. Secondo recenti dati, gli stipendi dei medici e infermieri italiani sono tra i più bassi in Europa, con differenze salariali abissali rispetto a Paesi come Germania e Francia. È inaccettabile che chi salva vite umane venga trattato con così poca considerazione dallo Stato.
Il monitoraggio dei LEA conferma che il vero tallone d’Achille della sanità italiana rimane l’assistenza territoriale. Le cure di prossimità, essenziali per alleggerire il peso sugli ospedali e garantire una presa in carico efficace dei pazienti cronici, continuano a essere un miraggio in molte Regioni. La riforma dell’assistenza territoriale, che avrebbe dovuto rappresentare una svolta, non ha ancora prodotto i risultati sperati. Ma come potrebbe essere altrimenti, se mancano medici di famiglia, infermieri di comunità e specialisti disponibili sul territorio?
I dati parlano chiaro: senza un massiccio investimento in personale sanitario, il sistema sanitario nazionale non potrà reggere. Non basta migliorare le performance ospedaliere se non si interviene sulla prevenzione e sulle cure territoriali, e soprattutto se non si garantisce un numero adeguato di professionisti per assistere la popolazione.
Il governo deve prendere atto di questa emergenza e intervenire subito, con assunzioni straordinarie e aumenti salariali concreti. Il rischio, altrimenti, è che il progressivo abbandono della sanità pubblica porti a una deriva sempre più marcata verso la privatizzazione, penalizzando i cittadini più fragili e trasformando il diritto alla salute in un privilegio per pochi.
Non possiamo permettere che i nostri medici e infermieri, gli stessi che ci hanno salvato durante la pandemia, vengano lasciati soli. È tempo di agire, prima che sia troppo tardi.