Dal 2014, la pressione fiscale in Italia ha iniziato a scendere perché il Pil ha iniziato a crescere e perché nel maggio 2014 è stato introdotto il cosiddetto bonus Renzi, nel 2015 è stata eliminata la componente Irap dal costo del lavoro e nel 2016 è stata cancellata la Tasi sulla prima casa.

Nel 2017, il peso fiscale e contributivo è ulteriormente diminuito anche grazie alla riduzione dell’Ires (imposta sui redditi delle società di capitali) dal 27,5 al 24 per cento, a quella dei super-ammortamenti (al 140 per cento), all’aumento delle deduzioni Irap, all’innalzamento delle soglie per accedere al regime dei minimi e alla proroga del parziale esonero contributivo a carico delle imprese che hanno assunto personale a tempo indeterminato... con uno sgravio complessivo annuo che ammonta a oltre 30 miliardi di euro.

Il problema, però, è che il Pil per il 2018 è in frenata rispetto alle previsioni e per tale motivo - se le risorse non sono disponibili da una parte, da qualche altra dovranno pur essere ricavate - è molto probabile che già da quest'anno la pressione fiscale sui contribuenti italiani finirà per essere superiore al 42,2 per cento previsto.

Quali sono le imposte che gravano maggiormente sui contribuenti italiani? Quelle sul reddito (Irpef e addizionali comunali/regionali Irpef) delle persone fisiche (lavoratori autonomi, lavoratori dipendenti, pensionati, etc.) che "pesano" per circa 186,5 miliardi di euro all’anno, mentre le società di capitali (Spa, Srl, etc.) sono sottoposte ad un prelievo sul reddito (Ires) che vale circa 34 miliardi di euro all’anno.

Ma il peso delle tasse non si abbatte solo sui redditi ma anche su beni irrinunciabili come la casa o l’automobile. Secondo ANFIA, Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, sarebbe 73 miliardi di euro il carico fiscale che - a vario titolo - grava sui possessori di autoveicoli, mentre una elaborazione della CGIA su dati Istat indica in quasi 40 miliardi di euro il carico fiscale prelevato sui proprietari degli immobili presenti nel Paese.

Il Governo del cambiamento ha pure promesso misure che dovrebbero pesare sul bilancio dello Stato, tra erogazioni e mancate entrate, per alcune decine di miliardi di euro.

In ogni caso come ricorda Paolo Zabeo, il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre cui si deve l'ipotesi espressa in questo articolo «per la conferma, dovremo attendere la pubblicazione della nota di aggiornamento al Def prevista entro il prossimo 27 settembre. In effetti, a seguito del rallentamento del Pil, è molto probabile che nel 2018 la pressione fiscale sarà superiore al 42,2 per cento previsto a inizio anno. Se dovesse tornare a salire addirittura oltre il risultato conseguito nel 2017, invertiremmo la tendenza che era iniziata nel biennio 2012-2013, anni in cui la pressione fiscale nazionale aveva toccato il record storico del 43,6 per cento.»

Esiste una soluzione a tutto ciò? Secondo il segretario della CGIA Renato Mason «per ridurre strutturalmente le tasse dobbiamo in misura corrispondente tagliare la spesa pubblica improduttiva e nonostante gli effetti della spending review siano stati inferiori alle attese, il carico fiscale complessivo ha iniziato a scendere. Certo, se da qualche anno avessimo abbracciato la strada del federalismo fiscale, molto probabilmente la contrazione sarebbe stata maggiore.

Le esperienze europee, infatti, ci dicono che gli stati federali, come la Germania e la Spagna, hanno una spesa pubblica nettamente inferiore ai paesi unitari e una qualità/quantità dei servizi offerti ai cittadini molto superiore a quella degli altri.»


L'articolo si basa su dati pubblicati dalla Cgia di Mestre il 15/09/2018