L’Italia non ha bisogno del premierato ma di una legge elettorale che dia al popolo il diritto di scegliere i propri rappresentanti e che rafforzi i poteri e le funzioni del Parlamento.

Per quanto ho potuto leggere, relativamente alla proposta di revisione costituzionale, credo, ad una lettura prima facie, si ignori la logica aristotelica: l’elezione diretta del Capo del Governo, a quanto io sappia, non esiste in nessuna parte del globo. Se nessuno abbia mai pensato di farla nel proprio Paese, probabilmente ci sarà un motivo. Il vero problema delle riforme costituzionali, in realtà, è quello di pensare che questa classe politica (nessuno escluso) possa riformare sé stessa. Sarebbe come affidare al lupo il compito di salvaguardare il gregge.

La critica che è stata sollevata più volte dai fautori del premierato è che il sistema di elezione diretta è già in vigore nei Comuni e nelle Regioni e funziona benissimo. Vera la premessa, falsa la conclusione. L’aver concentrato i poteri sul Sindaco e sul Governatore, quindi sul singolo, ha, di fatto, atrofizzato le assemblee elettive. Il parallelo tra Repubblica italiana ed ente locale è improponibile. Sono due realtà non sovrapponibili.

I fautori del premierato a sostegno della riforma portano il fatto di dare agli italiani il potere di scegliersi chi li governerà. Una réclame che sentiamo ripetere all’infinito come un jingle. Ricordo che la riforma dovrà passare in Parlamento e sarà sottoposta al referendum confermativo. Dicono, sapendo di mentire, che chi si opporrà alla riforma in atto voglia togliere agli elettori stessi la scelta del Capo del Governo.

Questo slogan è in realtà uno specchietto per le allodole per due ordini di motivi.

Il primo riguarda il dare agli italiani il potere di scegliere chi li governerà. Non è immaginabile che i cittadini vadano al voto senza un’indicazione dei candidati alla Presidenza del Consiglio: quanti saranno non lo si può prevedere, ma siccome sarebbe eletto chi prende un voto di più dei concorrenti, la partita si risolverà nella scelta tra pochi candidati. Un’elezione a turno secco finirebbe in uno scontro all’ultimo voto tra concorrenti certamente scelti dai partiti. Gli italiani non avrebbero nessun potere in più rispetto a quanto non abbiano già oggi se si fronteggiassero due coalizioni. Il potere di scelta degli elettori non cambierebbe assolutamente in nulla. Il premierato elettivo a turno secco da questo punto di vista è sicuramente una boutade.

Il secondo motivo riguarda la riforma in atto con la situazione politica attuale. I fautori della modifica costituzionale in questione sostengono che l’attuale premier sia stata scelta dagli italiani. Falsissimo. C’era un accordo tra partiti (peraltro alla luce del sole) stretti in una coalizione di proporre alla guida del Governo il leader del partito che avesse preso più voti. Questo è, chi dice il contrario mente sapendo di mentire. Con il premierato il potere di scelta degli elettori sarebbe simile all’attuale e cioè nullo.

Da quanto ho letto non si garantirebbe nemmeno la tanto propagandata stabilità del Governo. La riforma, infatti, prevede che se cade il premier, quale ne sia il motivo, si sciolgono le Camere e si ritorna al voto. Così facendo il Presidente della Repubblica è privato di una delle sue prerogative costituzionali. Si elabora allora un artifizio giuridico: gli si dà la possibilità di ridare l’incarico al premier dimissionario e/o sfiduciato oppure ad un altro parlamentare esponente della stessa maggioranza.

Ecco perché sostengo che la riforma sia uno specchietto per le allodole: non concede nessun potere in più agli elettori e non dà maggiori garanzie di stabilità ai governi. La scelta del candidato a cui affidare il Governo e la sua stabilità non dipendono dalle regole costituzionali, ma dagli accordi dei partiti. Se questi ultimi decidono è chiaro che gli elettori scelgono su quanto sia già stato deciso nelle segreterie di partito. A questo punto è lecito domandarsi: a chi giova questa riforma?