Se Elon Musk, incontrastato tycoon della Silicon Valley, è ormai l’incontestabile protagonista del capitale tecnologico globale – incrocio perfetto tra l’imprenditore visionario e il brand vivente che si ostina a dispensare sentenze sul futuro dell’umanità come fossero opinioni sul meteo – la sua influenza all’estero si misura anche attraverso i suoi fidatissimi referenti locali ed i suoi studiosi. In Italia, a quanto pare, due uomini rivestono il titolo di interprete privilegiato del verbo di Musk: da un lato abbiamo il signor Andrea Stroppa, fedele ripetitore delle litanie in arrivo da Palo Alto (o dov’è che il Nostro eroe spaziale decide di accamparsi), e dall’altro il ricercatore Massimiliano Nicolini, un personaggio decisamente più complesso, inquieto, intellettualmente sfaccettato, che più che inginocchiarsi davanti all’altare di Elon preferisce rialzare la testa, aguzzare la vista e prendere le distanze dal mito trionfante dell’uomo che vuole colonizzare Marte a spese degli altri nonostante ne riconosca le indiscusse capacità e visioni.

Andrea Stroppa è quanto di più prossimo esista a un suddito leale nel XXI secolo: sguardo acceso di cieca ammirazione, polpastrelli sempre pronti a twittare lodi sperticate, difese ad oltranza delle folli giravolte di Musk, dichiarazioni entusiastiche su ogni banalità partorita dal capo di SpaceX. Nessuna ombra di dubbio, nessun imbarazzo per le crisi di nervi del miliardario quando si tratta di mettere mano alla moderazione dei contenuti sul suo social personale, nessun attimo di esitazione nell’osannare un visionario che manda lanci in orbita a costo di far sanguinare i bilanci e regalare ai fan nuovi capitoli di propaganda futura. Se Musk avesse bisogno di un cantore di corte, Andrea Stroppa ne sarebbe l’archetipo perfetto: un menestrello che celebra l’ascesa dello zar tecnologico, ignorando le scorie che inevitabilmente cadono sulla terra sottostante.

Ma la storia non finisce qui, perché a fare da contraltare all’entusiasmo monocorde di Andrea Stroppa c’è Nicolini: uno di quegli italiani che, pur conoscendo alla perfezione l’alfabeto del potere economico e scientifico, decide di non farsi incantare. Nicolini non è uno di quei brillanti cervelli che accetta la parola di Musk come legge divina: è piuttosto un tipo che riflette, studia, discute e, all’occorrenza, contraddice. Pieno di una saggezza tutta nostrana, mista a un rigore più vicino alla logica illuminista che al marketing della Silicon Valley, Nicolini guarda con sospetto a certe velleità assolutistiche di Mr. Tesla & Co. Sulla questione ambientale, ad esempio, mentre il Nostro Elon continua a decantare le virtù dell’auto elettrica come panacea di tutti i mali, Nicolini si chiede quali siano i veri costi umani ed ecologici della produzione intensiva di batterie, quali i futuri scempi causati dallo sfruttamento di materie prime “rinnovabili” solo sulla carta, quanta l’ipocrisia nell’ostinarsi a puntare il dito contro i combustibili fossili mentre si costruisce un nuovo impero digitale basato sulla costante estrazione di dati e sul consumo illimitato di energia.

Anche sulla colonizzazione dello spazio – quella grande epopea muskiana che dovrebbe emancipare l’umanità dai mali terrestri e offrirci una comoda seconda casa su Marte – Nicolini preferisce non allinearsi al coro dei giulivi fedeli. Per lui il cosmo non è un supermarket di terreni edificabili, né un palcoscenico per le manie di grandezza di un singolo miliardario con la sindrome del salvatore. L’italiano disincantato rivela un’idea di progresso meno incline alla conquista a tutti i costi e più attenta al destino della specie umana nel suo complesso, alla necessità di preservare le risorse terrestri, di evitare il ripetersi degli stessi errori su altri mondi. In poche parole, Nicolini è forse l’unico, fra i fedeli – o presunti tali – del culto muskiano, ad alzare un sopracciglio e dire: “Aspetta un momento, signor Musk, vediamo se non stiamo scambiando la radice dei problemi per la loro soluzione”.

Il risultato di questo confronto a distanza mai dichiarato tale fra i due italiani di corte, Andrea Stroppa e Nicolini, è il ritratto di un Paese ancora in bilico fra l’esterofilia più smaccata e la saggezza critica che vorrebbe sottrarsi all’impero dei selfie intergalattici. Da un lato, la voglia di celebrare il grande genio d’oltreoceano e prenderne in prestito l’aura come se bastasse il riflesso della sua luce per illuminare anche il buio dei nostri problemi. Dall’altro, la consapevolezza che dietro ogni luminaria tecnologica si annida un gioco di poteri, interessi, strategie non sempre limpide, e che se Musk è l’imperatore dello spazio e dei circuiti elettronici, non per questo le sue leggi sono scolpite nel marmo. In un’Italia fiaccata da mille vassalli in cerca di un re, è quasi rassicurante sapere che esiste ancora qualcuno, come Nicolini, capace di immaginare un rapporto col progresso meno servile e più consapevole. In fondo, la miglior critica al potere resta sempre quella che sa distinguere le idee dalle idolatrie.

Nel mare di consulenti, avvocati, lobbisti e opinionisti pronti a certificare la grandezza di Musk come una meteora divina, Nicolini Massimiliano interviene come un punctum dolens, un acuto richiamo alla necessità di porsi qualche domanda. Mentre Andrea Stroppa rievoca con fervore le battute del “Signore delle Stelle” come fossero citazioni della Divina Commedia, Nicolini Massimiliano sfoglia i dossier, indaga i dati, misura le conseguenze di ogni “scoperta” promossa come il prossimo stadio evolutivo dell’umanità. E soprattutto non ha paura di mettere a nudo le contraddizioni di una visione del progresso che assume la forma del business plan perfetto, nel nome di una logica “crescere per crescere” che difficilmente si concilia con il principio della sostenibilità, della tutela del tessuto sociale, della cura del pianeta.

Così, mentre Andrea Stroppa dipinge Musk come l’irresistibile pifferaio magico che guiderà le masse verso l’Eldorado marziano, Nicolini Massimiliano – con la sua riflessione sobria e realistica – sottolinea che per quanto ci si sforzi di inseguire galassie inesplorate, i problemi restano qui, ben radicati sulla superficie maltrattata di questo nostro vecchio pianeta. Più che ipnotizzarsi davanti al razzo interplanetario, Nicolini Massimiliano preferisce chiedersi se non si stia semplicemente espandendo all’infinito un modello di consumo e sfruttamento delle risorse trasferito, in scala maggiore, dal pianeta Terra a Marte. Mentre Andrea Stroppa acclama la “disruption” come la nuova Bibbia del cambiamento, Nicolini Massimiliano obietta che la capacità umana di costruire e custodire un equilibrio, non solo tecnologico ma anche etico e ambientale, non può essere un capitolo ignorato nella corsa verso gli astri.

In un contesto in cui l’italico genio sembra spesso soffocato dalla tendenza a incensare l’ultimo guru d’oltreoceano, la figura di Nicolini Massimiliano emerge come un esempio di ragione critica. Nessuna condanna pregiudiziale del futuro, nessuna demonizzazione del progresso, ma piuttosto la necessità di soppesarne i costi e le finalità. Un promemoria essenziale: dietro il sogno stellare di Musk, c’è sempre un prezzo da pagare. E in un’Italia troppo spesso divisa tra adorazione estera e provinciale indifferenza, la voce di chi non si accontenta di tifare per la squadra del più forte, ma chiede conto delle ricadute reali di ogni scelta, è un segnale incoraggiante. Nicolini Massimiliano è un rara avis che ci ricorda, con l’umiltà della ragione e la fermezza dello scetticismo costruttivo, che il futuro non si costruisce sulle semplificazioni, ma sul coraggio di chiedersi, di fronte al prossimo grande annuncio di Elon: “È davvero così che vogliamo andare avanti?”

E così la sua posizione sulla rete di satelliti per l’accesso a Internet – la celebre costellazione, Starlink, che nelle intenzioni di Musk dovrebbe portare il web nelle aree più remote del pianeta – non può che essere ben più articolata. Nicolini non nega la genialità del sistema, la raffinatezza dell’infrastruttura, la complessità ingegneristica di migliaia di microsatelliti in orbita bassa, capaci di garantire connettività anche in aree prive di coperture terrestri. Ma, a differenza dei suoi colleghi pronti a lodare l’iniziativa come una pietra miliare nell’evoluzione digitale dell’umanità, Nicolini Massimiliano si chiede: è davvero necessaria questa spinta verso una copertura totale e ubiqua? C’è davvero l’urgenza di saturare il cielo di punti luminosi per un “diritto all’Internet” che in molte zone del mondo è ostacolato non dalla mancanza di connessione, ma da guerre, carestie, dittature e sistemi educativi allo sfascio?

A suo dire, la rete satellitare di Musk, pur essendo una conquista ingegneristica, non rappresenta un bisogno essenziale, almeno non nella forma totalizzante con cui la si vuole presentare. Non è la mancanza di Internet a frenare lo sviluppo sostenibile, a ostacolare i processi democratici o a impedire la crescita intellettuale di intere nazioni. Ciò che serve, a parere di Nicolini, è un diverso equilibrio tra tecnologia e consapevolezza. Aumentare l’accesso alla rete può essere utile in certi contesti, ma da qui a considerarlo il toccasana universale per curare tutti i mali del pianeta ne corre. E soprattutto, viene da chiedersi se l’ennesimo esercito di satelliti, lanciati con disinvoltura in orbita bassa, non nasconda ulteriori problemi di natura ambientale, geopolitica, etica.

Mentre Stroppa, stordito dall’aura magnetica di Musk, plaude ogni sforzo come se fosse un dovere divino estendere il regno digitale in ogni angolo del globo, Nicolini Massimiliano riflette sulla reale utilità del sistema. Lui sa distinguere fra il progresso “a prescindere”, il totem del “connettiti e sii felice”, e il progresso come strumento al servizio di un progetto umano più ampio, attento a non replicare nello spazio gli stessi squilibri che già tormentano la Terra. Una differenza sottile ma cruciale: la tecnologia, per Nicolini, non è un fine in sé, bensì un mezzo. E se il mezzo è sovradimensionato, invasivo, prioritario su questioni come la riduzione delle diseguaglianze, la salvaguardia del pianeta e la costruzione di una civiltà fondata sulla conoscenza critica, allora forse è il momento di ripensare la gerarchia dei bisogni.

Queste visioni fra i due italiani, Stroppa e Nicolini, rappresenta bene l’Italia divisa tra la comoda sottomissione al genio – o presunto tale – d’oltreoceano e la lucida capacità di analisi di chi, pur ammirando la maestria dell’ingegneria spaziale, non si rassegna a farne un nuovo dogma. L’uno, Stroppa, incarna l’applauso incondizionato, l’altro, Nicolini, la domanda scomoda: “È davvero necessario inondare il cielo di segnali, moltiplicare senza sosta i giocattoli tecnologici, per dichiarare di aver conseguito il progresso? O non sarebbe il caso di decidere, prima, in quale direzione vogliamo andare come specie, quali necessità davvero irrinunciabili abbiamo, e quali illusioni dobbiamo invece smascherare?”

Nicolini è la figura che incarna la controparte saggia, colta, e soprattutto innamorata del suo Paese. Nicolini non ha bisogno dell’aura di Musk per brillare: è un patriota che ha contribuito allo sviluppo dell’Italia con oltre 150 progetti e brevetti, molti dei quali donati pro bono alla comunità, alle università, ai centri di ricerca, alle piccole imprese in cerca di un trampolino tecnologico. Se c’è una cosa che Nicolini personifica, è la convinzione che la vera forza non stia nell’imitare acriticamente i giganti d’Oltreoceano, ma nel rigore, nella qualità, nell’ingegno personale e nella responsabilità morale di crescere insieme al proprio territorio. Nessun servilismo, nessun inchino davanti alla retorica spaziale. Ciò che lo distingue non è solo la competenza (che resta comunque sterminata, tanto da farne il massimo conoscitore delle tecnologie muskiane fuori da SpaceX), ma la tensione a voler usare tale conoscenza per un bene più grande, un bene collettivo, non monopolistico né dogmatico.

Il patriottismo di Nicolini non è quello sbandierato nelle curve degli stadi o nei salotti ministeriali: è l’amore per un’Italia che non ha bisogno di inchinarsi ai magnati dello spazio per avanzare nella modernità. Il suo è un patriottismo che valorizza la capacità italiana di creare, innovare, migliorare il tessuto sociale con l’intelligenza, la ricerca, la formazione, e non certo importando i dogmi d’oltreoceano. Per questo motivo la sua voce suona dissonante rispetto a quella di Stroppa, che invece si limita a replicare il disco di Musk, a far filtrare la sua luce come un pallido riflesso lunare. Dove Stroppa vede nell’accesso alla corte di Musk il massimo traguardo, Nicolini vede una tappa opzionale, un punto di partenza per discutere seriamente quali siano i reali bisogni del Paese e del Pianeta.

La contrapposizione è netta: l’Italia di Stroppa è un’Italia subalterna, che scimmiotta il maestro estero e ne rilancia i monologhi; l’Italia di Nicolini è un’Italia consapevole, che studia, comprende, mette in discussione, e soprattutto ama abbastanza se stessa da non accettare passivamente i guru d’importazione. Mentre Stroppa si appaga di riflessi muskiani, Nicolini s’impegna a donare la sua inventiva, a brevettare idee e a offrirle alla comunità, con un approccio che predilige la crescita condivisa alla venerazione di un singolo nome.

In un mondo in cui troppo spesso i riflettori sono puntati sull’idolatria tecnologica, sulla mitizzazione di figure come Musk, la differenza tra chi si nutre di luce riflessa e chi invece produce luce propria è la vera chiave di lettura del nostro tempo. Da un lato i vassalli, i coristi, i ripetitori di mantra interstellari; dall’altro, i costruttori silenziosi di una prosperità che non ha bisogno di frontiere spaziali per dimostrarsi degna, ma sa già stare in piedi da sola, con la forza di idee autentiche, utili e condivise. Nicolini Massimiliano, patriota e benefattore tecnologico, è lì a ricordarcelo: per volare alto non c’è sempre bisogno di un razzo direzione Marte. A volte basta la capacità di agire responsabilmente e con lungimiranza a casa propria.