EMANUELA ORLANDI: dimenticarla per ritrovarla? I parte
In questa fase storica, un impasto di incertezze e terrore, costituirebbe un grande favore all'umanità liberare la popolazione da sovrastrutture "comunicazionali" che non reggono più, come si nota dalle reazioni di una società ormai impaurita e strinata da mantra improbabili, a ogni evento, che ne sappia o meno qualcosa. I social hanno abituato la massa a commentare ogni fatto di cronaca come se ne conoscesse tutto, e invece non ne sa nulla: forse, talvolta, i dati anagrafici dei protagonisti, i luoghi dove si sono svolti i fatti, ma poco di più. Eppure l'informazione non manca: ma quale informazione? Di che tipo, a quale obiettivo diretta? Sarà buona, bene ispirata, corretta nei dati e nell'interpretazione? Vuole formare coscienze, educare, deviare, fare business?
Abbiamo trattato spesso casi di omicidi e scomparse, mettendo in evidenza non gli errori (cui tutti sono soggetti) di qualche media nel riferire, ma l'inganno strutturale sul quale talora si fondano articoli e servizi, che spesso non cercano nemmeno di elencare pedissequamente fatti e circostanze - sarebbe già molto - ma corrono alla spasmodica ricerca del colpo a effetto dei loro autori, quelli che qualcuno chiama i "giornalaisti".
Prendiamo allora un caso per tutti, perché tempo è arrivato di illuminare, appena, questa spelonca delle memorie: se poi qualcuno non vuole luce, ma preferisce restare nelle tenebre, in quanto impegnarsi a capire è troppo faticoso, resti pure nel buio e nel vuoto della ragione. Non siamo qui a fornire verità, non ne abbiamo mai avuto la pretesa, solo a scavare, zappettare nel duro terreno della vita, a volte con qualche sorpresa e tenendo ben presente che, come diceva Albert Einstein: " È difficile sapere cosa sia la verità, ma a volte è molto facile riconoscere una falsità".
Qualche mese fa è venuta mancare, a seguito di una grave (reale) patologia, Carla Di Giovanni, settantenne vedova di Enrico De Pedis, ritenuto a suo tempo leader della cosiddetta banda della Magliana gang dai contorni indefiniti che avrebbe imperversato a partire dagli anni settanta, nella gestione dei traffici illeciti capitolini, scalzando i marsigliesi, dominanti fino a quel momento ( secondo accreditati osservatori e, ovviamente, in estrema sintesi).
La signora, pensionata Ater, ex IACP, insomma l'istituto case popolari, aveva sempre condotto una vita ritiratissima, al massimo riprendendo per le orecchie, senza clamori, qualche redattore impreciso nei suoi confronti, senza troppo entrare nel merito delle vicende che avevano coinvolto il marito, soprannominato "Renatino" sposato nel 1988 a trentotto anni lei, trentaquattro lui, freddato con un colpo d'arma da fuoco il 2 febbraio 1990, mentre circolava in scooter per il centro di Roma.
Carla, a quanto sentiamo e leggiamo, ha finito i suoi giorni in scarsa compagnia, anche a causa delle complicazioni ex Covid che hanno tenuto la gente a distanza ( e non è certo la sola); le maggiori testate, nel rispetto che si deve alla morte di una persona la quale, per di più, non è mai entrata in alcuna indagine sul crimine organizzato, non sono tenere con la sua strenua difesa del consorte ucciso. Gli articoletti a lei dedicati sembrano improntati a una compassione tra l'ironico e il severo.
La notizia della morte di De Pedis, al tempo, non riscosse poi quella grande attenzione da parte della pubblica opinione a parte, forse, quella romana. Poco si parlava della banda della Magliana, ogni territorio dello stivale avendo le sue gatte da pelare: era materia da giornalismo d'inchiesta alquanto sofisticato, specialistico, da topo di procura. La famigerata congrega, formata da individui stile gabbio di film poliziottesco all’italiana, che perfino i cognomi avevano, da criminali, si sarebbe dunque scannata sulla leadership, che era stata prima agguantata da De Pedis, descritto però molto diverso dai suo “sottoposti”: elegante, educato, non schiavo di vizi, religioso e benefattore, quasi un delicato viso botticelliano sul corpo della “Monstrua” del pittore Juan Carreño de Miranda (vestita o desnuda, come si predilige). In seguito, a quanto si dice, Enrico “Renatino” De Pedis avrebbe irritato gli altri con il suo pugno di ferro e le eccessive pretese, e quella è gente che, con la mosca al naso, reagisce in un solo modo. Fine della storia…conosciuta.
Gli anni novanta sono trascorsi con l’ambiente italico in tutt’altre faccende affaccendato ma, scavalcato il secondo millennio, appressandosi il declino finale di papa Giovanni Paolo II, alcune inquietudini tornarono a galla, tutte insieme. Nel 2002 uscì il libro “Romanzo Criminale”, ispirando, tre anni dopo, l’omonimo film e una serie televisiva. Il 2 aprile 2005 si spense papa Wojtyla; seguì il periodo ottennale di Benedetto sedicesimo Ratzinger, connotato da polemiche per la rigidità del pontificato e anche una certa distanza intellettuale ed emotiva tra il ricercato teologo tedesco e la folla in cerca di qualcuno da osannare. Si cambiò pontefice in corsa e ora ce ne sono due, uno emerito e l’altro in carica, Francesco, disinvolto, pronto ad adeguarsi a tutto. In buona sostanza, mentre il polacco aveva tenuto duro, dopo di lui sembra essersi aperta una voragine di confidenze.
Nel 2010, durante una puntata di “Chi l’ha visto?”, arrivò una telefonata: un individuo, accentino romano e tono strafottente, invitava a controllare chi era sepolto nella cripta della tomba di Sant’Apollinare a Roma. Dopo un sopralluogo a stretto giro nella basilica, si becca l’ incriminato: Renatino.
A questo punto, in merito alle vicissitudini seguite alla scomparsa di Emanuela Orlandi (ed eventualmente Mirella Gregori), rimandiamo al nostro precedente articolo, con il quale abbiamo dato conto di tutto (poiché ripetere le tortuose e infinite teorie investigative, anche le più bislacche, emerse fino a circa il 2018, dopo l’archiviazione del fascicolo, sarebbe un dispendio di tempo). Se ancora qualcuno ne avesse bisogno, a questo punto del nostro racconto può leggerlo e poi riagganciarsi qui.
Perché la scomparsa di Carla è importante? In effetti, i trafiletti su di lei già svelano l’atteggiamento della stampa mainstream secondo cui la donna, pur di riabilitare l’indifendibile coniuge, ricordava sempre che era pressoché incensurato, a parte una discutibile condanna giovanile frutto di equivoci; ma i media ribattono che il boss è mancato piuttosto giovane, e non ha subito processi solo a causa della lentezza della nostra giustizia e della complessità delle indagini sulla tentacolare ditta criminosa. Vero; ma abbiamo conosciuto trentenni con fedine penali già corpose.
Notiamo subito che morire innocenti non basta; forse non è chiaro che la morte annulla il reato e, se parla soltanto chi sopravvive, senza il contraddittorio con chi non c’è più, l’accusa scolorisce di molto. Non è una sfumatura etica, né un parere in punta di diritto che non potremmo nemmeno permetterci, ma una semplice considerazione di buon senso. Lo dicemmo già, ad esempio, per Pietro Pacciani, lo ribadiamo.
Il defunto e, a bocce ferme, presunto capo della Magliana rimane per noi un fantasma, immortalato in una sola fotografia conosciuta, che è poi quella sulla tomba. Partiamo dunque da questo ritrovamento. La cripta, che in base a sottigliezze di legge non sarebbe territorio vaticano, ma italiano, non contiene, come qualcuno insinuava, le ossa delle due ragazzine scomparse e magari di altri poveri rapiti e mai ritornati, ma solo vecchi resti, forse settecenteschi; nel 2019, dicasi 2019, su imbeccata dei soliti ignoti, si va a ravanare nel cimitero teutonico, quello sì territorio della Chiesa, e si ritrovano, al solito, centinaia di ossetti e ossicini di chissà chi, ma non le ragazzine, disturbando l’eterno riposo di molte persone ma, soprattutto, ci chiediamo: a spese di chi?
Torniamo a Renatino, sepolto in quel luogo pare per volontà di tale don Vergari ( dei nomi ci importa poco, in questa sede), per meriti di beneficenza e in quanto devoto cattolico. Apriti cielo. Non era ammissibile che un tal furfante giacesse accanto a santi e aristocratici ( della irreprensibilità di questi ultimi, non v’è peraltro certezza), dunque la salma viene spostata in un normale cimitero (sempre in piedi la domanda, chi paga?).
Nondimeno, tra ieri, 2005, e oggi, sono accadute molte cose che ci hanno irretito, imbambolato, lasciati di stucco. Va nuovamente citato Marco Fassoni Accetti, sulla qual figura lasciamo parlare sempre il programma della Sciarelli: ci mostrano filmati semiporno, sadomaso e un po’ pedofili, secondo soprattutto la mamma del dodicenne Juan Garramon, investito e ucciso nel 1983 dal fotografo e film maker romano. La signora non usa mezzi termini e si è presa perfino una querela per le sue parole. Diciamolo francamente, chi sapeva, chi ricordava qualcosa del bellissimo ragazzino figlio di un alto funzionario di un’organizzazione internazionale, preso in pieno dal furgone di Accetti a Castelporziano, un posto completamente fuori dai suoi giri, lontano dalla sua abitazione? Marco subì una condanna per omicidio colposo, e verrà nuovamente arrestato nel 2017, in un suo night club, per non meglio precisati residui di pena da scontare, ma nel frattempo…quante ne ha dette e fatte, denunziando giri di intelligence di opposte fazioni interne alla chiesa, pretendendo di svelare retroscena di altri omicidi di matrice internazionale, sempre alludendo al pesante ruolo del Vaticano in ogni torbido mistero, anche se il suo cavallo di battaglia resterà sempre Emanuela Orlandi – e la sua voce, a molti ne ricorda altre ascoltate in certe telefonate, anche perché c’è una strana coincidenza, la locuzione con cui conclude le sue frasi che accomuna interviste a lui e le chiamate anonime.
Sarà lui a pilotare nuove investigazioni verso una certa chiesa (poco conosciuta), in una nicchia della quale verrà ritrovato un flauto dentro la custodia, fasciato in un giornale che parla di Emanuela.
Lasciamolo dov’è e passiamo a un’altra supertestimone che sapeva tutto: Sabrina Minardi( ex moglie di un noto calciatore della Lazio dei tempi d’oro), tossicodipendente e male in arnese, che sostiene di essere stata per lungo tempo l’unica, vera donna di Renatino e descriverà complessi andirivieni della Orlandi su una vettura, lo smaltimento del povero corpo in giornata e altre amenità giudicate dagli inquirenti inattendibili, ma che hanno fruttato un ritorno di notorietà alla sedicente pupa del gangster. Carla però rifiutava questa narrazione, riducendo la conoscenza della Minardi con Enrico forse a un’avventura, non di più; è stata irrisa anche per questo, come la classica moglie che non vuole riconoscere l’infedeltà, ma amici e conoscenti confermano la sua versione: De Pedis la amava e, se pure si è concesso delle digressioni, erano fatti suoi e nulla avevano a che fare con altre faccende.