Il numero di persone residenti in Lombardia è di circa 10 milioni. Quelle ancora contagiate da coronavirus, al 19 marzo, è di poco inferiore alle 20mila, lo 0,2% della popolazione. Dei contagiati lombardi, sono 7.387 i pazienti ospedalizzati, di cui 1.006 in terapia intensiva, cioè coloro che sono da considerare in reale pericolo di vita.
L'emergenza della pandemia da coronavirus vede la Lombardia come la regione in questo momento più colpita.
Giovedì, il presidente della regione, Attilio Fontana, si è presentato in conferenza stampa con il vicepresidente della Croce Rossa cinese, Sun Shuopeng, dichiarando che costui si è detto stupito di come ci sia ancora troppa gente per strada, di quante persone usino ancora il trasporto pubblico e del fatto che sono pochi a indossare la mascherina.
"Ci ha anche detto - ha proseguito Fontana - che le misure sono troppo poco rigorose e che se non si cambia approccio il virus continuerà".
Pertanto, da alcune ore il presidente Fontana invoca nuove chiusure, ma non sappiamo se abbia a meno valutato l'impatto che ulteriori provvedimenti potranno avere sulla popolazione, sommandosi, oltretutto, ai disagi causati da quelli già in essere. Disagi spesso irrisolvibili.
Ma per Fontana, come per altri presidenti di regione, sindaci o detentori di una qualsiasi carica elettiva , in questo momento la parola d'ordine è chiudere, serrare, vietare, non uscire, minacciare, ecc., al di là di capire e spiegare se ciò che propongono sia o meno razionale.
Così, per restare ancora al caso del presidente della Lombardia, Attilio Fontana nella serata di giovedì 19 marzo ha discusso al telefono con il premier Giuseppe Conte per chiedergli un "massiccio utilizzo dell’Esercito come presidio, insieme alle Forze dell’ordine, per garantire il ferreo rispetto delle regole vigenti, partendo dalle corsette e dalle passeggiate in libertà. Chiusura degli studi professionali e degli uffici pubblici, salvo per le attività indifferibili. Fermo dei cantieri. E, ancora, un’ulteriore limitazione delle attività commerciali".
Nel frattempo, presidenti di regione e sindaci hanno già iniziato ad emettere ordinanze per gestire in autonomia, a livello locale, situazioni ritenute di emergenza e come tali indifferibili, nonostante il ministro Boccia (affari regionali) abbia più volte ricordato loro di attenersi alle misure del governo.
Quello che sta accadendo in questi giorni è una situazione di emergenza nuova, mai affrontata in precedenza. In casi simili, qualunque tipo di decisione può essere giusta o completamente sbagliata. Impossibile dirlo a priori, come impossibile, quindi, è criticare le scelte finora compiute. Però, prima di proseguire con nuovi divieti e chiusure, sarebbe forse logico fare un bilancio di problemi e incongruenze causati dai provvedimenti già in atto.
Un esempio? In molti "paesini" dove non esistono sportelli bancari, gli uffici postali sono stati chiusi. Adesso il Governo ha detto di voler anticipare il pagamento delle pensioni a partire dal 26 marzo. Dove riscuotere la pensione che prima veniva pagata a 100 metri da casa? Negli uffici sostitutivi che si trovano a chilometri di distanza e spesso aperti a giorni alterni.
Alle persone anziane si dice di non uscire di casa, però, per far loro riscuotere la pensione (non tutti hanno scelto di farsela accreditare su conti bancari o altro) si obbligano a fare chilometri utilizzando mezzi pubblici (se disponibili!), in mancanza di un auto o di un parente a cui affidare una delega. Il numero verde delle poste, se investito del problema, rimanda la responsabilità al dpcm dell'11 marzo, dicendo che la situazione sopra descritta è una decisione del governo, lo stesso governo che invece ha detto che gli uffici postali devono restare aperti e che gli anziani devono muoversi il meno possibile.
L'esempio sopra riportato è facile credere che sia solo una delle tante incongruenze che molti italiani hanno sperimentato in questo primo periodo di quarantena. Ma sembra che nessuno, finora, sia stato incaricato - dalle autorità locali o da quelle nazionali - di fare un check sui problemi generati dai provvedimenti già emessi dal governo, in modo da porvi rimedio per garantire un livello minimo di servizi ed evitare situazioni di tensione e conseguente caos. E invece di capire e sistemare ciò che non va, che cosa si vuole fare? Chiudere, vietare, impedire, serrare... ancora di più rispetto a prima.
Sicuramente la scelta di ripercorrere l'esempio dello Hubei sarà corretta, ma va ricordato che quella di Hubei è una provincia di 60 milioni di persone che nelle scorse settimane è stata supportata da una nazione, la Cina, di un miliardo e mezzo di persone. L'Italia, invece, è una nazione e non una provincia e se chiude tutto, chi è che la rifornirà? Ancora questo non ci è stato fatto sapere.