"Che l’hai visto?" È il titolo di un esilarante sketch dei comici Lillo e Greg, che ci offre lo spunto per una carrellata storica sul leggendario quasi omonimo programma, cavallo di battaglia di Rai 3.
I conduttori che si sono succeduti alla guida del programma sono stati: Paolo Guzzanti e Donatella Raffai (1989), Luigi Di Majo e Donatella Raffai (1989-1991), Luigi Di Majo e Alessandra Graziottin (1991-1992), nuovamente Donatella Raffai (1993-1994), Giovanna Milella (1994-1997), Marcella De Palma (1997-1999). Alla morte di quest’ultima, subentrò provvisoriamente un team formato da Fiore De Rienzo, Tiziana Panella, Pino Rinaldi e Filomena Rorro (2000). Poi arrivò Daniela Poggi (2000-2004) e infine, dal 2004 ad oggi, Federica Sciarelli.
Quando iniziò, il 30 aprile 1989, il programma sembrava rispondere a un’esigenza sentita a livello internazionale, ovvero venire incontro ai drammi delle scomparse di grandi e piccini, che gettavano nello sconforto i familiari e, di fatto, non venivano particolarmente attenzionate dagli inquirenti.
La prima puntata in particolare rimane nel mito: si cercava una soldatessa americana della Nato, di stanza a Napoli, tale Jennifer; dopo pochi giorni i media tripudiarono di gioia, quando la ragazza fu ritrovata, così si disse, mentre, dopo aver disertato, se la spassava con alcuni marocchini.
Grazie al web, oggi è possibile ripercorrere quegli anni, le edizioni scese nell’oblio, l’evoluzione – o involuzione, secondo punti di vista – del copione.
Le sparizioni, in effetti, sembrano nascondere, nella maggioranza dei casi, più oscuri traffici, omicidi, realtà criminali, che una reale volontà di allontanamento. Già negli anni novanta, infatti, si cambiò strada, dedicandosi alla cronaca nera. Le circostanze relative a fughe da casa si sono moltiplicate, ma riguardano sostanzialmente minori in fuga, scappatelle di soggetti oberati da debiti o ricattati per qualche grave marachella, anziani affetti da Alzheimer, tutta gente che a volte viene ritrovata, ma spesso evapora per sempre.
Naturalmente, anche pressato dalla concorrenza, il format si è adeguato ai “tempi moderni”, sbattendo in faccia al mondo intercettazioni imbarazzanti e talora poco inerenti alla ricerca della verità, filmati di telecamere, dialoghi rubati in carcere, un menu ghiotto per il popolo sempre affamato di misteri. Per alcuni, queste formule tendono a sostenere le tesi accusatorie delle procure e non v’è dubbio che, in molti casi, l’opinione pubblica sia stata influenzata: col risultato, sulla pagina Facebook di “Chi l’ha visto?” (detto anche CLV), di uno sbocciare di interminabili post, con lacrimevoli dichiarazioni di solidarietà o, viceversa, feroci condanne a priori, per imputati non ancora giudicati nelle aule di giustizia. Il che, per un servizio pubblico, che si fa vanto di non pagare intervenuti, parenti di vittime ed ospiti, non sembra un risultato eccelso: ma siamo nel terzo millennio, non c’è alternativa alla spettacolarizzazione.
Qualche casistica si rende necessaria, a questo punto, a spanne, pescando a caso.
Torme di ultraottantenni scompaiono in bicicletta: ma dove se ne andrebbero, tutti soli, senza che nemmeno il velocipede venga mai rinvenuto?
Giovanotti, più raramente ragazze, si ritrovano uccisi in giro per il mondo, o svaniscono nel nulla, con il regolare coro di parenti amici: bravo ragazzo, studiava, poteva fare tutto ciò che voleva, non si capisce perché sia accaduto.
Non si contano i casi di giovinette brutalizzate, talvolta assassinate, talaltra risucchiate in qualche vortice di malavita, sbandate nel mondo per motivi che nessuno esplora mai davvero.
Il “femminicidio” è in primo piano (trainato da “Amore Criminale”, sulla stessa rete), ma cosa sia alla base del comportamento di maschi violenti, non viene mai detto. Fa molta più audience parlare degli effetti, mai delle cause.
Non sono mancati sfondoni, in questo trentennio di attività, casi finti, rivelatisi semplici allontanamenti per divergenze, non si sa perché passati positivamente al vaglio degli autori, che si immaginava più severo. Riempire spazi?
Gli inviati hanno finito per somigliare a quelli di “Striscia” o Iene, rincorrendo malcapitati che, seppure sospetti o poco limpidi, pure erano stati prosciolti o usciti dalle indagini: all’estero, queste scene di rincorse forsennate, scampanellate ai citofoni, insistenze da zecche aggressive verso il privato cittadino, non sono più ammesse da un pezzo. La stessa Sciarelli, dopo aver trionfalmente annunciato l’inizio di una collaborazione con l’analogo programma spagnolo, dovette dichiarare che era finito prima di nascere, perché in terra iberica avevano chiuso il format.
A proposito della bionda Federica, figlia, ci dicono, di un avvocato statale, già creatura di Sandro Curzi, che strano personaggio: a differenza dei suoi collaboratori, la sua scelta lessicale è povera e fintamente popolare, dove il congiuntivo è disprezzato e saltano addirittura le consonanti (“io ho origini napoletane, dichiara fieramente). Molto tempo fa, ospite di Corrado Augias nella trasmissione “Enigma”, disse chiaramente di ritenere salutare l’alternarsi dei conduttori e che fosse sbagliato cristallizzarsi: invece da sedici anni è inchiodata nello studio, da poco deserto di spettatori a causa del COVID. Riguardo a quest’ultimo: qualcuno si è chiesto come potessero scomparire persone giovani e vegete durante il lockdown più duro nella storia dell’umanità, quando le forze dell’ordine praticamente presidiavano perfino l’uscita dai quartieri…
E fosse l’unica, la Sciarelli, a occuparsi di certi argomenti. I palinsesti della RAI ( senza contare il resto) sono zeppi di sipari dedicati al noir, ognuno impegnato a ricalcare un cliché ormai usurato: nessuno mette “ i piedi nel piatto”, non si va oltre uno schema.
Sarebbe ora di finirla? Sarebbe meglio, per un verso rispettare maggiormente la tanto decantata privacy, dall’altro limitarsi a programmi più snelli, giornalistici e rigorosi, e smetterla con i pastoni indigesti? Pare che no, piacciano questi.