Nessuno, o quasi, in questi anni ne ha parlato e se lo ha fatto è stato solo per dire che non avrebbe portato a niente e che tutto era riassumibile, più o meno, in una buffonata.

Si tratta del processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia, il processo in cui lo Stato ha messo alla sbarra se stesso, ipotizzando un accordo che avrebbe dovuto portare a concludere la cosiddetta "stagione stragista" del '92 e '93, in cambio di un'attenuazione delle misure detentive previste dall'articolo 41 bis, dopo le condanne di centinaia di mafiosi dovute all'attività del pool di Palermo guidato da Giovanni Falcone.

Il processo, iniziato nell'ottobre del 2012, aveva come imputati responsabili della trattativa, almeno quelli allora in vita, i mafiosi Totò Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, i senatori Marcello Dell'Utri e Calogero Mannino, con l'accusa di minaccia e violenza a un corpo politico dello Stato; l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, per falsa testimonianza; Giovanni Conso, Adalberto Capriotti e Giuseppe Gargani, accusati di aver dato false informazioni ai pubblici ministeri.

Dopo cinque anni e mezzo di dibattimento, venerdì si è arrivati quasi alla conclusione del primo grado con la richiesta delle condanne da parte della Procura di Palermo, tramite il pm Nino Di Matteo.

Per l'ex capo del Ros, Mario Mori, sono stati chiesti 15 anni di carcere. 12 anni per l’ex senatore Marcello Dell’Utri, che oggi sta scontando una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Condanna a 16 e 12 anni di carcere per i boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, anch'essi accusati di minaccia a corpo politico dello Stato. Per il pentito Giovanni Brusca, i pm hanno chiesto le attenuanti previste per i collaboratori di giustizia e la dichiarazione di prescrizione.

Così è stato anche per Massimo Ciancimino per quanto riguarda le accuse di concorso in associazione mafiosa, mentre per il reato di calunnia nei confronti dell'ex capo della polizia De Gennaro sono stati chiesti 5 anni di carcere.

Infine, una condanna a sei anni di carcere è stata chiesta anche per l'ex ministro Nicola Mancino.

Queste le parole del pm Di Matteo pronunciate al termine delka sua requisitoria: «Noi siamo arrivati al temine della nostra requisitoria. Personalmente, lo stesso vale per il collega Del Bene, la nostra applicazione al processo cessa con l’udienza di oggi.

Questa è un'ultima udienza di un impegno in due procure particolarmente esposte come Palermo e Caltanissetta, che è durato 25 anni. Questo processo, che ho seguito fin dalle indagini preliminari assieme al collega Ingroia, si è portato dietro, ed è destinato a portarsi dietro, una scia infinita di veleni e di polemiche.

Man mano che andavo avanti, già nella fase delle investigazioni, iniziavo ad avere contezza del costo che avrei pagato con questo processo e credo di non essermi sbagliato. Hanno più volte affermato, che l’azione di noi Pubblici ministeri è stata caratterizzata perfino da finalità eversiva, nessuno ci ha difeso da accuse così gravi.

Ma noi l’avevamo messo nel conto, perché così avviene in quei casi, sempre meno frequenti, in cui l’accertamento giudiziario non si limita alla ricostruzione minimalista degli aspetti criminali più ordinari, ma si rivolge all’individuazione di profili più alti e di causali più complesse.

Quelle che, come in questo processo, corrono parallele non per un singolo fatto criminoso, ma ad una vera e propria strategia. Nel nostro caso quella strategia stragista con la quale Cosa Nostra ricattò lo Stato con la complicità di uomini di quello Stato.

Siamo veramente onorati di avere avuto l’occasione di confrontarci con la eccezionale serena, profonda autorevolezza di questa Corte di Assise. Abbiamo una sola ulteriore consapevolezza che ci fa vivere con umiltà, ma anche con un orgoglio che nessuno ci potrà togliere, di aver sempre agito esclusivamente per cercare la verità nel rispetto della legge rifuggendo da ogni calcolo di convenienza o opportunità.

Ma in ogni momento anche in quelli più difficili, nei quali abbiamo avvertito la sensazione di profondo isolamento, senza paura, con la serena determinazione di chi sa che prestando obbedienza ai principi della nostra Costituzione ed in primo luogo quello di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge sta semplicemente compiendo il suo dovere di magistrato