Il recente ritrovamento di quei corpi ammassati nel supermercato di Mariupol, abbandonati, esposti agli elementi, agli animali, agli insetti, lasciando che il loro lento deterioramento biologico fosse avvenuto senza che i loro simili intervenissero per ristabilire il confine tra la morte umana e la natura, ha fatto capire quanto la civiltà, anche quella a noi più prossima, possa regredire allo stadio pre-culturale nello spazio di poche settimane. Quando parlo di pre-cultura (e non di pre-civiltà), parlo dell'oscuro periodo paleontologico che precedette l’apparizione dei primi utensili di selce, gli ornamenti e poi le prime forme di linguaggio ideografico rappresentato dagli affreschi rupestri, la cultura appunto, se per cultura intendiamo tutti i comportamenti e tecniche umane non predeterminate geneticamente alla sopravvivenza.

Ci vollero migliaia di anni per vedere comparire negli strati geologici superficiali relativi all’Homo Sapiens le prime forme di sepoltura rituale, non dettate cioè dalla semplice necessità di eliminare gli effetti indesiderati della decomposizione. Questo processo fu lento e molto più antico di quanto non si pensi. 


IL RITUALE DELLA SEPOLTURA GIA' PRESENTE NELL'UOMO DI NEANDERTHAL

Qualche anno fa lessi un libro sull’uomo di Neanderthal, nome scientifico che gli deriva dalla località tedesca, la valle di Neander (Neandertal), dove venne ritrovato il primo individuo nel 1856. Da questo libro di natura scientifica, emergeva la plausibilità, in base a certi indizi paleontologici, che anche l’Homo Neanderthalensis - secondo alcuni catalogato come anche come Sapiens Neanderthalensis per l’approdo evolutivo convergente da un comune antenato, l’Homo Erectus - seppellisse i propri morti con l’astrazione di pensiero tipica di una elaborazione "trascendente". In alcune sepolture sono state trovate tracce di fiori e oggetti di uso quotidiano. Oggi è un’ipotesi sempre più accreditata che deve combattere però contro convinzioni e luoghi comuni mutuati dall’epoca dei primi ritrovamenti. Le arcate sopraciliari molto pronunciate, la mandibola forte ma sfuggente indusse, infatti, i primi studiosi a ritenerlo più vicino ad un primate antropomorfo che ad un uomo.

Il ramo evolutivo che portò al Neanderthal fu in realtà di successo, tanto che l’ominide regnò per 200.000 anni, fino a 20/30.000 anni fa. Il suo cervello, in termini di volume, era più grande di quello dell’uomo moderno (1.520 centimetri cubici contro i 1.195 cc dell’uomo moderno) e la base della sua lingua era dotata dell’osso ioide necessario a formulare un linguaggio. Scomparve progressivamente per cause tutte accreditate come plausibili, come l’isolamento genetico, la minore adattabilità alimentare, il minor successo nel rapporto riproduttivo, malattie introdotte da Homo Sapiens, che fu contemporaneo del primo per un certo numero di millenni, per le quali Neanderthal non era immunizzato. Sembra che gli ultimi gruppi, si siano estinti nella penisola iberica, nel loro ritiro progressivo verso occidente, incalzati da homo sapiens proveniente anch’egli dall’Africa. Un uomo di Neanderthal  ritrovato a Gibilterra è stato datato a un periodo risalente a  25.000 anni fa.

Con Homo Sapiens i riti funerari e le tecniche di sepoltura si svilupparono rapidamente, testimoniate dalla potenza tecnica e simbolica. Il culto dei morti divenne via via, sempre più complesso fino alle prime civiltà della storia che domesticarono i vegetali ed elaborarono la scrittura e una complessa mitologia attorno al culto dei morti. Alcune ricerche dimostrano quanto in là risalgano i riti funerari nell’Homo Sapiens basandosi sullo studio di civiltà neolitiche ancora viventi, come ad esempio quella degli aborigeni d’Australia approdati sul continente circa 40.000 anni fa dall’Indocina (qualcuno ipotizza addirittura 60.000 anni fa). 

Perché abbiamo iniziato con disquisizioni di tipo paleontologico? Ma perché queste dimostrano appunto quanto siano antiche le prime forme di sepoltura attenzionata. 


IL MITO DELL' INVIOLABILITA' DELLA SEPOLTURA NELL' ANTIGONE DI SOFOCLE 

Domenico Quirico, su La Stampa, riferendosi alle fosse comuni dell’Ucraina o ai morti abbandonati per strada e negli scantinati, ha scritto che nell’antichità l’oltraggio dei morti era forse il delitto più grave che si potesse compiere, come dimostra la negazione da parte del Re Creonte di una sepoltura, nell'Antigone di Sofocle. Creonte era il tutore di Eteocle, re di Tebe, ma divenne re con poteri assoluti dopo la morte di quest'ultimo, avvenuta in duello per mano di suo fratello Polinice per il possesso del trono. In questo duello, tuttavia, perì anche Polinice, e Creonte ordinò che nessuno osasse dargli una sepoltura onorevole. Antigone però, fidanzata del figlio Emone, volle seppellire il fratello, così Creonte la condannò a morte murandola viva in una tomba. Poi, incalzato da Tiresia, la liberò, ma troppo tardi: Antigone fu trovata morta, ed Emone si uccise sul corpo dell'amata. Tanta fu la tragedia per una sepoltura negata.

C’è sempre stata una differenza abissale tra il deporre le spoglia mortali in forma di future esequie, prendendosene cura, lavandole, accudendole, vestendole o agghindandole, parlandogli e deponendole prima dell'addio e l’esporre un cadavere abbandonandolo alle intemperie, alle fiere e agli insetti, mostrando il suo lento degrado biochimico o seppellendolo al solo fine di occultuarlo alla vista delgli altri.

In ambito archeologico poi i ricercatori sanno riconoscere i resti umani frutto di sepoltura rituale e ordinata da quelli frutto di sepoltura caotica e casuale. In altre parole, individuano subito quella linea di demarcazione tra la cura e l’indifferenza, tra la delicatezza e la brutalità, tra la costernazione e il disprezzo.

Spesse volte sono emerse fosse comuni o sepolture casuali di epoca antica, frutto dei più svariati drammi, dalle epidemie, alle carestie, alle guerre, con risvolti in taluni casi raccapriccianti, come una fossa comune risalente ad un periodo dinastico dell’antico Egitto contrassegnato da una prolungata carestia che avrebbe causato un tracollo sociale. I morti per fame sarebbero non solo stati gettati frettolosamente in fosse comuni, ma alcuni reperti ossei presentavano i segni tipici della scarnificazione del consumo cannibalistico. Parliamo della civiltà egizia, forse quella più evoluta della storia antica e in cui l’elaborazione del culto dei morti raggiunse senz’altro il suo apice. 


ANCHE LE CIVILTA' PIU' EVOLUTE POSSONO REGREDIRE BRUTALMENTE

Questo ci dice che anche le società più evolute e sofisticate culturalmente possono regredire repentinamente a seguito di un cataclisma, di un ribaltamento sociale o di una guerra ed essere spinte a compiere atti fra i più innominabili come il cannibalismo. 

Pensandoci bene, credo che quello che si sta compiendo in Ucraina sia una forma di cannibalismo dei corpi pianificata, ancora peggiore di quella dettata da “un’estrema necessità”, come nel suddetto episodio dell’antico Egitto o come per i morti abbandonati per le strade e nelle case blindate con assi di legno della peste del 1348. I morti di Bucha o Mariupol (che forse da oggi chiameremo Martiriupol) si sono deliberatamente voluti lasciare esposti agli sguardi rapaci e vendicativi, allo scherno e al monito, ci si è accaniti lasciando che divenissero sagome marcescenti.

Tutto questo è accaduto in pieno ventunesimo secolo, in quello che credevamo avrebbe rappresentato il superamento definitivo di tutte le superstizioni. Nessuna illusione è stata più grande. Le immagini di guerre europee in bianco e nero con lampi e pioggia delle pellicole ormai logore, sono diventate a noi contemporanee, brutalmente. Ci hanno proiettato nel mondo satrapico dei libri di storia antica, dove le atrocità di eserciti nemici ci sembravano tutto sommato esagerazioni della propaganda cronistica (Erodoto, Tucidide ecc..). E invece i satrapi di turno si ripresentano a intervalli regolari e, come quelli delle cronache antiche (troppo spesso vissute come favole), sono longevi, prolifici e pestilenti di morte e distruzione. A tal proposito sembra esserci un vincolo morboso, quasi provvidenziale, di proporzionalità tra la longevità di questi uomini e la loro empietà. Basta leggere le cronache delle guerre germaniche di Marco Aurelio o i resoconti della drammatica epopea ed eccidio dei Goti, lasciati morire di fame dentro i confini dell’Impero, per renderci conto che quelle descrizioni di cadaveri lasciati divorare dai corvi a migliaia, convergono macabramente con quanto abbiamo visto compiersi in Europa oggi, nella ricca, fastosa e sofisticata Europa 1.700 anni dopo. 

IL MITO DEI CANI CUSTODI

La custodia dei corpi ha un tale e incommensurabile valore simbolico per gli uomini, da aver attribuito questa prerogativa persino al miglior amico dell’uomo del regno animale, il cane, a cui vengono attribuite le virtù della fedeltà e della pazienza. Come Il cane Argo dell'Odissea che muore il giorno stesso in cui ritorna il suo padrone Ulisse, disperso per vent'anni da accigliati dei. In molti luoghi, sono sparpagliati i monumenti dedicati ai cani custodi veglianti i corpi dei loro padroni morti in un incidente o in guerra. Questo valore simbolico, umanamente più grande della nostra caducità, deve essere anch’esso custodito, coltivato, tramandato senza esitazioni, perché è il naturale confine tra la civiltà e la barbarie.

I morti lasciati lì, per le strade, per le macerie e gli scantinati dell’Ucraina, non significano necessariamente la fine della civiltà - ci sarà, dopo l’indignazione, il tempo delle doglie, dei riti collettivi della riesumazione, del lutto, dei pianti e dei rituali funebri - significano soltanto che la civiltà, anche quella capace di scendere con un drone su Marte, può precipitare brutalmente in quella incomprensibile atavica violenza iscritta nei suoi geni che solo l’ostinazione e l’allenamento alla giustizia, alla elaborazione culturale, alla condivisione e allo sviluppo possono allontanare per il maggior numero di anni possibili. In questo credo che le società e le dirigenze democratiche si debbano distinguere da quelle dittatoriali, dove il lutto e il rispetto dei morti è solo un orpello della retorica dell'eroismo trionfalistico, mentre il sentire intimo anche se vascolarizzato nel collettivo, viene smorzato, represso, ridotto a silenzio.

Il desiderio profondo e disinteressato di dare degna sepoltura e onoranza a quei morti è l’unico, nelle società veramente civili, a poter riequilibrare anche le sorti dei vivi di fronte al trauma della violenza di massa e della perdita.