Intervista allo scrittore romano ed ex Caporal Maggiore dell'Esercito, Mirko Giudici.
a cura di Michele De Marchis, giornalista e scrittore


Parliamo di "Uranio Impoverito" con Mirko Giudici, ex Caporal Maggiore dell'Esercito, che è stato in prima linea, nella missione militare di pace nel Kosovo negli anni 2000-2001, una piccola provincia dell'Ex Jugoslavia terribilmente colpita da proiettili ad Uranio.
Negli ultimi dieci anni sarebbero 3.700 i reduci da missioni all'estero che hanno avuto un tumore. In 532 hanno richiesto un risarcimento al ministero della Difesa. Nessuno di loro ha ancora visto un euro. Vuoi commentare e parlarci di questo problema?A questo proposito ho scritto un romanzo: "Dietro gli Occhi di un Soldato", edito da MjM Editore di Milano, per raccontare la mia personale esperienza da soldato durante la missione di peacekeeping nel Kosovo. Un libro che fa rivivere i momenti e gli stati d’animo di chi era in prima linea e operava con tanta difficoltà nell’inferno della guerra, dove violenza e odio sono i protagonisti assoluti di una sanguinosa realtà e dove povertà e fame rappresentano il crudo scenario con cui dover fare i conti ogni giorno, ogni ora, ogni singolo minuto. Un libro che mette in evidenza la mia maturazione personale nel voler contribuire con la mia goccia di pace e solidarietà a prosciugare l’oceano scarlatto e devastante della guerra.Un libro che vuole mettere in risalto una denuncia per un tema molto caldo, quello dell'Uranio Impoverito, che è stato oggetto di molte polemiche e numerosi studi scientifici.

Molti militari italiani che operavano in zone di guerre, come la Bosnia ed il Kosovo, si sono ammalati di cancro e leucemia . Cosa ne pensi a riguardo?
Si tratta di uomini in divisa che hanno servito con onore la bandiera italiana ,variegati per appartenenza militare , ma con un unico comune denominatore: una patologia provocata da esposizioni all’uranio impoverito o al radon, un gas radioattivo completamente inodore che deriva sempre dallo stesso metallo. Si sentono rinnegati da quello stesso Stato che hanno servito fin da ragazzi, dimenticati dalle istituzioni, snobbati dalle autorità alle quali hanno chiesto aiuto. Sarebbero quasi 3.700, secondo i più recenti dati a disposizione, i militari di ritorno da missioni all’estero che negli ultimi dieci anni si sono ammalati di tumore. Trecentoquattordici dal 1999 fino a oggi, invece, quelli già deceduti.La lista di morti e malati sottoposti a cure estenuanti continua infatti ad allungarsi, con segnalazioni dettagliate in tutta Italia, quasi ogni mese. Anche da parte di uomini giovanissimi, fra i 22 e i 45 anni.

Sappiamo che qualche hanno fa è stato istituito un fondo per risarcire le vittime da uranio impoverito. Vuoi commentare questo aspetto?
Il ministero della Difesa, che nel 2010 ha persino istituito un “gruppo progetto uranio impoverito” proprio per studiare il fenomeno e ha messo a disposizione un fondo di 30 milioni di euro (finanziato con 10 milioni di euro all’anno) per risarcire eventuali vittime, continua a non rispondere alle loro lettere, telefonate e richieste d’aiuto. Tanto da obbligarli a ricorrere ai tribunali civili, che in questi anni hanno registrato una lunga serie di condanne.Di molti di loro si sta occupando la Procura di Rimini. Dove un pool di magistrati creato ad hoc ha messo insieme in poco più di un anno un totale di 27 casi, fra esposti e denunce. L’Italia, infatti, è uno dei pochissimi Paesi europei ancora scettico di fronte a un collegamento fra l’esposizione al materiale con cui sono costruite le teste di guerra delle munizioni usate dalla prima Guerra del Golfo ad oggi e l’insorgenza delle forme tumorali.
Voi militari che operavate sul territorio avevate delle protezioni o un vestiario speciale che indossavate per gestire tutte le operazioni previste dalle normative militari della Nato?"CI DICEVANO: E’ TUTTO A POSTO"Noi italiani operavamo a mani nude, con il volto scoperto, senza maschere, in territori altamente inquinati da proiettili di uranio impoverito, ancora conficcati al suolo”, ricorda oggi, “e poi vedevamo i soldati statunitensi tutti bardati, con divise ultratecnologiche che sembravano sbarcati da un film di fantascienza, ma quando abbiamo chiesto ai nostri superiori perché fossero così protetti - e noi invece no - loro ci rispondevano: sono americani, sono esagerati. Non preoccupatevi: è tutto a posto”.Eppure i rischi delle esposizioni da uranio impoverito, alle autorità italiane, dovevano essere ben noti da tempo. In particolare dal 1999, da quanto l’U.S. Army divulgò un’informativa rivolta ai vertici militari di tutti i Paesi presenti in missioni nella ex Yugoslavia sulla pericolosità delle neoparticelle di uranio impoverito.Il documento illustrava in inglese come difendersi dai rischi dovuti al contatto con l’uranio, per esempio lavandosi le mani e coprendo la pelle esposta. Inoltre, per quanto riguarda le missioni in Kosovo, una cartina segnalava le zone bombardate da armi di uranio impoverito.
Una polvere terribile, l’uranio, in grado di infilarsi nelle divise dei militari e di provocare negli anni malattie irreversibili. Vuoi spiegarci meglio questa situazione con gli occhi di chi ha vissuto sulla propria pelle questa drammatica esperienza?
Mi ricordo molto bene che i militari americani affermavano che neanche un lembo di pelle doveva rimanere esposto a quel metallo, e i soldati erano tenuti a indossare tute completamente impermeabili. Invece i nostri erano vestiti poco più che in braghe di tela, si sedevano nelle camionette dove sui sedili era rimasta la polvere di uranio, che si infilava nelle mutande e nei pantaloni. E questo spiega l’anomala insorgenza di tumori non solo alle vie respiratorie, ma anche ai testicoli e rettali”.

Ci hai raccontato che lo scorso anno ti è stato diagnosticato un "cancro". Ritieni che possa sussistere una correlazione tra la tua esposizione in zone colpite da uranio e l'insorgenza della tua patologia?
Ci ho pensato molte volte e non posso escludere che l'aver partecipato alla missione in Kosovo e aver operato in zone colpite da uranio possano, in qualche modo , aver provocato l'insorgenza del cancro. Molti militari che erano con me si sono ammalati e alcuni purtroppo hanno perso la vita. Fortunatamente, sono vivo e posso raccontarlo. Ho affrontato le dure terapie chemioterapiche, ho sostenuto innumerevoli spese mediche,  ed è stato un momento buio e doloroso della mia vita.Oggi, da punto di vista oncologico la situazione si è normalizzata ma a volte temo una possibile recidiva della malattia.

Sono state tantissime le denunce fatte dai militari vittime da uranio impoverito e tante sono le associazioni che ancora oggi combattono per difendere i diritti dei militari che si sono ammalati di "cancro". Che idea ti sei fatto a proposito di questa cosa?
Per le vittime, nel 2010 è stato anche istituito un fondo da 10 milioni di euro all’anno. Che oggi ammonta a 30 milioni. Da allora agli sportelli del ministero sono arrivate 532 domande da parte di militari. Di queste, fanno sapere dalla Difesa, dopo essere state esaminate da una apposita commissione medica, “circa il 25% sono state accolte”. Oltre il 70%, va da sé, sono invece tornate indietro.E così, di pari passo con le inchieste giudiziarie, procedono lentamente la giustizia civile e la Corte dei Conti. Fino a oggi si contano 25 sentenze di condanna in tutta Italia nei confronti del Ministero della Difesa. I giudici si spingono là dove i vertici militari rimangono scettici: riconoscono il nesso di causalità fra la malattia sviluppata dai militari e la loro esposizione in missione all’uranio impoverito. Finora nessun militare ha riscosso un solo euro da parte del ministero della Difesa. Ma se queste condanne dovessero passare in giudicato, lo Stato potrebbe essere obbligato a versare una valanga di risarcimenti.

C'E' DA DIRE CHE IL TAR HA INVERTITO L'ONERE DELLA PROVA E HA FATTO RINASCERE LE SPERANZE AI MILITARI ITALIANI.  VUOI COMMENTARE QUESTO ASPETTO?
Qualcosa è cambiato e sta cambiando, infatti , a ridare speranze ai militari e soprattutto un po’ di giustizia sta intervenendo ora anche il Tar. Sono in aumento i ricorsi accolti delle vittime di tumori che si erano viste negare gli indennizzi dallo Stato, ma a mettere con le spalle al muro il Ministero della difesa è stato soprattutto il Tribunale amministrativo del Lazio, con la sentenza a favore del caporal maggiore Giuseppe, arruolatosi nel 1999 e congedato nel 2010, dopo essere stato colpito da un linfoma di Hodgkin. I giudici hanno stabilito che deve essere la Difesa a dimostrare che i tumori non sono stati causati dall’uranio impoverito e non le vittime a provare il contrario. Malato e senza lavoro, l’ex paracadutista del Col Moschin di Livorno si era visto negare i benefici previsti dalla legge del 2010. Il Ministero aveva insistito sulla necessità della certezza scientifica, pressoché impossibile, sul nesso di causalità tra l’esposizione all’uranio e l’insorgere del cancro. Una tesi portata avanti anche davanti al Tar, specificando che il caporal maggiore non era mai stato in missione all’estero e si era occupato soltanto della bonifica dei mezzi di ritorno dal Kosovo, particolare che escluderebbe il rischio di contrarre la malattia.Una posizione bocciata completamente dai giudici, specificando che è “in contrasto con quanto sostenuto dalla comunità scientifica internazionale e recepito dalla istituzioni politiche”. Il Tar ha poi evidenziato soprattutto che “il riconoscimento dell’indennità non richiede quel grado di certezza di dimostrazione del nesso causale”, essendo sufficiente la dimostrazione “in termini probabilistico-statistici”, con “inversione dell’ordine della prova”. Quando deve dunque essere riconosciuto il beneficio? “In tutti quei casi in cui l’Amministrazione non è in grado di escludere un nesso di causalità”. E così cambia tutto.
Nel tuo romanzo "Dietro gli occhi di un Soldato", c'è una chiara denuncia al problema "uranio", in che modo le autorità competente ha mascherato questa tragica "realtà"?
Ad un certo punto della missione, i nostri superiori ci hanno comunicato che la Nato aveva stabilito un aumento dell'indennità giornaliera per ciascun militare, come a dire, che con i "soldi" hanno voluto insabbiare la verità delle cose, mettendo a rischio la salute di centinaia di migliaia di soldati impegnati sul territorio. A questo proposito, non dimenticherò mai le parole di mio padre, che durante una telefonata, mi aveva riferito che in Italia era scoppiato lo scandalo dell'Uranio Impoverito, ma a noi che eravamo lì ,non ci veniva detto niente e veniva minimizzato tutto.
Ringraziamo lo scrittore romano Giudici Mirko per questa testimonianza.
Ringrazio voi per questo spazio che avete dedicato ad un tema "caldo"ancora oggi,come quello dell'Uranio Impoverito.

Per concludere vuoi dire ai tui lettori dove possono acquistare il tuo romanzo?
"Dietro gli occhi di un Soldato" è acquistabile in formato EBook nei migliori store online ed in versione cartacea presso Amazon e Lulu.