Il celibato dei sacerdoti si fonda sull'insegnamento evangelico. Nei testi di Matteo, Marco e Luca è Gesù stesso che indica la via da percorrere a coloro che vogliono seguirlo per essere suoi discepoli e testimoni: essere come lui. Egli infatti visse la propria missione in uno stato verginale e la richiesta di sequela che egli faceva ai suoi discepoli, i quali avrebbero dovuto abbandonare ogni cosa a causa sua, conteneva la promessa della vita eterna ma anche il centuplo in questa vita, ossia la possibilità di iniziare a pregustare la bellezza del paradiso vivendo la quotidianità dell'esistenza.

È su questo modello che la Chiesa latina ha fondato la propria tradizione, che viene fatta risalire addirittura a Cristo stesso. Successivamente, anche nelle lettere di Paolo si fa riferimento alla condotta di vita casta che è una prerogativa fondamentale per essere un buon presbitero ed un buon Vescovo: il rischio altrimenti è quello di vivere una sorta di scissione personale, una divisione del cuore che si porta dentro colui che è chiamato a svolgere il ministero sacro. Il consiglio di Paolo è quello di non prendere moglie per dedicarsi totalmente all'annuncio del Vangelo.

 
Il celibato nei Vangeli 

“Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono altri che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire capisca”. Con queste parole, tratte da Matteo 19, 12 (Nuovo Testamento, Marietti, 1981, pp. 26-27), la Chiesa Cattolica ha voluto ravvisare la condizione particolare alla quale sono chiamati gli uomini che Dio ha scelto attraverso il sacerdozio per farsi conoscere da tutti gli altri uomini. Chi opera questa scelta, dice Gesù, come testimoniato dal Vangelo di Matteo (19, 29), “riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”.

Ma anche gli evangelisti Marco e Luca riferiscono quasi le medesime parole: “In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna” (Marco 10, 29-30). L'evangelista Luca è ancora più preciso perché parla esplicitamente di moglie: “In verità vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà” (Luca 18, 29-30).

La promessa della vita eterna e del centuplo qui investe ogni aspetto, affettivo e materiale, della vita dell'uomo ed è su questa precisa richiesta di Gesù, di lasciare tutto e seguirlo, che la Chiesa ha ravvisato la missione del sacerdote che, dedito totalmente al Signore, si lascia plasmare conformemente a lui. Riecheggia la celeberrima domanda di Cristo a Pietro descritta nel vangelo di Giovanni: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?” (Gv 21, 15).

Osserva a questo proposito il cardinale Walter Brandmüller, Presidente emerito del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, in un articolo dal titolo Noi sacerdoti, celibi come Cristo, apparso sul quotidiano “Il Foglio” nel luglio 2014: “Gesù non rivolge queste domande alle grandi masse bensì a coloro che manda in giro, affinché diffondano il suo Vangelo e annuncino l’avvento del Regno di Dio. Per adempiere a questa missione è necessario liberarsi da qualsiasi legame terreno e umano. E visto che questa separazione significa la perdita di ciò che è scontato, Gesù promette una 'ricompensa' più che appropriata.

A questo punto viene spesso rilevato che il 'lasciare tutto' si riferiva solo alla durata del viaggio di annuncio del suo Vangelo, e che una volta terminato il compito, i discepoli sarebbero tornati alle loro famiglie. Ma di questo non c’è traccia. Il testo dei Vangeli, accennando alla vita eterna, parla peraltro di qualcosa di definitivo. Ora, visto che i Vangeli sono stati scritti tra il 40 e il 70 d.C., i suoi redattori si sarebbero messi in cattiva luce se avessero attribuito a Gesù parole alle quali poi non corrispondeva la loro condotta di vita. Gesù, infatti, pretende che quanti sono resi partecipi della sua missione adottino anche il suo stile di vita”. 

Il celibato nelle Lettere di Paolo 

Anche in san Paolo si può trovare una difesa del celibato sacerdotale, giustificato secondo il criterio che “chi è sposato si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie e si trova diviso!” (1° Corinzi 7, 33-34). Commenta ancora il cardinale Brandmüller nell’articolo Noi sacerdoti, celibi come Cristo e pubblicata sul quotidiano “Il Foglio” nel luglio 2014: “È chiaro che Paolo con queste parole si rivolge in primo luogo a vescovi e sacerdoti. E lui stesso si sarebbe attenuto a tale ideale”. Inoltre, prosegue Brandmüller, “cosa vuol dire allora Paolo, quando nella prima Lettera ai Corinzi (9, 5) scrive: 'Non sono libero? Non sono un apostolo? … Non abbiamo il diritto di mangiare e bere? Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, esattamente come gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? Dovremmo essere solo io e Barnaba a dover rinunciare al diritto di non lavorare?'.

Queste domande e affermazioni non danno per scontato che gli apostoli fossero accompagnati dalle rispettive mogli? Qui bisogna procedere con cautela. Le domande retoriche dell’apostolo si riferiscono al diritto che ha colui che annuncia il Vangelo di vivere a spese della comunità, e questo vale anche per chi lo accompagna. E qui si pone ovviamente la domanda su chi sia questo accompagnatore.

L’espressione greca 'adelphén gynaìka' necessita di una spiegazione. 'Adelphe' significa sorella. E qui per sorella nella fede si intende una cristiana, mentre 'Gyne' indica – più genericamente – una donna, vergine, moglie o sposa che sia. Insomma un essere femminile. Ciò rende però impossibile dimostrare che gli apostoli fossero accompagnati dalle mogli. Perché, se invece così fosse, non si capirebbe perché si parli distintamente di una adelphe come sorella, dunque cristiana. Per quel che riguarda la moglie, bisogna sapere che l’apostolo l’ha lasciata nel momento in cui è entrato a far parte della cerchia dei discepoli”. 

Autori citati: Brandmüller Walter - presidente emerito del Pontificio Comitato di Scienze Storiche