Non è un altro pezzo di Madame, state tranquilli. Anche se lei è molto brava ero in realtà indeciso tra questo titolo e una parafrasi del tipo “non è un paese per giovani”. Vedrete che l’argomento collima parecchio con il famoso e pluripremiato film che viene in mente. Addirittura si trova la quadra anche con la sua trama.

Chi ha visto il film “non è un paese per vecchi” saprà che il personaggio di Anton Chigurh, interpretato da un bravissimo Javier Bardem, impersonava il killer psicopatico protagonista che riusciva a infondere una precisa logica alla propria condotta. La morale del male non è sempre fine a se stessa, ma può operare in funzione di una precisa filosofia con conseguenze logiche.

Il limite del male è che qualunque sua mira è determinata da un opportunismo radicalmente egoista. Dunque è perseguibile solo a macchia di leopardo, lasciando che il bene - del quale si nutre - continui a esistere in ampie sacche. Detto più semplicemente: il male universale non potrebbe esistere, perché si annichilirebbe da sé nel tentativo d’imporsi di ogni individuo sull’altro; mentre l’esistenza del bene universale sarebbe naturale per la mancanza di tale esigenza prevaricatrice.

Il bene di qualunque società sono soprattutto i giovani, poiché rappresentano l’elemento solido di continuità per la semplice condizione di essere persone con un’aspettativa di vita più lunga: sono il nostro futuro, usiamo dire. Affidare loro il testimone di giustizia, equità e progresso, è dunque “l’opportunismo del bene”. Ma i giovani potrebbero diventare facilmente il male della società, se il testimone che viene loro trasferito è quello dell’ingiustizia, della prevaricazione e dello stallo evolutivo. E questo è “l’opportunismo del male”.

A scuola non si insegna il male. Ma spesso il male si trasferisce con il cattivo esempio. Perché lo abbiamo detto mille volte: le parole contano molto poco, quel che conta di più è l’esempio. E quando si sente dire che certi episodi di umiliazione, durezza, severità, mancanza di empatia e pressioni sulle prestazioni, servirebbero a preparare gli studenti alla vita, abbiamo prova schiacciante di predisporre i giovani a un sistema di vita completamente sbagliato.

Un “non senso”: perché glielo insegniamo proprio noi, sui libri, che questo sistema di vita è sbagliato; ma poi ci comportiamo come se invece fosse indispensabile. Si coglie forse qualche logica sull’opportunismo, di bene o di male, in questa condizione dissonante? Ed è talmente ovvia la risposta da non necessitare di alcun richiamo alla dottrina pedagogica.

Lo denunciano gli studenti stessi.

Ricordo tanti discorsi echeggiare per i campus universitari (ma non solo) rimasti spesso serrati nel timore di dover affrontare l’ira di docenti e rettorati. Tanti gli insulti ricevuti, i malcelati obblighi a usare i testi dei prof, i libretti tirati in faccia, gli esami svolti sostituendo le regole di legge con quelle proprie. Oppure l’esatto contrario con voti regalati e completo menefreghismo didattico.

Rari i casi in cui assistiamo a grandiosi esempi di lectio magistralis da parte degli studenti stessi al sistema patologico e nepotistico dell’istruzione. Tra i più freschi ricordo, in tema di neoliberismo sfrenato e disfunzioni strutturali, il discorso che fecero un paio d’anni fa alla Normale di Pisa tre studentesse neo laureate, Valeria Magnaghi, Virginia Spacciante e Virginia Grossi, durante i loro interventi cerimoniali a chiusura dell’anno accademico 2021.

Storie che raccontano quei cattivi esempi che ci riportano spesso alle cronache e al recentissimo discorso, ancor più diretto e scioccante, della studentessa Emma Ruzzon, nell’aula magna dell’università di Padova. Ma questo recente intervento va legato anche a quello dello scorso anno, sempre effettuato dalla Ruzzon che è anche la presidente del consiglio degli studenti dell’università di Padova e membro dell’associazione studenti di UDU (Unione degli Universitari), al cospetto del presidente Mattarella come del ministro per l’università e la ricerca, e altre autorità.

In questi due discorsi c’è l’interpretazione autentica, loro - dei giovani! - di quel male di cui parlavo e della narrazione mediatica tossica, quando tutto ciò spinge gli studenti a diventare macchine da guerra e colpevolizza qualunque altra volontà, sensibilità, ritmo. Ecco alcuni brani estratti (li trovate facilmente su Youtube).

«(A.A. 2022) [...] Ci viene insegnato che studiamo per poter lavorare, e non per accrescere la nostra cultura, per poi ritrovarci in un mondo del lavoro che ci chiede di ringraziare per l’opportunità di essere sfruttati, perché è così che si fa esperienza.Ci dicono che le opportunità ci sono, che è il merito quello che conta. Sono desolata, ma temo che sia un’affermazione che non trova riscontro nella realtà. No, se accanto ad articoli di giornale che lodano chi consegue egregi risultati, nella pagina a fianco riportano storie di studenti e studentesse che durante il loro percorso di studi compiono il loro gesto estremo: scelgono volontariamente la morte [...]La salute psicologica va considerata al pari della salute fisica. La nostra Costituzione dichiara che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività [...](A.A. 2023) [Citazione iniziale di una serie di titoli di giornale, con celebrazioni di eccellenze e suicidi di studenti]Celebrate eccellenze straordinarie facendoci credere che debbano essere invece ordinarie, facendoci credere che siano normali. Sentiamo il peso di aspettative asfissianti [..]Serve il coraggio di mettere in discussione l’intero sistema meritocentrico e competitivo. [...]Ci viene insegnato che fermarsi significa deludere delle aspettative sociali e molto spesso familiari. Ma da quando studiare è diventato una gara? [...]Molti degli ostacoli che incontriamo nel nostro percorso accademico sono strutturali. E sono, per esempio, non potersi permettere una casa da fuori sede, non poter frequentare le lezioni, non avere una borsa di studio. Ed è codardo che si deleghi al singolo studente la responsabilità di trovare un modo per arrivare alla fine del percorso indenne, superando degli ostacoli che è compito delle istituzioni rimuovere [...]La corona d’alloro che ho simbolicamente posato qui, non deve significare l’eccellenza; la competizione sfrenata. Deve essere simbolo del completamento di un percorso che è personale: di liberazione attraverso il sapere. Abbiamo scelto di mostrarla qui con un fiocco verde, quello del benessere psicologico, per tutte le persone che non potranno indossarla; per tutte le persone che sono state o stanno male solo all’idea di raggiungere questa corona.[segue l’elencazione di precarietà, assenza di tutele e salari miserevoli a cui si viene sottoposti dopo il completamento della propria formazione, anche sul versante della ricerca]Noi ci troviamo davanti un governo che sceglie deliberatamente di ignorare le grida di allarme dei suoi giovani [...]L’accanimento verso gli ultimi e il calpestamento dei diritti civili e sociali, sono atteggiamenti che appartengono a uno dei periodi più bui della storia del nostro paese. Ma dalle sue macerie è nata la nostra Costituzione, costruita sulle fondamenta della democrazia, dell’uguaglianza, della libertà e dell’antifascismo [...]Vorrei concludere questo mio contributo rivolgendomi alla comunità studentesca. Il presente non è facile, e non lo è nemmeno l’aver fiducia nel futuro. Forse la sfida più grande consiste nel non adeguarci al poco che ci viene concesso, pretendendo sempre di più. Possiamo esserne in grado solo mettendo da parte gli individualismi, in un’ottica di solidarietà, come disse Concetto Marchese (ndr, Rettore di UniPD durante il fascismo): “Per la fede che ci illumina, e per lo sdegno che ci accende”».

Ricordiamocelo. Accanto a studenti come Emma Ruzzon, che hanno elaborato la consapevolezza tra scegliere la via opportunistica del bene, anziché quella altrettanto opportunistica del male, ci sarà probabilmente una maggioranza di giovani rovinati dal cattivo esempio generale: imparare per produrre il massimo a tutti i costi e competere fino a travolgere chiunque si ponga ad ostacolo.

E ricordiamoci anche che non possiamo plaudire all’eccellenza e reclamare contemporaneamente la “gavetta”, come un momento che deve implicare disponibilità illimitata e sofferenza pecuniaria temprante. Perché è proprio così che si tempra il male! E quando poi apprendiamo episodi come quello di Niccolò Brizzolari, che a vent’anni è diventato segretario parlamentare vincendo il relativo concorso (insieme ad altri 79 in graduatoria), si dovrebbe storcere il naso di fronte al suo stipendio di partenza di circa 35 mila euro lordi, per 40 ore settimanali e ogni diritto, indennità, benefit e recupero. Una bella “gavetta”. O per questo inesperiente giovanotto stiamo facendo un eccezione?

In effetti è una gavetta; ma non quella che evidentemente si argomenta a vanvera. Perché in questo caso lo stipendio raddoppierà automaticamente dopo dieci anni, e così nel tempo. Fino a giungere alla cifra di circa 160 mila euro di fine carriera. Di nuovo: una gran bella gavetta.

Ed è proprio così che dovrebbe essere per tutti… la gavetta!

E’ un grave problema che sia la gente stessa a non comprenderlo. La demagogia dell’attuale governo può essere compresa - ovviamente: mai giustificata! - ma nella gente, nelle famiglie, tra molti ragazzi e studenti stessi, non è nemmeno comprensibile. Si riesce perfino ad accettare quella sgradevole affermazione che fece qualche mese fa il vice ministro del lavoro, Durigon, dicendo: «Giusto che un laureato accetti posto da cameriere».

Un laureato costa allo Stato attorno ai 50 mila euro (oltre 150 mila euro, considerando l’intero ciclo di studi fino alla laurea). L’istruzione, benché manchi di ulteriore e necessario sostegno economico, è comunque gratuita. E’ un investimento necessario per la cultura dei cittadini ma destinato senz’altro a fruttare, tornando nelle casse dello stato moltiplicato per le future tasse che pagherà il cittadino.

Un cameriere paga meno tasse di un ingegnere o un avvocato. Ed è profondamente stupido investire nella formazione di persone che si ritiene, infine, possano fare altri mestieri meno remunerativi per le casse dello Stato che vi ha investito. Questo, in maniera altrettanto stupida, fa parte di quella pressione a performare e scavalcare gli altri, poiché altrimenti si perde il treno per poter impiegare adeguatamente il proprio sapere.

Uno Stato brillo, che vessa i giovani, li scaglia alla mercé di un mercato di squali, oltre a sperperare e investire - quel poco - anche male. Ma è perfettamente logico. Giova a chi deve, tornando semplicemente all’osservazione iniziale che determina quell’opportunismo del male. Ed esso potrà ben sopravvivere finché quelle sacche di bene continueranno a nutrirlo senza opporvisi in alcun modo.


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