Chi furono veramente i Florio e cosa significò la loro presenza per Palermo? Filantropi illuminati e colti mecenati, volti al bene comune, oppure cinici sfruttatori di una classe ope­raia, ancora inconsapevole dei suoi diritti? Arrampicatori sociali, adeguatisi al modello aristocratico, o dignitosi imprenditori, portatori di un’etica borghese? Megalomani dissipatori del patrimonio familiare oppure vittime dell’inarrestabile concentrazione capitalistica del Nord?

E come la città aveva guardato alla loro scalata? Aristocrazia, borghesia nascente, strati popolari avevano colto le opportunità del processo di modernizzazione da questi avviato? Quanto alla mafia, il rapporto fra la criminalità organizzata e i Florio si era configurato come quello fra estorsore e vittima o c’era altro in gioco?

Senza dubbio, nella memoria storica di Palermo, la potenza del loro mito ancora oggi esercita una forte suggestione, radicata com’è in diversi ambiti della popolazione palermitana e nutrita di nostalgia e di rimpianto per quello che la città fu e avrebbe potuto essere.

Nella stesura di questo testo teatrale l’autrice non ha scelto alcuna interpretazione storica univoca, riguardo sia ad alcuni risvolti oscuri dell’ascesa dei Florio, sia alle responsabilità del loro crollo, preferendo affidare ad una polifonia di voci e ad una molteplicità di personaggi ragioni e convincimenti riferibili a più punti di vista. D’altronde, la complessità e le contrad­dizioni di questa “dinastia”, nei suoi aspetti pubblici e privati, ne sono la cifra costitutiva, il che la rende aperta ad ogni interpretazione critica e, pertanto, affascinante sul piano teatrale.

 

Adriana Castellucci, nata a Palermo, dopo la laurea in Lettere ed il corso di regia teatrale presso la “Teatés” di Michele Perriera, si trasferisce a Torino, dove svolge la sua esperienza lavorativa per trentotto anni, coniugando l’attività artistica con quella didattica nell’ambito di laboratori teatrali rivolti a studenti liceali ed universitari. Redige i testi e firma la regia di diversi spettacoli, tutti di impegno civile e a sfondo storico, replicati più volte, generalmente in occasioni ufficiali, talora istituzionali, anche in diverse città d’Italia e all’estero, coinvolgendo trenta-quaranta giovani attori per ciascun allestimento: È fatto giorno sulla Resistenza in Europa; I segni dell’offesa sulle leggi razziali e Shoà; Volevamo la luna sul Sessantotto; Altiero Spinelli: una vita per l’Europa sull’impegno europeista; Mauro Rostagno, un uomo vestito di bianco sulla lotta alla mafia; Camicie rosse sull’epopea dei Mille; Il volo del giovane falco su Federico II di Svevia; Olympe de Gouges. Io sono la mia opera sull’emancipazione femminile. Progetta, dirige e conduce per cinque anni consecutivi, con una compagnia attorale, una serie di lezioni-spettacolo di Storia del Teatro rivolti a diversi licei torinesi. Collabora, in qualità di consulente storica, con l’Associazione Viartisti di Torino alla stesura di due testi, Processo a Garibaldi e Processo a Kennedy, rappresentati al Teatro Carignano di Torino. Nel gennaio 2018, rientrata a Palermo, continua a svolgere la sua attività artistica, conducendo il laboratorio teatrale di un liceo cittadino. La pandemia da Covid-19 interrompe questo suo impegno, ma non quello della ricerca storica e della scrittura drammaturgica. L’opera Le stagioni dei Florio ne è il risultato.