Mastrogiovanni, fondatrice del Forum delle giornaliste del Mediterraneo: “Il giornalismo etico, quello che vuole curare le parole e con le parole deve essere tutelato come una forma di riproduzione sociale, di cui ancora una volta si fanno carico le donne giornaliste”
Tutelare la libertà d’informazione significa difendere ogni aspetto della vita democratica, dei diritti civili, dei diritti umani, della giustizia ambientale ed ecologica. Dal livello di libertà di stampa si misura la tenuta dello Stato di diritto. In Italia l’instabilità crescente del sistema editoriale e la trasformazione dei e delle giovani giornaliste/i in lavoratrici povere non riesce a garantire il turn over in una categoria che assottiglia sempre più le sue fila.
A livello europeo crescono i “deserti dell’informazione”, i news desert, aree in cui non ci sono giornali a fare da guardia alla democrazia: a farne le spese sono come sempre le minoranze, e tra queste le donne, target preferito degli haters.
Spetta alla stampa creare un’opinione pubblica consapevole e scardinare la cultura dello stupro che si nutre anche di stereotipi e discriminazioni veicolate attraverso un linguaggio sbagliato proprio dalla stampa, quando non ottempera agli obblighi deontologici. Ma come può la stampa attivare un circolo virtuoso se la figura del giornalista si indebolisce sempre più? Le molestie sessuali secondo diverse ricerche sono maggiori nel mondo del giornalismo rispetto ad altri ambienti e contribuiscono a mantenere le giornaliste in una posizione di subalternità. A queste si aggiungono discriminazioni, gender pay gap e tetto di cristallo, che ne compromettono la carriera: giornali quotidiani fatti in gran parte dalle donne al desk, ma pensati e diretti da uomini. La mentalità patriarcale si riflette inevitabilmente sul modo di trattare le notizie che riguardano le donne. Eppure si fanno carico, anche nelle redazioni, di “liberare la verità e nutrire la vita”: sono soprattutto le donne a porre il problema del linguaggio di genere, dell’utilizzo di parole “buone”, cioè quelle che non moltiplicano disparità ma rispettano la dignità dei soggetti narrati, così come sono soprattutto le donne giornaliste a cercare e attuare nuovi modelli editoriali cooperativi, e nuove modalità di leadership, circolari e non verticistiche, autorevoli e non dirigiste.
In questa 9a edizione abbiamo voluto andare a scavare nel punto esatto dell’intersezione tra libertà di stampa (dovere e diritto), libertà delle donne e la loro autodeterminazione, e l’azione di riproduzione sociale portata avanti da tutte le donne, anche dalle giornaliste che, all’interno delle redazioni propongono e chiedono una maggiore attenzione al linguaggio, alla corretta rappresentazione di genere, della disabilità, delle etnie e di ogni minoranza, attenzione ad evitare il doppio standard per cui ci sono morti e violenze di serie A e di serie B, tipico della narrazione mainstream occidentale; sono tutti topic di cui si fanno carico le donne, nelle redazioni.
Quello che oggi proponiamo, in questa 9a edizione del Forum delle giornaliste del Mediterraneo, è di guardare al giornalismo etico, quello che vuole curare le parole e con le parole, come una forma di riproduzione sociale, di cui ancora una volta si fanno carico le donne giornaliste.
Infatti, come ci insegna la Jineoloji, la “Scienza delle donne” che è alla base della rivoluzione delle donne in Kurdistan, la categoria della riproduzione sociale, è molto più estesa di quanto si pensi, perché coinvolge anche la riproduzione dell’ecosistema, delle altre creature viventi, dell’intera società così come la conosciamo, ovvero di noi in relazione con gli altri e la natura.
Di questo tessuto connettivo che consente alle società di produrre e riprodursi (esistere), fa parte la stampa libera e indipendente, per questo, liberare la verità significa nutrire la vita.
In tal senso, Il Forum delle giornaliste del Mediterraneo chiede che ora e subito, a tutti i livelli, nazionali e internazionali, le Istituzioni mettano in atto forme di incentivo e sostegno alla creazione di sistemi editoriali innovativi, creativi e basati su modelli antipatriarcali, che favoriscano l’autodeterminazione di categorie minoritarie, soprattutto dei giovani e delle donne.
Perché se la stampa non riesce ad essere libera pienamente, se non riesce a liberare la verità, non riuscirà neanche a “nutrire la vita”; non riuscirà a farsi promotrice cioè di “valori” e parole “buone” finalizzate a rinsaldare il patto sociale tra i cittadini e le istituzioni che li rappresentano; non riuscirà a far emergere attraverso i dati “buoni” i fenomeni discriminatori, altrimenti invisibilizzati; non riuscirà a svolgere la sua funzione pedagogica di educazione al pensiero critico, perché nell’educazione al pensiero critico si pongono le basi per il controllo del potere, controllo senza il quale la vera democrazia rischia di perire.
NELLA FOTO: da sinistra, Necibe Qeredaxi (attivista Jineoloji Academy - Kurdistan irakeno); Marilù Mastrogiovanni (fondatrice del FMWJ); Gulistan Ike (giornalista di Newaya Jin -Kurdistan turco)