di Hans Peter Schulz e Lucia De Sanctis

Il professor Musacchio ancora prima di iniziare l’intervista esordisce così: “La lotta alla criminalità organizzata è ferma al palo dalle morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino poiché non si mai adeguata alle continue metamorfosi della mafie contemporanee”. “Le organizzazioni mafiose di alto livello si sono perfettamente integrate nel tessuto economico, finanziario e politico italiano”. “Non sparano più ma corrompono”.


Dalla sua biografia abbiamo letto che ha subito minacce quando si è occupato dei rapporti tra mafia e politica, si è chiesto come mai?

Sicuramente perché le mafie e i loro fiancheggiatori cercano il silenzio mentre io ne parlo e ne scrivo quotidianamente da oltre trent’anni.  In questi anni ho ricevuto minacce, lettere anonime che sono arrivate anche ai miei familiari. Questi avvertimenti sono arrivati ogni volta che affrontavo i temi dei rapporti tra mafia e politica. Personalmente sono convinto che provenissero principalmente proprio da quell’area contigua alla mafia. 


Queste situazioni hanno inciso sulla sua vita privata?

Sinceramente non più di tanto. Tranne il danneggiamento della autovettura di famiglia si sono sempre fermati alle minacce. Un elemento limitante nella mia vita è stato invece la mia attività antimafia nelle scuole poiché in trent’anni giocoforza ha inciso sulla mia presenza in famiglia e sulle persone che collaborano con me. Sia chiaro, ovviamente, che per me è stato un piacere e un dovere morale che iniziò con il giudice Antonino Caponnetto. Da lui ho assorbito la grande passione per questo servizio civile.


Ha paura?

So di essere sconsiderato nella mia risposta ma se dicessi di si non sarei sincero. Ho però paura, e tanta, se per causa mia potesse succedere qualcosa di brutto alle persone a cui voglio bene. Mi angosciano le ritorsioni sulla mia famiglia e sui miei amici. A questo proposito, mi piace molto ricordare una frase di Giovanni Falcone: "L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, è incoscienza". Credo che questa frase ben definisca il mio stato d’animo nei confronti della paura. 


Torniamo a parlare di quelle che lei chiama “nuove mafie”. Quanto siete preparati in Italia ad affrontarle?

Poco in Italia e aggiungerei pochissimo in Europa. La lotta alle mafie si è fermata alle strategie che riguardavano l’aspetto militare e stragista che oggi sono diventati marginali. Non ci sono gli strumenti, le strategie e le persone in grado di combattere efficacemente queste nuove mafie. Ciò avverrà soltanto quando spezzeremo il legame tra mafie, politica, economia e finanza. Solo in questo modo potremo incidere sulla loro potenza ma dovremmo farlo a livello transnazionale poiché oggi non è più sufficiente solo a livello nazionale. Il legame corruzione-mafia è pericolosissimo è va spezzato al più preso perché consente alle organizzazioni mafiosa di realizzare tutti i loro obiettivi di matrice criminale. 


Dalla Germania abbiamo assistito al processo sulla cd. trattativa. Lei cosa pensa su questo argomento?

C’è una sentenza della Suprema Corte di Cassazione riguardante la cd. trattativa Stato-mafia. I giudici hanno sancito che non c’è stata. Le stragi del 1992, il furto dell’Agenda Rossa, i depistaggi successivi alle stragi, tuttavia, non si cancellano. Per questo mi sento di dire che una cosa è la vicenda processuale e altra è la storia, riportata persino nelle motivazioni della decisione della Corte d'appello di Palermo confermate dalla Cassazione, che non può essere processata nelle aule di giustizia. Ci sono fatti che pur non rientrando nel codice penale appartengono ai diritti delle persone che realmente lottano contro la mafia tutti i giorni e a coloro che della criminalità organizzata sono state vittime. Sul tema la penso esattamente come Paolo Borsellino. Si dovrebbe fare pulizia di coloro che sono raggiunti da fatti inquietanti anche se non sono reati. Credo oggi si possa dire che le interlocuzioni tra mafiosi e apparati dello Stato ci siano state, ma non costituiscono reato. Questa idea, che personalmente rispetto ma non condivido, tuttavia, non può giustificare ogni cosa. Certi fatti appartengono e apparterranno alla storia che va sempre oltre le sentenze. 


A noi tedeschi sembra che in Italia ci siano quasi una rassegnazione alla convivenza con le mafie, è davvero così?

Più che di rassegnazione parlerei di normalizzazione. Lo ha ribadito pochi giorni fa don Luigi Ciotti e lo scrivo io da tanti anni. Il cittadino italiano, quando non è complice, è stanco di una classe politica che non affronta mai con decisione una seria riforma della giustizia e della lotta ai mali di questo Paese: mafie, corruzione ed evasione fiscale. Questa inattività e la conseguente inefficienza contribuiscono a sfiduciare il cittadino e a garantire le mafie e i loro sodali. Rischiamo di infettarci oltre che di mafia anche di un virus peggiore che è la mafiosità. La società civile italiana appare putrefatta e moralmente fiacca. Tutta, non soltanto il governo e il sottogoverno: tra chi sta dentro il palazzo e chi sta fuori c’è una corrispondenza. La corruzione dei politici e dei loro manager è una costante della vita politica italiana e forse non soltanto italiana. Di questo credo che dovremmo preoccuparci più di ogni altra cosa.



Vincenzo Musacchio è criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo.