Cronaca

Se il mostro siamo noi - II parte


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Il 19 giugno 1982, con modalità senza capo né coda, a Baccaiano di Montespertoli, spirano, colpiti dai proiettili,  i due legatissimi fidanzati Paolo Mainardi e Antonella Migliorini, ma lei non viene martoriata come le precedenti: sul come e perché, abbiamo trattato nel nostro libro: ovvero sulle tesi contrapposte, perché altro non c’è.

Giovani specchiati, i poveretti non hanno schivato, però, qualche spiffero. Lei avrebbe avuto modo di conoscere uno dei tanti sospettati che entra ed esce da questa storia dal 1968, Francesco Vinci (trucidato brutalmente nel 1993), subendone le morbose attenzioni; d’altro canto rientra in scena il fratello di costui, Salvatore, altro protagonista delle indagini,  dato per girovago in notturna, alla ricerca di coppie consenzienti: a cosa? Le gole profonde si sono spese a spiegarci che non tutti disdegnavano i guardoni: a molti piaceva essere osservati e ne guadagnavano in qualche caso. A noi pare temerario, ma è stato detto.

Il 9 settembre 1983, in un furgone Wolkswagen, in località Giogoli di Firenze, si rinvengono i corpi di due ventiquattrenni tedeschi, Horst Mayer e Uwe Rush. Su come vennero trovati, esiste praticamente una vasta letteratura, ma il più accreditato resta il già cennato Rolf Reinecke, indicato come organizzatore di festini nella dépendance della vicina villa La Sfacciata, che passa di lì nei suoi andirivieni e farà perdere le sue tracce negli anni novanta. Ecco che non è mancato chi ha voluto vederci un coinvolgimento dei due sventurati, allargando la cerchia al fantomatico stilista di Prada, l’afro/italoamericano Mario Robert Parker, scomparso dai radar, a parte sue foto farlocche in rete.

Il 29 luglio 1984, mentre tutti sono al mare, i giovanissimi fidanzatini Pia Rontini e Claudio Stefanacci si fanno sorprendere in un viottolo del  comune di Vicchio, dove abitano, di nuovo nel Mugello. Finché è stato in vita papà Renzo Rontini, la memoria era salva. La sua figura è protagonista de “Il mostro di Firenze – La serie”. Morto lui, di crepacuore nel 1998, qualche chiacchiera si è scatenata. Pia s’involava spesso verso il paese di sua madre, la Danimarca, fermandovisi diversi mesi; nelle vicinanze ha sede il centro del Forteto, sotto accusa per ogni genere di ignominia e le aderenze politiche di cui avrebbe approfittato, frequentato da ragazzi irretiti dal carisma del fondatore, condannato per reati di abuso su persone. Attualmente la cooperativa è commissariata.

Locandina di "L'Etrusco uccide ancora", film del 1972, tratto da un romanzo dello scrittore inglese Bryan Edgar Wallace

Siamo dunque al settembre 1985. Due francesi di Borgogna, Nadine Mauriot, 36 anni, separata con due bambine, e Jean Michel Kraveichvili, venticinquenne ginnasta e musicista di belle speranze, da poco legati, si sarebbero concessi una breve vacanza in Italia, con l’obiettivo principale di una visita alla mostra calzaturiera di Bologna, settore lavorativo di lei. Vengono ufficialmente trovati il 9 settembre nella piazzola in località Scopeti di San Casciano, ma non davano notizie dal venerdì precedente.

E’ l’ora di affermare che, di fatto, non è esistito alcuno in grado di confermarne la presenza in giro, alla festa dell’Unità, nel milanese, a Pisa, sull’Autostrada dei fiori: solo discorsi e qualche scontrino, avanzato dalla massa di oggetti, molti dei quali NON repertati, nulla di davvero riscontrato per il pubblico. I fotoreporter intervenuti vi forniranno resoconti contrastanti: che non c’era sangue, su quella fetida piazzola  di Scopeti, ancor oggi respingente,  pur nella magnificenza del contesto; o, al contrario, che ce n’era molto. Nelle immagini non si notano tracce proporzionali a una tale carneficina.

Nei pressi viene fotografato un cerchio di pietre, di quelli che si allestiscono per fare fuoco e cuocere le castagne: subito indicato quale segno di un rito. E’ stato fatto notare che molto vicino c’era il tempio degli Hare Krishna (secondo taluno, frequentato dalle figlie di Pacciani). E’ intervenuto un caro amico di Jean Michel, professore italo/francese, a smentire attrazioni del defunto verso i rituali spiritisti, ma i vocianti hanno insistito. Come pure, si è battuto sul fatto che nei dintorni soggiornavano, in maestose magioni, nobili di altissimo rango e ambigua reputazione. Si osservò che la coppia d’oltralpe, che non parlava italiano, non avrebbe notato i cartelli di avviso installati nel frattempo, con la famosa scritta “Occhio ragazzi”, ma era multilingue, francese compreso. Tuttavia è probabile che un turista non vi avrebbe fatto caso.

Forse per il timore di questi instancabili mormoratori, i genitori di alcune delle vittime hanno preferito mollare il colpo, qualcuno non si è nemmeno costituito parte civile.

Nel 2020 un appassionato del caso ha promosso una colletta per la deposizione di una lapide commemorativa a Scopeti: tempo un mese, è stata vandalizzata.

Sempre nell’anno appena trascorso, per intrattenere i cittadini reclusi dal lockdown, sono stati gentilmente pubblicati dei film in libera visione: un corto ha per protagonisti dei giovanissimi, che al massimo potrebbero chiederne notizie ai loro nonni; l’altro è uno splatter da megaincubo,  rappresentativo più di una notte di sballi che di una situazione di coppia in effusioni sorpresa da un bruto.

Riproponiamo, in replica da altra pubblicazione, la nostra testimonianza vissuta in tempo reale, tanti anni fa. Tale era il clima di pura paranoia e la ritroverete intatta nel nostro imparziale libro.

 “Ho visto il mostro? - Sono passati decenni, le  chiacchiere continuano, le frecce al cianuro tra mostrologi  pure, la verità resta a zero.

Depurata dal tempo, una testimonianza che non si basi su astratti teoremi, magari di quelli che attraversano gli oceani, assume un diverso rilievo. Metterla nel nostro libro? Avrebbe inquinato l’analisi.

Qui però, è giusto offrirla, sicuri che: o non interesserà nessuno (più probabile), o sarà presa a pretesto per qualche gratuito attacco. Avvisiamo pertanto che questo contenuto non dovrà essere condiviso se non dall’autore, né diffuso, in tutto o in parte.

Qui ci riferiamo all’ambiente nazionale, e non a quello fiorentino o toscano, notoriamente ossessionato dalla vicenda. In particolare se ne discusse al centro nord, e più ancora nelle regioni limitrofe, in una delle quali viveva chi scrive

Che la “ditta mostro” avesse iniziato l’opera nel 1968 o nel 1974, cambiava poco per chi c’era, giovane e in condizione di temerne eventuali attacchi, perché fino al 1981 non se ne parlò in quei termini.

1974, delitto di Rabatta: un gran cicaleccio tra le nostre madri, zie e nonne, sconcerto, incredulità: non è azzardato affermare che nemmeno capivamo bene di che si trattasse. Si udiva solo, in quegli anni borghesuoli e perbenisti, un coro di sussurrata deprecazione per i costumi disinvolti dei giovani. 

Non dimenticammo, ma il ricordo del crimine sbiadiva dalla memoria. Nel frattempo, a Genova, era emerso il caso di Maurizio Minghella; a Bargagli, nell’entroterra, operava ancora un assassino (forse più d’uno) che secondo le versioni attuali avrebbe smesso, guarda caso, lui pure nel 1985, finendola con un suicidio, probabilmente. Avevamo tanti guai, nella nostra città, soprattutto le vittime di terrorismo; si parlava ancora di Milena Sutter, uccisa nel 1971.

Nell’autunno del 1978 eravamo due giovani fidanzatini e quel giorno pioveva. Si sa com’è – o com’era – tra morosi: si coglie ogni occasione per stare insieme.

Lui, che chiameremo Roberto, doveva andare a lavorare di lì a poco, ma passò a prendermi e andammo al Righi. Si tratta di una località compresa nel territorio cittadino d’altura, ai confini col comune di Sant’Olcese, diviso tra più quartieri, non tutti allo stesso livello di pregio. Allora esso si presentava trascurato, zona franca per coppiette e oscuri passanti, fasciato di vegetazione che diverrà poi un parco con piste per runner; in giro si trovavano qualche “ostaia” e sentieri che portavano agli antichi forti militari in abbandono. Ai bordi, si trovavano e tuttora, dimore gentilizie e maestosi edifici curiali. E’ possibile, a spanne, un paragone con Giogoli nello stesso periodo.

Ci infilammo dietro il basso muretto, da cui si vede l’autostrada, in una rientranza che sfumava in una stradicciuola, la quale andava a perdersi verso scarpate e macchie di arbusti: fitti, ma non impraticabili, tanto che ogni tanto, col freddo, vi si rifugiavano pastori e pecore.

Non stavamo facendo nulla di che, visti i tempi ristretti: parlavamo, forse ci scambiavamo baci, dietro i vetri appannati; per quello, probabilmente, non facemmo caso a un fruscio sempre più udibile, ma confuso con lo scrociare della pioggia, finché apparve lui.

Dai guardoni…ci guardavamo con vari accorgimenti; nessuno aveva e avrà in futuro mai modo di avvicinarsi a noi, né l’auto sarà nostro rifugio preferito: ma quella volta, visto anche l’innocenza della situation, non ci si badò.

Il figuro era proprio come ti immagini che sia uno di loro. Si parò improvvisamente dinanzi al parabrezza, quasi spanciato sul cofano. Il viso, probabilmente già non piacevole, e sfigurato dalla miserabile eccitazione, finì pressato, sullo slancio, proprio in fronte a noi due, seduti, annichiliti. 

Fu un momento, e Stefano, incurante della pioggia, in preda alla giovanile collera, si slanciò fuori dall’auto: trattenerlo fu faticoso, mentre il disturbatore fuggiva correndo nella macchia.

Quella faccia, quell’espressione, rimasero nella nostra memoria, in particolare nella mia, che archivia puntigliosamente mio malgrado, per molto tempo, associata a paura e rabbia.

Poi, ecco il 1981, dopo quel 22 ottobre e i due duplici delitti. Roberto un giorno mi disse, pressappoco: “ Allora c’è un serial killer, a Firenze. Lo chiamano “il mostro”. Ne parlano tutti i giornali. I nostri, qui, esortano i giovani liguri ad alzare la guardia, in particolare a Genova. Pare che il soggetto venga studiato dagli psichiatri: ama le città di una certa importanza, per far parlare di sé e siccome è pressato dagli investigatori (?NDR), probabilmente si sposterà in Liguria o Umbria, le regioni più facili da raggiungere per uno di quelle parti. Hanno fatto un identikit”. Me lo mostrò.

Ci guardammo e non ci fu bisogno di parlare. Era lui, non avevamo quasi dubbi. Pensammo perfino di parlarne a qualcuno, ma non certo con i genitori: il pudore, allora, ci frenava. Andare dalla Polizia? A quei tempi nessun giovane appena progressista avrebbe amato farlo. E poi forse sarebbe finita lì.

Fu allora che la curiosità per quel fenomeno criminale si insinuò dentro di me, ma sempre meno avrei desiderato far parola con alcuno di quell’avventura; nemmeno quando, molti anni dopo, in televisione, mi si parò dinanzi una faccia che ricordava molto sia l’incursore del 1978 che il ritratto uscito nel 1981.

Autore carmengueyeny
Categoria Cronaca
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