Europa è un mito greco, ma lo è stato anche per molti di noi. Per quello che veniva chiamato terzo mondo era comunque un punto d’arrivo; per gli americani, rappresentava la soggezione che incute chi possiede storia e cultura; per il Sol Levante restava qualcosa da imitare.

 Onusti, o meglio appesantiti da tante responsabilità, come europei , e italiani anche di più, poiché patria di artisti massimi e fautori del “Rinascimento” del continente, dobbiamo invece riconoscere che si è inceppato qualche meccanismo.

A ovest, alcune generazioni sono state imbalsamate prima dall’antagonismo USA/URSS e quindi dall’egemonia culturale americana e anglosassone in generale; poi, a muro caduto, dalla confusione della mixité derivante dalle migrazioni, che ha scatenato le reazioni davanti ai nostri occhi.

Noi però, vi assicuro, un “european dream”, l’avevamo. Un po’ ispirandoci al pensiero dei  padri fondatori, che consideravamo dei “pilgrim fathers” più colti, un po’ rinfrancati dall’insediamento del  parlamento europeo e delle relative istituzioni, confidando che le storture nostrane venissero colà raddrizzate, abbiamo attesa con fiducia gli sviluppi.

Ma l’Europa di Locke, Beethoven, Galileo e Shakespeare, alla fine è divenuta un cartello economico; e, beffa bruciante, non avendo poteri sanzionatori di un certo peso verso i contravventori, madre Europa può stritolarci con i suoi parametri ideati nelle stanze londinesi  e mitteleuropee, popolate da nuovi yuppies e nobili riciclati, ma non obbligare, per esempio, l’Italia a mettersi in regola, o in riga se preferite, quando non rispetta patti e sentenze.

Rimarrebbe quindi il discorso filosofico/culturale. Continente del pensiero, dell’elaborazione, del contributo “alto”, l’Europa avrebbe potuto presentarsi meglio attrezzata alle sfide del terzo millennio: che si tratti dell’incedere delle nuove economie, piuttosto che della capacità di far coesistere le culture, mostrando la ricchezza dei legami reciproci, anziché i diktat delle “radici” tanto decantate, che hanno prodotto guerre secolari, cent’anni, trent’anni, Ugonotti, Vandea,  scismi e brecce.

Non sappiamo quindi cosa stiamo consegnando alle nuove generazioni e a quelle future ancora; nell’incertezza e nel timore di giuste recriminazioni, ci rifugiamo nella responsabilità individuale. Chi crede, può dare l’esempio. Di cosa? Dei valori che dovevano essere la bandiera del “vecchio continente”, che invecchiato lo è davvero: tolleranza,  apertura, coesistenza di più culture.

Nessuno ci ha invaso. C’era una casa disabitata e sono entrati. Ora che la stanno rimettendo in vita, sarebbe bello lavorare insieme.