La Banda e la Chiesa
Come accennato, nel 1990 viene assassinato sul suo scooter, in pieno centro della capitale, “Renatino” De Pedis , malavitoso di razza, che pare avesse in mano tutti i vizi e i viziosi di Roma e dintorni, soprattutto grazie al traffico di droga e allo sfruttamento della prostituzione, senza escludere rapimenti di personaggi facoltosi finiti in tragedia. Faccia perbene, ma animo spietato, egli operava circondato da un manipolo di suoi sodali, provenienti in gran parte appunto dal quartiere della Magliana – ma lui era nato a Trastevere e faceva parte dell’ala dei “testaccini”; attraverso storie di vita amicali o legate dal comune interesse al crimine, aveva preso forma la banda omonima, che per popolarità ormai supera tutte quelle, prevalentemente nordiche (come la Comasina di Vallanzasca) che hanno in precedenza ispirato letteratura e cinema. Si tratta di un riuscito tentativo di assumere in proprio la gestione del malaffare, fino ad allora delegato a organizzazioni di stampo mafioso o straniere (per esempio i marsigliesi).
De Pedis viene dimenticato per un po’, mentre i suoi complici finiscono più o meno tutti in carcere, dove qualcuno resta per anni fino a che, appunto, le televisioni non faranno a gomitate per intervistarli e nasceranno un film e una fiction a puntate sulla loro storia (“Romanzo Criminale”).
Tutto questo accade perché, ci raccontano, una telefonata anonima avvisa “Chi l’ha visto?”, programma principe del settore, che Renatino è seppellito come un santo nella basilica di sant’Apollinare (lì vicino Emanuela studiava musica); e si ripesca, per l’occasione, la sua amante ( lui era sposato), Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore della Lazio e della Nazionale Bruno Giordano. La donna ha un passato da tossicodipendente di lusso vicino al gangster, ma appare ormai decaduta e malferma in salute.
Dalle interviste con costei e da tutta una serie di ricerche e supposizioni giornalistiche, esce un babilonia di informazioni incontrollate, di cui per sintesi facciamo un essenziale elenco: c’è una BMW depositata da anni in un garage capitolino, con cui Emanuela sarebbe stata portata via (ce la mostrano sullo schermo); la povera ragazza in realtà è stata uccisa quasi subito e buttata via in un sacco della spazzatura; nell’operazione un ruolo di contorno avrebbe avuto anche la Minardi; Renatino la sapeva lunga sul cardinale Marcinkus, che in qualche modo sarebbe coinvolto nel rapimento.
Il risultato, almeno provvisorio, di queste affermazioni, non è un’incriminazione per chicchessia, ma soltanto qualche tentativo di far parlare un monsignore in pensione, tale Vergari, che aveva caldeggiato la sepoltura di De Pedis in luogo sacro, in quanto finanziatore di opere benefiche; e l’esumazione della salma, che finirà in un cimitero comune, senza che nel loculo in Sant’Apollinare si riescano a trovare tracce delle due scomparse, come qualcuno supponeva, ma solo ossa di deceduti bicentenari: e chi ha pagato per queste operazioni, non è dato sapere.
Per inciso, la banda della Magliana verrà poi tirata in ballo per quasi tutti i misteri italiani rimasti irrisolti o incompleti, dal rapimento di Aldo Moro alla strage di Bologna e all’omicidio Cesaroni.
Voci Sparse
Roberta Hidalgo, fotografa e autrice del libro “l’Affaire Emanuela Orlandi”, a quanto pare è andata a rovistare nei rifiuti per trafugare un tampax della moglie di Pietro Orlandi e procedere a confronti col DNA di parenti. Ne nasce un’insinuazione: Emanuela potrebbe essere ancora viva, forse travestita da moglie di Pietro, che non è suo fratello perché lei non sarebbe figlia di Maria Pezzano e di Ercole Orlandi, ma della zia paterna Anna Orlandi e di monsignor Marcinkus. E addirittura la zia Anna, secondo Hidalgo, potrebbe non essere sorella di Ercole, ma figlia di Eugenio Pacelli, Papa Pio XII (Cronaca.nanopress.it). Non risulta, peraltro, un particolare interesse di Pacelli verso le donne (NDA).
Tutti sappiamo chi è Ferdinando Imposimato: magistrato napoletano di gran reputazione a causa dei processi a cui ha lavorato e per cui ha dovuto dimettersi dalla magistratura attiva, un fratello ucciso per vendetta trasversale, il passaggio come “giudice” a Forum, tra un Licheri e una Lagostena Bassi. Proprio durante questa sua avventura televisiva, Rita Dallachiesa lo intervista sull’argomento e qui si assiste al colpo di scena: il magistrato, con la massima tranquillità, ci fa sapere che, avendo indagato anche su questo caso, può affermare che Emanuela è sicuramente rimasta viva fino a una certa data e ha girovagato per l’Europa al seguito di un suo rapitore. Effettivamente all’inizio la giovane (forse addirittura d’accordo con i rapitori) rappresentava un mezzo per contrattare con il Vaticano e sarebbe tornata libera a breve, poi si è innamorata di uno della banda. Da qualche anno non si hanno sue notizie, ma sicuramente non vuole essere ritrovata (cfr Nanopress, Pino Nicotri).
La costernazione è generale, ma Imposimato ripeterà la sua versione in seguito e mostrerà fastidio per Federica Sciarelli che, dal suo spazio su RAI TRE, si ostinerebbe a pescare nel torbido di una storia che, per lui, appare ben diversa. Ferdinando Imposimato tornerà a stupire chi lo segue, affermando che doveva recarsi a New York circa nel settembre 2001, ma aveva rinunciato, essendo stato avvertito di un probabile attentato.
Molto meno noto è Marco Fassoni Accetti. Di mezza età, blogger, fotografo, apprendiamo dalla nostra trasmissione feticcio sugli scomparsi che ha alle spalle un passato curioso (attivista radicale freelance, talent scout di minorenni, imitatore comparso di sfuggita in televisione) e un presente inquietante. Sul suo blog appaiono documentari quasi necrofili, forse pedofili. Un giorno egli fa la sua comparsa sullo schermo, intervistato da Fiore De Rienzo, e da allora, crediamo, la questione si fa così intricata che una soluzione ci pare sempre più lontana. Ricapitoliamo anche qui.
Il signore si esprime con una prosodia e uno stile identici a quelli di uno dei telefonisti della prima ora a casa Orlandi, il quale lasciava intendere di avere chissà quali informazioni, ma presto interromperà i contatti. Potrebbe essere ancora lui l’autore della telefonata con cui si svelava la sepoltura di De Pedis.
Egli dapprima fa ritrovare un flauto, sotto una mattonella di una nicchia della Via Crucis (ma in che sito, non è ancora chiaro), avvolto in un giornale con la pagina di un’intervista a papà Orlandi, del 1985. Il flauto traverso appare identico all’esemplare della famosa fotografia in cui la ragazza lo sta suonando, è della stessa marca (mai rivelata, ci assicurano) e fa sperare i parenti, ma non si raggiungono certezze che sia lo stesso oggetto. In seguito Fassoni fornisce una tortuosa e intrigante spiegazione degli eventi.
In pratica, desumendo dai suoi panegirici, più che dichiarazioni, sembra che la banda della Magliana, con alcuni mafiosi tra cui probabilmente Pippo Calò, avesse finanziato lo IOR per combattere il comunismo nei paesi dell’est; in cambio le era stato consentito di investire nella esclusiva banca, ma l’affare si era dimostrato fallimentare e la vendetta era stata il rapimento di Manuela, per indurre a restituire il maltolto.
Marcinkus però non si era piegato (anche perché non avrebbe potuto disporre dell’ingente somma) ed Emanuela fu spacciata. Per risarcire moralmente quelli della banda, monsignor Vergari, personaggio chiave in queste trattative, avrebbe disposto la sepoltura di De Pedis in Sant’Apollinare. In questa sarabanda, viene fatta salva la figura del papa polacco, che sarebbe stato all’oscuro di tutto, insomma non si sarebbe posto il problema di quale fosse stato il prezzo dell’eliminazione del comunismo, limitandosi ad attribuirlo forse alle preghiere.
Tutto ciò suona grottesco, quasi ridicolo, soprattutto l’idea che certi figuri si facciano risarcire da un loculo in chiesa; ma d’altronde, intervistati i birbaccioni al gabbio, riferiscono situazioni complicate e di scarsa comprensione per il comune cittadino.
Ma c’è di più. Posto che non si capisce che interesse avrebbe avuto Fassoni Accetti a venire allo scoperto come agente segreto (infatti si apre un’indagine), viene rimesso in luce il suo passato. Apprendiamo che si è fatto il carcere per aver investito e ucciso un dodicenne nella pineta di Ostia, una sera del dicembre 1983.
Scava scava, viene fuori che il bel ragazzino, José Garramon, era figlio di un alto funzionario sudamericano, distaccato a Roma per conto di un’organizzazione internazionale. La mamma, ospitata più volte in televisione, è lapidaria: Fassoni Accetti è un pedofilo e le cose quella sera non sono andate come lui racconta, non fu un incidente. Josè che in quel periodo mostrava un’insolita malinconia) fu vittima di un omicidio, intenzionale o colposo, ma conseguenza delle mire sessuali del suo investitore, che lo aveva trasportato ben lontano da dove il piccolo abitava. In generale, l’oscuro personaggio che doveva imprimere una svolta a tutta la storia, sembra più cercare qualche vendetta personale o una nuova ribalta, che offrire un significativo aiuto.
E ancora: nel vortice di queste presunte rivelazioni, si perde la figura di Mirella Gregori.
L’incredibile tesi dei mostri del Circeo
In premessa, è appena il caso di accennare a questo massacro del 1975, sul litorale di Latina, ad opera di tre balordi altoborghesi poco più che ventenni, capitanati da un neonazista, che brutalizzarono e uccisero una ragazza e quasi una seconda, salvatasi per miracolo.
Il neonazista dichiarato era Andrea Ghira, nemmeno un giorno di carcere, fuggito per esotiche destinazioni e ritrovato ufficialmente morto in un cimitero spagnolo, come membro della Legione Straniera.
Un altro dei tre, Gianni Guido, faccino pulito, in carcere ci finì ma per poco: evaso due volte, fu ritrovato anni dopo in America Latina ed estradato, ma è libero da parecchio.
Il terzo, Angelo Izzo, sguardo allucinato, ha meno fortuna nella sua fuga in Francia e viene condannato, ma esce relativamente presto, si mette per un poco in affari con amici di fede politica, poi fila dritto ad ammazzare moglie e figlia di un compagno di cella che gliele aveva incautamente affidate.
Di nuovo dietro le sbarre, Izzo trova perfino una moglie, la giornalista romana Donatella Papi, che all’inizio si lancia in una crociata coniugale difensiva, poi assume posizioni più neutre, ma ci fa sapere di aver ricevuto da lui una importante confidenza: è responsabile della scomparsa di Emanuela Orlandi…
Questo riassunto purtroppo non rende minimamente l’idea di tutto il materiale passato sotto i nostri occhi, registrazioni e intercettazioni telefoniche, ostinate esplorazioni giornalistiche nelle attività di Emanuela e i suoi coetanei nel tempo libero, con presunti coinvolgimenti di pervertiti in abito talare in cerca di prede (questa versione è accreditata dal famoso esorcista padre Amorth), raccolte di firme organizzate dalla famiglia di Emanuela, da inviare al pontefice di turno.
La sorella della Gregori ci confida che deve ottemperare al giuramento fatto alla madre morente di non arrendersi mai e continuare a cercare la congiunta, ma confessa la pesantezza di una vita passata sotto sorveglianza più o meno occulta.
Pietro Orlandi e sua madre, dopo petizioni, striscioni all’Angelus domenicale e appelli lanciati a colui che è in pratica il loro capo di stato e di fede, riescono a ottenere un breve saluto da papa Francesco, ma nessuna assicurazione, per quel che è dato sapere.
Nel frattempo, un tarlo mai ci abbandona: ormai sembra tardi per conoscere anche un solo brandello di verità, fosse anche la più scontata: la realtà di giovani e giovanissimi che, plagiati o con la forza, si ritrovano nelle mani di persone senza scrupoli, per abietti motivi.
E’ un complotto, magari. Non di cattivi intorno a un tavolo, ma di negatività cointeressate, malvagità convergenti: è così che si forma un blocco criminale, a volte.
Che ci sia di mezzo il potere mondiale o soltanto qualche piccola bugia raccontata ai genitori senza pesarne le conseguenze, vogliamo fornire il solito consiglio non richiesto ai ragazzi, che naturalmente non lo ascolteranno, comunque, hai visto mai: meglio togliersi un peso con mamma e papà e prendersi magari una corcata di sberle (ma oggi difficilmente accade), oppure esporsi a un momentaneo giudizio sociale che oggi è, in ogni caso, più lieve che in passato, piuttosto che, per timore della reazione dei genitori e dei compagni, farsi inghiottire da un’oscurità dolorosa per tutti e per sempre. Forse le Emanuela e Mirella non scomparirebbero, forse José, Elisa, Sara e Yara, sarebbero ancora vivi.