Sabato, migliaia di persone si sono radunate a Madrid, a plaza de Colón, per manifestare a favore dell'unità della Spagna. "Viva España", "Viva Cataluña", "Puigdemont a prisión"... gli slogan che sono andati per la maggiore tra i partecipanti.
Domenica, è la volta di Barcellona, con la manifestazione organizzata da Societat Civile Catalana (SCC) che invita i catalani che sono contro l'indipendenza a dare voce al loro dissenso contro l'esito del referendum di domenica scorsa con lo slogan "¡Basta! Recuperemos la sensatez".
Sensatez, buonsenso, è in fin dei conti il termine che racchiude tutta la vicenda catalana. I manifestanti sovranisti o unionisti che dir si voglia che sono scesi in piazza in questo fine settimana richiamano Carles Puigdemont e gli indipendentisti al buonsenso. Ma finora, a ben guardare, il buonsenso non è mai stato preso in considerazione dalle istituzioni di Madrid.
La richiesta di indipendenza da parte della Catalogna, giusta o sbagliata che sia, ha ragioni storiche e culturali che si perdono nel tempo e non è certo una trovata degli amministratori che oggi governano la Generalitat de Catalunya. Zapatero aveva per questo iniziato un percorso per trovare un punto d'incontro con il governo catalano. Erano stati trovati punti d'intesa che Rajoy, una volta diventato primo ministro, ha completamento ignorato e rinnegato.
Quindi, il buonsenso non è certo da richiedere a Puigdemont. Rajoy, inoltre, non è stato colto di sorpresa dal referendum e dalla sua convocazione, ma in tutti questi mesi non ha fatto nulla di concreto per appianare la controversia. In compenso, ieri ha rilasciato un'intervista a El País in cui ha promesso, o forse è più corretto dire minacciato, che il suo governo userà tutti i mezzi a sua disposizione - senza specificare quali - per impedire una "ipotetica" dichiarazione di indipendenza da parte della Catalogna.
La Costituzione spagnola ha nell'articolo 155 uno strumento legale che possa consentire a Rajoy di agire nell'ambito di una supposta legalità contro il governo catalano: "Qualora una Comunità autonoma non adempia agli obblighi impostile dalla Costituzione o da altre leggi, o agisca in modo da attentare gravemente all'interesse della Spagna, il Governo, previa intimazione al Presidente della Comunità e, nel caso in cui non sia ascoltato, con l'approvazione della maggioranza assoluta del Senato, potrà adottare le opportune misure per costringere la Comunità ad adempiere ai suddetti obblighi o per proteggere l'interesse generale in pericolo."
Ma a quale prezzo e con quali conseguenze è impossibile dirlo.
Ma la dichiarazione più sorprendente, nell'intervista rilasciata da Rajoy, è quella in cui definisce l'attuale situazione come "una battaglia dell'Europa... dove sono in gioco i valori europei". La Commissione europea ha ufficialmente detto, pochi giorni fa, che la questione catalana è una questione interna alla Spagna e pertanto non può intervenire. D'altronde, la signora Pesc, Federica Mogherini, impegnatissima nel non risolvere le crisi in medioriente, non era finora intervenuta ufficialmente nella vicenda... e per fortuna. Ma perché, allora, Rajoy tira in ballo l'Europa? E perché proprio adesso? Forse si è accorto che ha talmente ingarbugliato la situazione tanto da richiedere una mediazione, sotto traccia e non ufficiale, da parte di Bruxelles?
Nel frattempo, Madrid spera che il trasferimento della sede legale di molte grandi aziende dalla Catalogna ad altre regioni spagnole possa essere un'arma di ricatto per far recedere il governo di Barcellona dal dichiarare l'indipendenza. Ma ancora è da chiarire fino in fondo quale possa essere il reale impatto economico sulla regione, e se questo possa essere realmente negativo, visto che tali aziende continueranno ad operare e fatturare ancora in quella regione e che comunque la Catalogna, in caso di indipendenza, non sarebbe più costretta ad essere soggetta al regime di ripartizione fiscale imposto da Madrid che, finora, non l'ha certo favorita.