La Corte costituzionale italiana, in un comunicato del primo dicembre 2022 in attesa del deposito della sentenza, ha già dichiarato di aver ritenuto “non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario” e “non fondate” le richieste di “corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico.” La Corte ha anche ritenuto inammissibile, per delle presunte “ragioni processuali”, la questione relativa all’impossibilità di esercitare l’attività lavorativa per quei medici ed il personale sanitario che non abbiano adempiuto all’obbligo d’inoculazione, anche quando tale attività non implichi contatti interpersonali. Questo è il sunto di quanto comunicato dalla Corte costituzionale italiana presieduta da Silvana Sciarra. In sostanza, la Corte dell’anno del Signore 2022 ha dato un colpo di spugna, senza poi troppi patemi, a settantacinque anni di giurisprudenza costituzionale ponendosi, questa volta, manifestamente dal lato della politica e non da quello del diritto che le dovrebbe competere. L’uso del condizionale è d’obbligo. 

Il comunicato stampa è semplice e strabiliante o, quantomeno, lo sarebbe in una società nella quale i confini tra ciò che è giusto e ciò che è profondamente errato non fossero stati resi incerti e sbiaditi da un lungo martellamento mediatico. La Corte, con una semplicità e rapidità preoccupanti, ha comunicato che l’evidente sovvertimento dei principi costituzionali ai quali si è assistito a partire dal 2020 non è, in realtà, tale! Lo abbiamo solo immaginato! 

Non approfondiremo, in questa sede, il fatto gravissimo relativo al prof. avv. Augusto Sinagra messo a tacere durante l’udienza, dalla presidente Sciarra, proprio nel momento in cui faceva osservare l’inopportunità che Marco D’Alberti figurasse tra i membri della commissione giudicante, poiché quest‘ultimo è anche stato consulente del Governo Draghi al quale si contestavano tali decreti. Un lapalissiano conflitto politico-giuridico che non è stato ascoltato durante l’udienza! Oppure quanto sia stato inappropriato l’articolo, apparso il 28 novembre su La Stampa, in cui Donatella Stasio, già “capo” (così scrivono) “dell’ufficio stampa della Consulta e Portavoce della Corte Costituzionale”, dichiarava con penna ferma l’assioma secondo cui: “l’obbligo vaccinale tutela i diritti costituzionali” (sic). Fatti che, in altri Paesi, provocherebbero una levata di scudi, non solo dai giureconsulti ma anche da parte della società civile, in Italia, “culla del diritto”, passano ormai inosservati. Non aggiungeremo qui nulla sulle giubilanti testate giornalistiche alla notizia del comunicato stampa.

I togati italiani, con il laconico comunicato del primo dicembre, non hanno solo assecondato la dichiarazione del loro addetto stampa, ma hanno messo, nero su bianco, che lo Stato può fare, in sostanza, quello che vuole del cittadino. Alcuni hanno infatti commentato che questa sentenza è “politica”, ma si potrebbe anche considerare la questione da un altro punto di vista ed affermare, invece, che è ideologica e questo è ben più grave. Nei limiti concessi in questa sede possiamo riassumere l’ideologia soggiacente a questo comunicato condensandola in un elemento essenziale: il cittadino non ha più quei diritti irrinunciabili che gli appartengono come singolo, ma dev’essere considerato, e trattato, come parte di una massa, di un collettivo o di una plebe. Quello che era detto “principio personalista”, il quale riconosce nella dignità umana dell’individuo il cardine fondativo del “patto costituzionale”, viene transumato nel “principio collettivo”, un passaggio non da poco di cui la storia fornisce abbastanza esempi preoccupanti. 

Una tra le ragioni per le quali, in una democrazia, l’imposizione di una restrizione al singolo, basata su una teoresi collettivista, dovrebbe essere giuridicamente nulla è data dal fatto che il collettivo è un’astrazione, mentre l’individuo è una realtà. Imporre, allora, delle imposizioni al singolo in nome di un ipotetico “collettivo”, significa far trionfare l’astrazione sulla persona reale. La pericolosità di questo assunto dovrebbe esser chiara anche attraverso lo studio elementare della storia dello scorso secolo in cui ipotetici principi collettivi astratti come quelli di “Patria”, “razza” o “proletariato”, hanno già determinato infiniti lutti

A questo si può aggiungere che la giurisprudenza emergenziale dello “stato d’eccezione” ha una lunga storia che, sempre nel Novecento, ha prodotto i suoi frutti avvelenati: un fatto che avrebbe dovuto mettere leggermente in allarme i nostri preclari giuristi costituzionali. Invece, senza nessuna attenzione o considerazione su quanto la giurisprudenza emergenziale sia stata essenziale per l’instaurarsi dei regimi totalitari del secolo scorso, la Corte costituzionale ci dice che, nel XXI sec., tale strumento giuridico, già utilizzato a piene mani da regimi nefasti, veste, oggi, i panni sgargianti della democrazia più democratica! Alleluia! Anzi, con una decisione rapida, le signore ed i signori assisi sugli scranni della Corte, ci hanno implicitamente detto: “tranquilli, è tutto regolare, il Governo può togliervi il lavoro e la paga per il vostro bene, tanto quanto può sottoporvi all’obbligo di inocularvi farmaci sperimentali perché tiene alla salute vostra e di tutti gli altri”. Ettore Petrolini, qui, si farebbe dire un sonoro “bravo!” da un complice in platea a cui egli risponderebbe con un chiaro “grazie!” ed un inchino.

Uno tra i tanti problemi è, qui, quello secondo cui la Corte non ha il mero ruolo di emettere sentenze caducatorie ma, attraverso le proprie deliberazioni, ha facoltà di interpretare ed ampliare i principi stessi enunciati nella Costituzione. È in particolare su questo punto che l’ideologia soggiacente alla sentenza mostra la sua gravità. Un Paese in cui, nelle sedi istituzionali, vi sia ancora una filosofia del diritto vedrebbe immediatamente, in tale decisione, l’aspetto della crisi costituzionale. La democrazia dev’essere obiettiva perché solo una razionalità diffusa e condivisa può condurre alla conciliazione tra le parti. È un grave pericolo democratico quando una Corte superiore inizia ad agire al di fuori dei parametri della razionalità giuridica elementare poiché questo può significare che ascolta ben altre voci. La presidente della Corte, in un’inopportuna intervista rilasciata al Corriere della Sera sette giorni dopo il comunicato stampa, ha altresì dichiarato di aver “ascoltato la scienza”, forse qualcuno dovrebbe ricordarle che la “scienza”, qualunque cosa essa intenda con questa parola, non è ancora giurisprudenza… 

È evidente, alle persone di buon senso ancora rimaste, che, in una società razionale in cui il diritto abbia ancora una sua sede propria, quanto è avvenuto a partire dal 2020 dovrebbe essere giuridicamente inammissibile, anche per questo possiamo chiamare una tale sentenza quantomeno “ideologica” poiché, ignorando finanche i pregressi giuridici emessi dalla stessa Corte, abbraccia, anima e corpo, lo Zeitgeist che vuole il cittadino non più sovrano, ma miserabile elemento di una massa informe da trattare senza troppi riguardi. Questa è la stessa ideologia dominante che ha fatto blaterare i media generalisti occidentali che il problema era la libertà e non la cancellazione di questa. Arnold Schwarzenegger, ex Governatore della California ed esempio paradigmatico, ha brutalmente espresso questo concetto con piglio da Terminator dichiarando, il 12 agosto 2021, “Screw your freedom” (“Al diavolo la tua libertà”). Un termine che, però, gli americani non hanno particolarmente gradito ed ha dovuto ritrattare dopo essergli costato alcuni sponsor. 

Il potere che controlla il potere.

 Nel capitolo IV del De l’esprit des lois, Montesquieu scriveva che, in una società “Pour qu’on ne puisse abuser du pouvoir, il faut que, par la disposition des choses, le pouvoir arrête le pouvoir. Affinché il potere non abusi del potere, è necessario (…) che il potere arresti il potere”, ossia il principio cardine delle democrazie liberali consistente nella separazione dei poteri. Già Platone, nel IV sec, a.C., invocava la necessaria indipendenza del giudice dal potere politico: un principio già in sé evidente venticinque secoli addietro sembra ormai smarrito tra i corridoi della storia contemporanea. 

Nelle Lezioni di diritto costituzionale di Vezio Crisafulli il costituzionalista che, nominato dal Presidente Giuseppe Saragat, fu anche giudice della Corte costituzionale dal 1968 al 1977, scrisse: “L’avvento del fascismo (…) rappresenta il punto d’inizio di un opposto processo di involuzione in senso illiberale e autoritario dello Stato italiano.” Egli aggiungeva: “In rapida sintesi, i caratteri del periodo fascista possono così riassumersi: progressivo esautoramento del Parlamento e correlativa sempre più accentuata presenza del Governo”. Evidentemente, questa Corte costituzionale d’oggi non ritiene che un Governo a cui venga data licenza per esercitare la massima ingerenza possibile sul corpo del cittadino, se motivata da paure sanitarie sbandierate attraverso i media, sia qualcosa di cui preoccuparsi, anzi, è talmente poco grave da potersi tranquillamente permettere di zittire un giurista come l’avv. Sinagra durante l’udienza. Io non so e non voglio sapere quale sia il retroterra giuridico di questa gente che veste le toghe costituzionali so, però, che quando la legge diviene mera forma ed arzigogoli, la giustizia langue. 

Per un giurista competente il tema, qui, dovrebbe essere: sono le libertà e la dignità dei valori democratici essenziali, oppure si tratta di quisquilie e di privilegi revocabili a favore di astrazioni collettive? 

Come indicato da una lunga tradizione da Platone a Montesquieu, fino alle formulazioni legali moderne, uno tra i cardini del costituzionalismo consiste nella limitazione del potere esecutivo e nello stabilire garanzie giuridiche affinché il potere statuale non prevalga, schiacciando il soggetto individuale. Ci si chiede: dov’è finita questa funzione di controllo indipendente nella rapidissima decisione della Corte costituzionale del primo di dicembre? 

Consentitemi, a questo punto, di formulare un ultimo enunciato che riprendo da Miguel de Unamuno il quale definiva l’intero “processo economico capitalista” come un sistema in cui “la vita degli uni è un mero mezzo per la conservazione e lo sfruttamento della vita degli altri”. Questo è l’assunto dell’essere umano inteso come mezzo. La teoria democratica interpreta invece l’individuo come fine, da qui la sovranità, autonomia e dignità del cittadino, mentre le teorie dispotiche vanno nella direzione contraria. Trovare “non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore” che pongono il cittadino in una condizione di minorità rispetto allo Stato non consentendogli di esercitare la propria attività lavorativa o persino di salire su un mezzo di trasporto pubblico senza sottoporsi a fantasiose verifiche pseudosanitarie, o alla somministrazione di un farmaco sperimentale inefficace contro la diffusione di un virus, rappresenta un grave passaggio da una visione concettuale dell’essere umano inteso come fine a quella di un soggetto (subjectum) che è un semplice mezzo nelle mani del manovratore di turno. Colui che viene trattato come mezzo vive, o sopravvive, sottoposto a normative arbitrarie e variabili: oggi è così, domani in un altro modo e tutto questo con il beneplacet di quelli che “ascoltano” la pseudoscienza televisiva, dimenticando persino la valutazione giuridica apolitica e non ideologica alla quale dovrebbero essere preposti: mala tempora currunt.