Il presidente turco Erdoğan fin dal primo momento si è detto certo di sapere chi stava dietro al colpo di stato, che ha rischiato di mettere fine ai suoi 14 anni al vertice della Turchia, come primo ministro fino al 2014 e poi come presidente della Repubblica.
Ha subito puntato l'indice contro il suo arcinemico Fethullah Gülen, un ex-imam, attualmente predicatore, fautore di un Islam moderato, dal 1999 in esilio volontario in Pennsylvania (nella foto sotto la sua villa).
Va detto che in Turchia, fin dalla fine dell'impero ottomano, dopo la prima guerra mondiale, regna una forte rivalità fra laici e islamisti. Ai primi che si ispirano a Kemal Atatürk, il fondatore dello stato moderno, appartengono molti militari dell'esercito turco, fra i secondi si distingue l'AKP, il partito di Erdoğan. Fethullah Gülen occupa una posizione intermedia e da qualcuno viene visto come un possibile mediatore fra le due opposte tendenze.
Gülen, 75 anni, è a capo di Hizmet (Servizio), un movimento popolare dai contorni indefiniti, che attraverso iniziative di culto, la pubblicazione di giornali e riviste, la fondazione di scuole e aziende e la promozione di attività culturali, si è assicurato grosse disponibilità finanziare e la possibilità di esercitare una grossa influenza in molti ambienti di potere.
Secondo alcune fonti, il dieci per cento della popolazione turca dà il suo appoggio a Hizmet e, in particolare, Gülen può contare su molti sostenitori nelle fila della polizia e della magistratura.
Nel 2013 proprio magistrati e poliziotti gulenisti sono stati ritenuti responsabili dai seguaci di Erdoğan delle accuse di corruzione mosse contro persone vicine al presidente, fra cui il figlio Bilal.
Le accuse furono viste come una sorta di rappresaglia contro il tentativo di Erdoğan di vietare le scuole guleniste, nell'intento di limitare la popolarità di Hizmet. Ne seguì una purga che portò alla rimozione di alti gradi dell'esercito e della polizia, sospettati di nutrire simpatie per Gülen e il suo movimento. Ad essere colpiti furono anche giornali in opposizione al regime, con la sostituzione dei direttori o addirittura la chiusura.
Secondo l'agenzia di stampa Anatolia, negli ultimi due anni circa 1.800 persone, fra cui 750 appartenenti alle forze di polizia e 80 all'esercito, perché sostenitori di Gülen. Circa 280 sono ancora in carcere, in attesa di processo.
La branca americana di Hizmet, la Alliance for Shared Values, ha smentito qualsiasi coinvolgimento nel tentato colpo di stato, definendo le accuse irresponsabili, e si è detta da sempre contraria ad un intervento militare, affermando che da 40 anni Gülen e Hizmet sono impegnati a sostegno della pace e della democrazia.