L’Istat ha confermato quello che molti lavoratori già temevano: nel 2027 l’età pensionabile salirà a 67 anni e 3 mesi, mentre per accedere alla pensione anticipata saranno necessari ben 43 anni e 1 mese di contributi. Il motivo ufficiale? L’aumento dell’aspettativa di vita, che nel 2024 ha raggiunto 21,2 anni a 65 anni, il valore più alto dal 2019. Un dato che, secondo la normativa vigente, impone un adeguamento automatico dei requisiti pensionistici.
Ma questa logica è davvero sostenibile? E soprattutto, è equa?
L’aumento dell’età pensionabile è il risultato di un sistema rigido e disumano, che lega la speranza di vita al diritto alla pensione senza considerare che vivere più a lungo non significa necessariamente vivere meglio. Un aumento dell’aspettativa di vita non implica che gli anziani siano in grado di lavorare fino a 70 anni. Al contrario, molti di loro si trovano in condizioni di salute precarie.
Secondo le proiezioni dell’Istat, nel 2031 gli over 65 rappresenteranno il 27,7% della popolazione, un dato destinato a salire al 34,5% nel 2050. Questo squilibrio generazionale viene usato come giustificazione per l’aumento dell’età pensionabile. Ma dietro questa narrazione si cela una politica miope, che ignora i veri problemi del sistema previdenziale.
Le vere cause della crisi previdenziale
Il calo delle nascite: il vero nodo della sostenibilità del sistema pensionistico è il drastico calo delle nascite, che riduce la platea di contribuenti attivi. Eppure, invece di incentivare politiche di sostegno alla famiglia e all’occupazione giovanile, si preferisce semplicemente allungare la vita lavorativa di chi è già in attività.
Il paradosso dell’occupazione: spostare sempre più in là l’età pensionabile significa rallentare il ricambio generazionale, penalizzando i giovani che faticano già a trovare un’occupazione stabile. In un mercato del lavoro dove gli over 50 sono considerati “troppo vecchi” per essere assunti, si pretende che gli stessi lavoratori restino attivi fino ai 70 anni?
Una visione contabile e non sociale: il sistema previdenziale viene trattato come un mero problema di bilancio, ignorando che dietro ai numeri ci sono persone, famiglie e diritti. I soldi per garantire una pensione dignitosa non si trovano, ma vengono spesi senza problemi per bonus edilizi, rendite di posizione, stipendi d’oro e privilegi politici.
Se la tendenza attuale non verrà modificata, l’età pensionabile continuerà a salire: 67 anni e 6 mesi nel 2029, 67 anni e 9 mesi nel 2031, fino ad arrivare a 69 anni e 6 mesi nel 2051. Ma dove si fermerà questo meccanismo? Possiamo davvero pensare di costringere le persone a lavorare fino a 70 anni, quando il mercato del lavoro fatica già oggi a garantire impieghi stabili agli over 50?
L’automatismo che lega l’aspettativa di vita all’età pensionabile è una grave ingiustizia sociale. Serve una riforma che tenga conto della qualità della vita, della diversità dei lavori e della necessità di garantire un equilibrio tra generazioni. Il pensionamento non deve diventare un miraggio, accessibile solo a chi ha la fortuna e le risorse per arrivarci.
È ora di dire basta a questa logica punitiva: la pensione deve restare un diritto, non un lusso per pochi fortunati.
Dicono che i soldi per pagare le pensioni non ci sono? Ebbene, trovateli! Li avete trovati per il Reddito di cittadinanza, per il Superbonus edilizio del 110%. Li trovate ogni mese per pagare stipendi d’oro, privilegi e rendite di posizione.
E allora trovateli anche per garantire una vecchiaia serena, senza costringer i lavoratori a dover lasciare il posto di lavoro a 70 anni!