Negli ultimi anni, il ruolo delle banche centrali non ha suscitato alcuna invidia. Dopo aver fronteggiato lo shock economico causato dalla pandemia da Covid-19 e le turbolenze scatenate dalla guerra in Ucraina, sembrava finalmente aprirsi uno spiraglio di normalità. Ma per la Federal Reserve, la minaccia più destabilizzante potrebbe non essere economica, bensì politica: si chiama Donald Trump.
Storicamente, le decisioni della banca centrale statunitense hanno rappresentato uno dei principali catalizzatori dei mercati finanziari. Ma da quando Trump è tornato a dominare la scena politica, la Fed è stata relegata a un ruolo secondario. Gli investitori, più che scrutare le mosse del presidente Powell, si ritrovano a dover interpretare gli strappi del tycoon, sempre meno prevedibili e sempre più influenti.
Le tensioni commerciali, alimentate settimanalmente da nuove imposte doganali e dichiarazioni spiazzanti, stanno minando la stabilità economica americana. L’amministrazione Trump sembra agire per vie estemporanee, trasmettendo segnali contraddittori che rendono quasi impossibile prevedere la rotta futura di inflazione e crescita. In un contesto tanto mutevole, la Fed si trova costretta a navigare a vista, con strumenti che rischiano di rivelarsi inefficaci.
E i segnali dal mercato sono chiari: la recessione è più di un'ipotesi, è uno spettro sempre più concreto. Il dollaro ha iniziato a perdere terreno, con il suo indice che è scivolato sotto la soglia psicologica dei 100 punti, segno evidente della crescente sfiducia nel sistema.
In questo scenario, le aspettative degli investitori si concentrano sui tassi d’interesse. I futures indicano la possibilità di almeno tre tagli entro fine anno – uno in più rispetto a quanto previsto ufficialmente dalla Fed. Un allentamento monetario che potrebbe sembrare necessario, ma che rischia di essere annullato dall’imprevedibilità delle azioni presidenziali.
Una cosa è certa: se la Fed ha il compito di stabilizzare l’economia, Trump ha quello – volente o nolente – di destabilizzarla. Il futuro della politica monetaria statunitense sarà, ancora una volta, scritto più alla Casa Bianca che a Washington D.C., sede della Federal Reserve.