"In relazione all'episodio a cui ha fatto riferimento l'interrogante, le autorità deputate alla ricerca e soccorso in mare competenti secondo le normative internazionali hanno formalmente riferito che in quel contesto, in acque internazionali non sotto la giurisdizione italiana, un gommone di appoggio della nave privata Mare Jonio si era avvicinato alla motovedetta libica Fezzan in un momento successivo a quello in cui quest'ultima, la Fezzan, aveva già assolto agli obblighi di salvataggio in mare.Nell'occasione, le persone presenti sul gommone, inviato dalla nave privata, incitavano i migranti a lanciarsi in mare per interrompere le operazioni di salvataggio in atto da parte dell'unità libica, con ciò mettendo a repentaglio l'incolumità delle persone stesse, tanto che diversi migranti si sono gettati in acqua per poi essere nuovamente soccorsi in parte dalla motovedetta libica, in parte dal predetto gommone che li ha poi trasbordati sulla Mare Jonio. È in questa fase che risulterebbe che siano stati esplosi effettivamente alcuni colpi di avvertimento in aria, affinché le predette imbarcazioni private si allontanassero, così da poter riprendere le operazioni di salvataggio. È pertanto evidente che la nave privata Mare Jonio non sia mai stata incaricata dalle autorità competenti ad effettuare l'operazione di soccorso in argomento all'interno della zona SAR ove si sono svolti i fatti. Della vicenda è stata immediatamente informata l'autorità giudiziaria.La condotta appena descritta ha determinato l'applicazione delle sanzioni previste dal decreto-legge n. 1 del 2023 e il consequenziale fermo della nave privata Mare Jonio. Siamo nell'ambito di un quadro normativo volto a disciplinare proprio quegli interventi di soccorso ai quali concorrono talvolta assetti navali privati, spesso in acque SAR non italiane, e che pertanto devono essere sottoposti al coordinamento degli Stati che ne hanno la responsabilità, nel pieno rispetto delle convenzioni internazionali e con la finalità di salvaguardare l'incolumità e la vita delle persone.Su un piano più generale, ribadisco che obiettivo del Governo sarà quello di contrastare ogni indebito illecito o insostenibile ingresso sul territorio nazionale di persone al di fuori di un quadro di regole. In questo senso si indirizzano le politiche del Governo volte ad implementare i corridoi umanitari, i canali legali di ingresso e i percorsi socio-lavorativi, a cui pure ha fatto riferimento l'onorevole interrogante".
Così il ministro dell'Interno Piantedosi ha risposto ieri in Senato all'interrogazione del dem Nicita e altri sull'attacco subito il 4 aprile dalla Mare Jonio da parte di una motovedetta libica durante un'operazione di salvataggio.
In risposta, il senatore Nicita aveva sollevato numerose perplessità sulla ricostruzione dell'accaduto fornita dal ministro:
"Signor Ministro, una delle domande principali che ho posto, cioè come sia possibile che in mare, in un'operazione di salvataggio, si sparino dei colpi in aria da parte della motovedetta libica, è rimasta senza risposta, nei confronti di un'operazione nella quale era presente una bandiera italiana. Questo, anche se abbiamo idee diverse sulla politica del nostro Paese, fa sorgere un dubbio persino sulla questione della difesa della sovranità nazionale. In questo caso, quando abbiamo una motovedetta libica che spara dei colpi - e non erano soltanto dei colpi in aria, perché ho visto il video, signor Ministro - si pone un problema anche di sicurezza nazionale. Mi dispiace che se ne sia andato il Ministro della difesa.La seconda questione è che da tutta una serie di e-mail, che sono chiaramente documentate - questo sarà oggetto di approfondimento in ambito giudiziario - risulta che in realtà la motovedetta libica è arrivata dieci minuti dopo. Nel video che ho potuto visionare ci sono delle persone con i salvagenti che sono stati distribuiti, dieci minuti prima che arrivasse la motovedetta libica, già sul gommone, ed è vero che ci sono delle persone che si tuffano dalla motovedetta libica, peraltro incitate da colleghi e non dall'equipaggio - si vede chiaramente questo - e che sono partiti dei colpi.Signor Ministro, questo a nostro avviso è un atto molto grave. Noi vorremmo avere risposte su questo e su quali sono i messaggi che si danno anche alle motovedette libiche, se ritengono che si possa ostacolare il salvataggio, non rispettando le convenzioni internazionali e addirittura mettendo a rischio il soccorso e anche possibili vite umane.Siccome i decreti che lei ha emanato colpiscono le ONG sulla base del presunto pericolo in cui possono mettere le persone salvate, mi chiedo quale sia la definizione del pericolo quando le persone durante il salvataggio sono oggetto di spari".
Oggi Mediterranea Saving Humans, la ong che arma la Mare Jonio, ha rilasciato un comunicato in cui accusa il ministro Piantedosi di aver mentito al Parlamento:
"Rispondendo ieri pomeriggio in Senato all'interrogazione urgente presentata dal senatore Antonio Nicita in merito all'attacco armato da parte della motovedetta libica 658 “Fezzan”, avvenuto lo scorso 4 aprile in acque internazionali, contro naufraghi in acqua e li soccorritori della nave italiana MARE JONIO, il ministro Matteo Piantedosi ha mentito al Parlamento. Il titolare dell'Interno ha infatti affermato che la nostra MARE JONIO sia intervenuta in un “momento successivo, avvicinandosi alla motovedetta Fezzan quando questa aveva già assolto gli obblighi di salvataggio in mare”.È clamorosamente falso.Come dimostrano le nuove immagini video che diffondiamo oggi, la MARE JONIO individua l'imbarcazione in pericolo con oltre 45 naufraghi a bordo alle ore 16:40 del 4 aprile e il nostro Team Rescue inizia le operazioni di soccorso quando sulla scena non c'è nessun'altra imbarcazione presente. Anzi, proprio durante il nostro intervento, si può ascoltare la motovedetta libica che, distante ancora alcune miglia, chiede via radio vhf alla MARE JONIO informazioni sulla barca in pericolo. La cosiddetta guardia costiera libica arriverà infatti, a grande velocità, soltanto venti minuti dopo l'inizio del soccorso, alle ore 17:00, quando il nostro Team ha già distribuito i giubbotti di salvataggio ai naufraghi e si sta apprestando a trasferire le prime persone sulla MARE JONIO.
📢 Il ministro dell'Interno #Piantedosi ha mentito al Parlamento: la motovedetta libica è intervenuta sparando, quando la #MareJonio era già impegnata nei soccorsi.
— Mediterranea Saving Humans (@RescueMed) April 12, 2024
Qui il nostro comunicato 👇https://t.co/NHDUxP8WZo pic.twitter.com/c4agx85iSP
Il ministro Piantedosi ha quindi mentito al Parlamento. E lo ha fatto sapendo di mentire. Infatti, al momento dello sbarco delle 56 persone soccorse, nel porto di Pozzallo lo scorso 5 aprile, i nostri Comandante e Capomissione non solo hanno reso spontanee dichiarazioni all'Autorità marittima ricostruendo puntualmente i fatti avvenuti, ma hanno anche consegnato documentazione fotografica e video sia alla Guardia Costiera italiana sia alle forze di Polizia direttamente dipendenti dal Viminale presenti al molo.Perché – ci chiediamo, ma dovrebbe chiedersi chiunque abbia a cuore la democrazia nel nostro Paese – il Ministro dell'Interno ha avallato la falsa ricostruzione delle sedicenti “autorità libiche” e copre in questo modo le criminali azioni della cosiddetta guardia costiera libica? Perché il Governo italiano non difende invece li naufraghi e li soccorritori che, con una nave battente bandiera italiana, sono stati bersagli e vittime di un deliberato attacco armato?Il ministro Piantedosi ha mentito al Parlamento, non solo per giustificare i provvedimenti punitivi di fermo amministrativo e sanzione pecuniaria contro la nostra nave MARE JONIO, ma anche e soprattutto per difendere l'ormai indifendibile collaborazione tra il Governo italiano e le milizie libiche, responsabili – come si è visto anche il 4 aprile – di innumerevoli e sistematiche violazioni del diritto marittimo e umanitario internazionale. Una collaborazione che deve finire. Subito".
Se un ministro - oltretutto dell'Interno - mente al Parlamento in maniera talmente spudorata, come può avere la fiducia del Parlamento in una Repubblica che, ancora, è una Repubblica parlamentare?