Roberto e Genna si compiacciono: meno male che, da prudenti liguri, si prendono sempre qualche giorno di ferie in più, “non si sa mai succeda qualcosa”.
Con qualche aspettativa, si trasferiscono “padiglioni e trabacche”, come avrebbe detto il Boccaccio, in una sorta di motel per turismo interno, l’Hatabey. Il nuovo sito fa di botto scadere il livello della vacanza di vari canoni, a meno di non essere il tipo di turista avventuroso e amante delle stranezze a buon mercato. Nel nuovo hotel la pulizia lascia a desiderare; le lenzuola male ispirano; non c’è aria condizionata centrale, ma un apparato che fa un chiasso d’inferno. Niente più assistenti, proposte di escursioni, possibilità di noleggio di questo e di quello: e d’altronde, il denaro scarseggia.
Si gironzola tutto il giorno sotto un cielo plumbeo e la notte non dorme nessuno. Roberto e Genna trascorrono le ultime due notti vegliando malamente, tra il ronzio del quarantennale ventilatore, le zanzare che cercano di divorarli vivi e il fracasso della festante clientela autoctona che suona, canta, balla e beve fino al mattino. L’alba li sorprende non abbracciati, ma sfatti.
Al commiato, tocca evitare un mucchio di vetri rotti disseminati per ogni dove, ricordo della baldoria notturna; poi, via tutti verso l’ignoto, i volti tumefatti dall’insonnia. Ritorno in Italia. Partenza da Varadero, su un pullman che si scassa quasi subito. In due o tre si infilano, letteralmente, nel motore, senza venire a capo di nulla. Li caricano su un secondo, non meno malridotto, che rischia subito la collisione con l’unica, dicasi l’unica, vettura in più di cento chilometri; fortunosamente vengono scaricati alla meta.
L’ormai leggendario “José Martì” è deserto come di norma: l’unico aereo in partenza è quello per Milano. Questa volta il volo è diretto, assicurano, ma il ritardo è sempre da competizione: tra i viaggiatori sorgono battibecchi, l’aria si fa pesante.Eccolo che arriva: si, è proprio il loro Iliusci, con i soliti rumeni più irridenti che mai, la condensa, i sedili stretti, e tutto il resto. Addio Cuba, sorgente dalle acque: restano una bella abbronzatura, sigari, rum, bamboline.
Il tempo scorre via tranquillo, a parte qualche vaffan…tra i rumeni e certi napoletani. Roberto e Genna trovano posto tra un giovane semipunk e la sua ragazza, abbastanza strafatti e un trio di esuberanti giovanottoni della bergamasca.
Diverse ore dopo.Viene annunciato in italiano rumenizzato, che c’è una turbolenza su Milano, di allacciarsi le cinture e non fumare, che il pilota proverà ad atterrare ugualmente. Alle prime discese di quota, si perde il senso del tempo. La testa vortica, tra disperati tentativi di atterraggio a tutta birra, bucando la spessa coltre di nubi e acqua, seguiti da repentine risalite dopo i fallimenti. I tre bergamaschi vomitano anche l’anima, il fedifrago sviene, il punk bestemmia senza sosta, gli anziani collassano, mentre monta un odore nauseabondo. I rumeni sghignazzano. Lo steward non fa che ripetere “ah, miei maschi italiani”: se lo guardi in cagnesco, si diverte ancora di più.I display lampeggiano all’impazzata: “nu fumati” “fixati centurile”. Le ultime parole (rumene) prima della fine?
No. Il top gun della Transilvania dirotta su Roma e così si tocca terra: urrah! L’aereo è saturo di miasmi ed umori, mentre atterra nella capitale. Qualcuno annuncia che non volerà mai più. Roberto e Genna, stressati a morte, ridono per un'ora, finché si accorgono che alcuni rappresentanti delle forze dell'ordine li guardano con interesse. Decidono di smettere, ma la paura è stata tanta.