Grecia poco omerica...


CUBA

A Cuba ci scappa la laurea da turisti veterani.

E' appena terminata l’estate. I nostri due, irrequieti, pensano di terminare la stagione con una bella vacanza di riposo: cosa meglio di Capri?

Nella chic-fi-chissima isola campana i prezzi sono da rapina a mano armata e il turismo di massa è malvisto. Una coppia di giusti, perciò, ripiega sulla figata radical, che costa meno. Il tour operator è specializzato, state tranquilli. All’agenzia hanno il potere di calmare gli animi.

Roberto e Genna partono accompagnati dall’ irritata apprensione dei rispettivi genitori (“siete sempre a volare, ci sono tanti bei posti in Italia, spendete troppo”).

Febbricitanti per una influenza traditrice, zeppi di Tachipirina, stoicamente eccoli di nuovo alla volta della Malpensa, la loro seconda casa.

I lombardi si lamentano per le attese all’aeroporto: e loro due, meschini, che arrivano da Genova, cosa dovrebbero dire? L'obiezione viene disprezzata.

Prima sorpresa: l’addetto dell’agenzia informa (“non so se ve l’hanno detto, avete un cambio di programma...”) che c’è uno scalo tecnico a Terranova, in Canada: circa quattro ore in più da mettere in conto.

La costernazione toglie il respiro: con l’aria di chi va in guerra, si appropinquano al velivolo.

Sì, perché forse lo ha usato Lindberg nella sua prima traversata: si tratta di un Iliusci, con equipaggio rumeno che accoglie il gruppo con sguardo irridente e serve i pasti tirando i piatti a mo’ di frisbee: bisogna capirli, dice qualcuno, c’è la guerra fredda.

Così i passeggeri mangiano cose terribili, seduti nella fila di sedili così ravvicinata alle altre che le ginocchia arrivano in bocca, mentre le gocce di condensa bagnano la testa.

A Terranova scendono indossando le T-shirts che dovevano servire ai Caraibi, ma lì siamo vicini al Polo; corsa a perdifiato verso l'aeroporto.

La sala d’attesa, ingentilita da un murale che fissano inebetiti, fa da dormitorio nell’attesa di non si sa bene cosa: le ore passano, non c'è nulla da leggere sottomano,si ciondola osservando gli altri passeggeri. Ripartenza e arrivo a Cuba. Delirio.

L’aeroporto “José Martì” a quei tempi non è molto frequentato, anzi è più che altro desolatamente vuoto. Quella, però, si presenta subito come una serata

Ripartenza e arrivo a Cuba. Delirio. L’aeroporto “José Martì” a quei tempi non è molto frequentato, anzi è più che altro desolatamente vuoto. Quella, però, si presenta subito come una serata eccezionale: forse è arrivato un charter di tedeschi o un volo interno, sta di fatto che la coda per il controllo passaporti è lunga e lentissima, e non si dorme da un pezzo.

E dire che l’insieme non sarebbe malaccio, per gli spiriti curiosi: famiglie intere con bimbi e animali, vesti colorate, conversazioni in spagnolo coloniale. Macché, tutto dà fastidio, vogliamo dormire! Trascorre un tempo infinito: le gambe stanno cedendo, gli occhi sono a palla, quando finalmente arriva il loro turno ma…ahi, sui passaporti di Roberto e Genna c’è il visto USA.

Andirivieni del poliziotto, conciliaboli nel retro, poi si passa; eccoli di nuovo in coda per il bus diretto a Varadero. Non si erano informati a dovere: sono centosessanta chilometri e l' albergo è l'ultimo della lista.

Ci vogliono ore prima che il pullman, di fabbricazione americana anni ’40, li depositi a destinazione, smaniosi, coi cervelli bruciati dalla veglia e le orbite oculari di un calamaro. Pensano anche di dormire per la strada, ma vengono fermati in tempo.

Jet leg. La prima notte di sonno è intensa, ma breve; pare passato un secolo ed è subito sera, come diceva il poeta. Li trascinano alla serata di colore locale, ma presto le capocce di Roberto e Genna giacciono ripiegate sul tavolo, indifferenti alle evoluzioni salsere dei ballerini ed alla lotteria per turisti.

Cuba è bella, come no. Però…. l’agenzia s’è sbagliata. Invece della “pensione completa” richiesta, ha rifilato la mezza: lì significa saltare i pasti e appena si esce, sono problemi. Non esistono negozi, rivendite, banchetti, nemmeno uno spaccio di gazzose. Quando si avventurano alla Baia dei Porci, trovano solo un capanno nel bosco, che serve operai locali.

Vengono loro ammanniti, a scelta: concentratissimo succo di mango; the con animaletti incorporati; riso semiliquido.

Terminano la gita affranti e disidratati. La Dune Buggy a noleggio fa lo slalom tra i granchi; le famiglie del posto li rincorrono, implorando una foto.

In albergo la televisione manda film italiani sottotitolati in spagnolo: che pacchia, almeno non devono sforzarsi di capire, e poi sono cose di qualità, c’è sempre Gian Maria Volontè: magari cambiare ogni tanto….no, eh?

E’ difficile anche scegliere le cartoline da mandare ai parenti. Ne esistono solo tre o quattro esemplari e, più che fotografie, sembrano paesaggi dipinti malamente, nell’ordine: palme sulla spiaggia; ombrelloni sulla spiaggia; un bungalow sulla spiaggia. In più tocca pagare in dollari, o in intour, che è lo stesso. E le telefonate! Dopo numerosi tentativi dall’unica cabina, si sente la voce dei genitori provenire come da altri pianeti, chissà come sono agitati.

Per visitare i dintorni si avvalgono di una guida con autista, locali: lezioncina sulla parità di trattamento tra le categorie sociali nel paese.

Pranzo all’Habana Libre, mega hotel americano anni ’50, tanto per cambiare, con un’aria condizionata meno dieci, che costringe quasi ad incappottarsi: questo aspetto degli USA, potevate anche lasciarlo perdere come tutti gli altri….Provano a fumare un cigarillo. I due cubani li guardano bramosi: glieli regalano tutti. In spiaggia loschi figuri chiedono in continuazione di vender loro qualcosa, magari il costume da bagno, sotto gli occhi della corrusca polizia locale che ci mette poco a saltarti addosso.Un trafficante magnifica l’Italia e le grazie di Raffaella Carrà “muy bonita”.Al bar un rude genovese esalta a gran voce le godurie del turismo sessuale. Un leghista in erba tuona contro i terroni; scaramuccia italiana, tra i risolini delle guide.

L'ultimo giorno, ecco un po' di atmosfera cubana in spiaggia: tre cloni di Compay Segundo deliziano con una “Guantanamera” a tre chitarre.

Tra passeggiate a cavallo ( ronzini alla soglia della terza età equina), spaventosi temporali cui seguono clamorose schiarite, nella torpida atmosfera isolana, la vacanza si avvia alla fine.

L’assistente italiana, in genere, è impegnata ad amoreggiare col suo fiero e baffuto boy friend indigeno. Si degna di informarli che...c’è un imprevisto. Arriva puntuale un altro inconveniente: l’aereo per l’Italia semplicemente non c’è. Ne ignorano la ragione. Si stazionerà altri due giorni, se non di più, in un albergo nei dintorni.

Continua...