Il criminologo italiano invita gli studenti del Collegio belga a interessarsi di mafie e a conoscerle per poterle distinguere e combatterle. Il sunto dell’incontro in videoconferenza in una breve intervista di Juliana Keldermans. 

Professore, perché oggi ha usato sempre il termine “nuove mafie”?

Perché sono, per molti aspetti, diverse dalle vecchie. Dopo il periodo stragista in Italia le mafie hanno cambiato pelle. All'uso fragoroso della violenza preferiscono attualmente il silenzio della corruzione. Hanno una grande capacità di adeguarsi al contesto politico, economico e sociale dove s’infiltrano per poi radicarsi. Non parlerei neanche più di radicamento ma di integrazione. S’infiltrano facilmente negli apparati politici amministrativi dello Stato centrale e degli enti locali. Gestiscono comparti dell’economia, dagli appalti alle sovvenzioni pubbliche, dallo smaltimento dei rifiuti ordinari e pericolosi alle energie alternative. Giocano in Borsa e operano nella finanza mondiale. Resta uguale rispetto al passato solo il loro unico obiettivo: acquisire potere e denaro.


Noi qui in Belgio dobbiamo preoccuparci?

Devo comunicarvi una brutta notizia. Non siete per nulla immuni dal fenomeno mafioso. Avete le mafie italiane, albanesi, marocchine, turche, per citarne alcune più note. Europol conferma che il Belgio sia un luogo ideale per nascondersi e per iniziare nuove attività criminali. Le mafie fanno affari soprattutto con il traffico e lo spaccio di droga (cocaina, eroina e cannabis, droghe sintetiche), traffico di esseri umani (immigrazione illegale, lavoro nero e prostituzione), riciclaggio di denaro sporco. Investono in ogni settore economico che possa garantire loro guadagni facili e ingenti. Il porto di Anversa è un centro nevralgico per i loro affari criminosi poiché consente le interconnessioni dirette con il sud dell’America (Perù, Messico, Colombia), fonte di approvvigionamento della cocaina. 


Quali sono le peculiarità delle nuove mafie?

Tra il piombo e la corruzione hanno scelto la seconda. Sono transnazionali, mercatistiche, invisibili e usano la violenza solo come extrema ratio. Sono presenti nei mercati economici e finanziari globali. In passato ricercavano a livello localistico mercati da poter controllare, oggi lo fanno a livello transnazionale e servendosi anche di menti eccellenti, la cosiddetta area grigia, che per voi sarebbero i “white collars”. 


Nel contesto da lei delineato quale ruolo può assumere la scuola?

Il mio maestro e amico Antonino Caponnetto era convinto, e lo sono anch'io, che la mafia temesse la scuola più della giustizia, e che l'istruzione togliesse erba sotto i piedi della cultura mafiosa. Lo studio e l’istruzione v’insegnano a pensare e a conoscere e di conseguenza vi guidano verso scelte consapevoli. Frequentando la scuola ci s’istruisce ma si dovrebbe imparare anche a essere buoni cittadini. I giovani saranno i futuri portatori dei valori e della cultura della legalità. Saranno la più preziosa testimonianza, di ciò che abbiamo loro insegnato. Dobbiamo, di conseguenza, lottare perché la consapevolezza del fenomeno mafioso si diffonda sempre di più, affinché la lotta contro le mafie sia uno sforzo comune e non solo individuale. La scuola, in questo contesto, dovrebbe essere l’emblema dell’efficienza dello Stato, sia in termini di esempio, sia di ricerca e di progresso. A scuola non si va per conseguire solo una laurea ma si dovrebbe frequentarla anche per prepararsi ad affrontare la vita avendo chiaro il senso dei valori da perseguire.


I giovani secondo lei sconfiggeranno le mafie?

Questo non posso saperlo. Sicuramente noi dobbiamo fare tutto il possibile affinché questo accada. Le mafie vivono sulla gioventù e si nutrono sfruttando il periodo più bello della loro vita. Paolo Borsellino, che spero voi conosciate, diceva che quando la gioventù le toglierà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo. Per sconfiggere le mafie e il malaffare occorre un movimento morale e culturale fatto di pratiche concrete individuali e collettive. Le mafie possono essere sconfitte, basto volerlo.


Che cosa dovrà fare lo Stato belga per porre freno a questi fenomeni da lei segnalati?

Quello che dovrebbe fare ogni Stato in qualsiasi parte del mondo: combatterle senza remore. Oggi non sono solo un problema che coinvolge la giustizia, ma interessano anche l’economia, la politica, la cultura e la società civile. Le mafie si possono sconfiggere solo con azioni mirate e sinergiche. Lottando la corruzione, l’evasione fiscale, la disoccupazione giovanile, favorendo la ricerca e lo studio, aiutando le imprese in crisi, adeguando la legislazione antimafia alle moderne metamorfosi delle organizzazioni criminali. Sembrerebbe molto difficile, vi assicuro non lo è affatto.

 

Vincenzo Musacchio, criminologo, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.  È oggi uno dei più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali, un autorevole studioso a livello internazionale di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative a livello europeo.