È atterrato a Ciampino alle due del pomeriggio il volo che finalmente ha riportato Silvia Romano a casa e le ha permesso di riabbracciare i suoi familiari. Si può solo immaginare quanto commovente possa essere stato quel momento, soprattutto per il papà, la mamma e la sorella che oramai nutrivano pochissime speranza di rivederla. 

Ad attenderla anche il premier Conte e il ministro degli Esteri Di Maio. Quest'ultimo, ieri, ha dato l'impressione di aver appreso la notizia dalla stampa e di non essere stato informato prima di altri della liberazione della cooperante italiana. Per questo, nelle ultime ore, ha fatto di tutto per dimostrare di essere al centro degli avvenimenti:

«Quella di ieri è stata una giornata intensa e importante. Quando i nostri servizi di intelligence esterna ci hanno chiamato per darci la notizia della liberazione di Silvia Romano tutti noi abbiamo provato una gioia indescrivibile. In primis chi da un anno e mezzo era impegnato sul caso, a partire dall’Unità di crisi della Farnesina, che ringrazio.In pochi istanti ho ripensato a tutte le volte che al padre di Silvia Romano avevo promesso che avremmo fatto tutto il possibile per riportare la figlia in Italia. E ieri ci siamo riusciti.Oggi, verso le 14, saremo a Ciampino ad accoglierla. Le ho parlato per qualche minuto al telefono: sta bene e non vede l’ora di rivedere la famiglia.Per Silvia sono stati 18 mesi di grande sofferenza. Per la sua famiglia sono stati 18 mesi di dolore.Voglio ringraziare donne e uomini del Ministero degli Affari Esteri che in questi 18 mesi hanno sempre supportato la famiglia. A volte semplicemente con una parola di conforto, perché in momenti bui come questi nessuno deve rimanere solo».

Ma come è stata liberata?

Così lo riassume Repubblica: «Nelle scorse settimane il numero uno dell'Aise, Luciano Carta aveva mandato a Nairobi alcuni tra i suoi uomini migliori per gestire l'operazione. Dalla fine di novembre, i servizi avevano la certezza che Silvia fosse viva.La sicurezza arrivava da un video che ritraeva la cooperante italiana: era nelle mani dei sequestratori, in buona salute. Il contatto preso era dunque quello giusto. Ma sin dal principio si è capito che il negoziato sarebbe stato molto delicato. Per questo, nella partita, è stato cruciale l'apporto dei servizi turchi che hanno grandi contatti in Somalia e che hanno accompagnato gli italiani allo scambio per riavere Silvia.La ragazza era stata detenuta nell'ultimo periodo in un grande centro abitato nel centro della Somalia. Fisicamente era in buone condizioni, vestiva da islamica, con gli stessi vestiti con cui poi è stata consegnata. "I rapitori avevano tutto l'interesse a farla stare bene", spiega una fonte "perché l'unico loro obiettivo era intascare più denaro possibile".»

Silvia è arrivata avvolta in un chador di un improbabile colore verde. Una veste islamica che testimonia la sua conversione all'Islam. Una scelta volontaria e non un escamotage dovuto alla situazione in cui si è venuta a trovare. Lo ha ribadito lei stessa. 

E uno dei maître à penser dell'estremismo di destra, Alessandro Sallusti, ha così commentato il particolare, ritenuto da lui più importante dell'abbraccio con i familiari: 

«Silvia è tornata, bene ma è stato come vedere tornare un prigioniero dei campi di concentramento orgogliosamente vestito da nazista. Non capisco, non capirò mai».


E poco prima in un'intervista, Giuseppe Civati, che da un anno e mezzo non aveva mai smesso di scrivere un messaggio o un pensiero per ricordare la giovane cooperante milanese, aveva detto: «Non scorderò mai i commenti indegni che accompagnarono le prime notizie del suo rapimento. Un cinismo inaudito. ... All'epoca ero già uscito dal mondo della politica, è stata una scelta personale. Non conoscevo Silvia, né i suoi genitori, ma ero rimasto terribilmente colpito dai primi commenti di alcuni esponenti politici dopo il suo rapimento. Qualcuno ha fatto spallucce, altri hanno sostenuto che "se l'era andata a cercare". Parole indegne, accuse che - guarda caso - vengono sempre rivolte solo alle donne e nelle situazioni più brutte, quelle in cui invece meriterebbero tutta la nostra vicinanza e solidarietà. C'è qualcosa che avvelena la politica italiana».

È evidente che quel "qualcosa" è ancora ben vivo e presente.