L'editoriale di Luciano Magaldi: "Kamala Harris, dal Fondo del CV alla Vetta Politica Estera (e senza Mai Portare il Caffè...)?"
I vicepresidenti ordinariamente non rivestono la carica di responsabili della politica estera, a parte Dick Cheney che fomentò pletorici accadimenti bellici. Eppure, Kamala Harris è stata la prima vicepresidente a discendere nell’intricata matassa degli affari internazionali.
Allorché la Harris fu vagliata da Joe Biden come sua conpartitica alleata nella labile corsa elettorale pressappoco 4 anni or sono, ciò rappresentava una nota dolente nel suo curriculum vitae: la sua carriera di senatrice americana, di procuratrice generale californiana e di procuratrice distrettuale sanfranciscana non ha corredato il mandato di Biden di alcuna perizia politica ragguardevole negli affari internazionali. Oggi, bensì, tutto si è stravolto: tutto si è metamorfosato in precipuo vantaggio per il tandem 2024 Biden-Harris.
Qualche tempo or sono, la Harris ha impersonificato la leader a stelle e strisce per il terzo anno consecutivo alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, in Germania. La sua prima visitazione, nel febbraio 2022, fu per lei come “noviziare” al nuoto balzando a strapiombo direttamente nella tumultuosa dolcezza dell’impervia crema geopolitica. In quei giorni le truppe russe e i carri armati si appropinquavano ai confini ucraini e, in quella contingenza di 4 giorni prima antecedenti all'invasione russa, la Harris intoppò per la prima volta il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
All’opposto, quest’anno a Monaco, ella ha presieduto una conferenza stampa congiunta con Zelensky, giubilando “urbe et orbi” che da allora “Kiev è libera e forte”. Nella sua orazione pubblica quale conferenziera, ha dissertato una cospicua ed edotta difesa riguardante l’impegno globale degli Stati Uniti, rimarcando la precipua rilevanza dell’alleanza euro-atlantica. La Harris non figurava più come un’esordiente novizia, bensì in guisa di scaltrita guida politica nell’agiato gotha dei leader mondiali.
Tra l’uno e l’altro del cronoprogramma conferenziale, la vicepresidente ha partecipato ad un abboccamento di affari geopolitici privati in sincrono con il presidente di Israele, Isaac Herzog: ella ha interpellato il rilascio di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas a Gaza in concomitanza con una duratura sospensione bellica che ad oggi ha ormai cagionato pressocché 30.000 morti e una gravosa crisi umanitaria. Ulteriormente, ha incrociato il Primo Ministro iracheno Mohammed Shia al-Sudani, esortandolo ad operare più alacremente per salvaguardare le forze statunitensi stanziate nel paese dall'attacco dei militanti filoiraniani. La Harris non avrebbe esteso l'autorità e l’autorevolezza che possiede ora allorché interloquiva con i predetti leader riguardo alle difficoltose problematiche di inizio mandato. Le ha apprese dopo pressappoco 16 viaggi intercontinentali all'estero come vice-Biden. Come se non bastasse, ha tenuto partite diplomatiche con panoplici e difformi giocatori: li ha valutati e vagliati singolarmente.
Non è inconsueto che i leader internazionali che si presentano a Washington per intervenire con Biden ora si adunino in separata sede anche con la Harris. Tuttavia, data la decennale accortezza di Biden e come senatore, e come vicepresidente obamiano, non sorge nessun dilemma su chi possieda tangibilmente il “diritto di prelazione” in relazione alla politica estera in questa amministrazione. Ciononostante, la Harris è in grado di intervenire quando richiesto.
Il binomio elettorale Biden-Harris dovrebbe rintuzzare con saldezza gli “improperi” politici di ceffi quali Nikki Haley, la candidata del Partito Repubblicano: per mesi ella si è adoperata nell’ammantare la caratterizzazione politica della Harris in veste di “innavigata politicante”. Da qui ne consegue che la strategica implementazione di una contro-campagna elettorale in itinere per gli States ha ringalluzzito i fedeli votanti Dem, anche in questioni cruciali quali aborto, diritto di voto et similia.
E Biden ha professato una propizia direzione, generando quell’intercapedine per la Harris, ovvero: un interstizio portatore di esposizione e sperimentazione di cui ella abbisognerebbe se, Dio ce ne scampi, Joe divenisse “cerebralmente insano” per servire la “Terra delle Opportunità”.
Con la Harris quale inopinata neo-comandante in capo, in piena congiuntura geopolitica infestata da guerra in Ucraina, guerra a Gaza, quasi-guerra della Cina su Taiwan, dell’incombente minaccia russa sull’Europa, tra l’una e le altre, i Repubblicani giocano ad Hide’n’Seek (nascondino, ndr). Si palesano copiosi accadimenti che potrebbero farci rabbrividire, ma il pensiero di una neo-Presidente di nome Kamala Harris non è uno di questi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA