In Italia, vi è un parlamentare, leader (oggi si fanno chiamare così) di partito, che confonde il ruolo istituzionale con quello di "influencer". 

L'influencer "politico", ogni ora dai propri canali social, bacchetta i suoi avversari, dipinti come nemici, per cercare di aumentare il proprio consenso, promuovendosi come baluardo e promotore non solo di tutto ciò che è buono e giusto per gli italiani, ma anche di tutto ciò che è buono e giusto in genere. Infatti, da un po' di tempo, è impegnato, ad esempio, a sostenere campagne a favore del rispetto dei diritti umani.

Campagne che però iniziano e terminano in Cina. Giustamente, denuncia la repressione del governo locale (telecomandato da Pechino) contro le proteste degli studenti ad Hong Kong o quella esercitata direttamente da Pechino sulla minoranza turcofona degli uiguri.

Il paladino dei diritti umani però non sembra interessarsi al regime di apartheid di Israele, ai diritti dei migranti, alle violenze della polizia sugli afro-americani, all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, alla repressione del governo di Mosca nei confronti di chi protesta contro Putin...

L'influencer politico urla dalle sue pagine vergogna ai suoi nemici che, secondo lui, di volta in volta sarebbero stati sbugiardati, umiliati asfaltati... perché avrebbero sbagliato, perché si sarebbero contraddetti, perché non sarebbero stati coerenti.

Quello che però non si riesce a comprendere è perché il nostro eroe debba condannare la repressione in Cina, mentre si dimentica di condannare quella in Russia?

Perché oggi non ha detto niente degli arresti voluti da Putin contro manifestanti pacifici che hanno invaso le strade di decine di città russe?


Matteo Salvini non ce lo fa sapere.