Vitelloni, pasoliniani, ladri di biciclette? Nessuno di loro, seppure anch'essi giocarono un ruolo d'ispirazione nel genere che stiamo per trattare. La vera domanda in attinenza è: può un deltaplano partir dalla Valtellina per cercare il mare? Può, basta non ascoltare le raccomandazioni di mamma e fermarsi a Milano (Il Volatore d'aquiloni - Renato Pozzetto, 1987).

Perché dopo il poetico paradosso de "l'età nobile che contemplava il proletariato", le pretese di spiegar la società cedettero il passo ai pretesti per sorrider sui vizi e le virtù: nacque così la commedia italiana. Se poi ci si mette addirittura un guru dell'innovazione cinematografica internazionale a contemplare il fenomeno, ecco che l'aver cavalcato tre decenni e mezzo acquisisce una nota di colore in più. Quentin Tarantino, infatti, tra una volta e l'altra in cui ha espresso il suo apprezzamento nei confronti di Lino Banfi, definì l'attore pugliese "un grandissimo comico, un'icona formidabile del cinema italiano" (citando testualmente).

Le parole del regista americano potrebbero lasciare anche il tempo che trovano, ma strappando sicuramente un sorriso che si aggiunge ai tanti che Pasquale Zagaria (icona di quel filone) già aveva regalato al pubblico. Siamo alla fine degli anni '60, e il cinema italiano d'autore dovrà ancora pazientare prima d'essere riconosciuto e valorizzato a posteriori. In un'Italia dal proletariato attivista e dalla borghesia fin troppo disimpegnata, fra "musicarelli" e neo realismo, la cinematografia piange la scomparsa del suo figlio prediletto: il principe  Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, in arte "Totò".

La comicità, orfana di lui, arranca con le battute insipide dei Walter Chiari e Renato Rascel di turno, con quell'umorismo da definire facilmente "formato famiglia": privo di satira, fatto di smorfie e tormentoni, soggetto alla censura, un po' come a idealizzare uno "Zelig" dell'epoca. In quel contesto sociale e culturale però, ecco che i quattro mattatori della risata si erano già silenziosamente affermati. Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Nino Manfredi, facevano infatti i conti già da anni con quelle platee abituate a divertirsi troppo facilmente per poter "rider seriamente".

Era necessario però che il '68 facesse il suo corso rivoluzionario prima che si potesse superare "L'impossibilità di essere normale" (Getting Straight, film statunitense del 1970 ambientato proprio due anni prima nel clima universitario che rappresentò la chiave di volta per la società a venire). Nel 1969, infatti, esce "Dove vai tutta nuda?" di Pasquale Festa Campanile, con Maria Grazia Buccella, Tomas Milian, Gastone Moschin, e la partecipazione di Vittorio Gassman. Il film non è pretenzioso, ma neanche demenziale.

Sdogana comunque il perbenismo in cui la società media dell'epoca sguazzava, seppur a livello macchiettistico da cui non si può trascendere per l'epoca. Erotismo, omosessualità, frustrazione sociale, ad evidenziare (più o meno volontariamente) quanto sia giusto per l'individuo ambire alla propria felicità.

Il resto è teoria del piano inclinato: "Per amare Ofelia", "il Padrone e l'Operaio", "Fantozzi"; passando dalle commedie semi-erotiche con Edwige Fenech e/o Barbara Bouchet, considerando le gemme di Carlo Verdone supervisionate (e talvolta prodotte) da Sergio Leone.

Impossibile non citare anche le opere di Pasquale Squitieri e i polizzioteschi con Maurizio Merli, che non facevan certo ridere ma comunque arricchivano la generazione. Arriva così l'età della maturità, il pieno degli anni '80: i film a episodi pian piano si accantonano, e si passa a storie intrecciate con cast che prevedevano la presenza contemporanea di una moltitudine di mattatori all'apice della carriera; si sperimenta il duo comico, facendo coesistere meravigliosamente due galli nello stesso campo.

E poi la musica: Enzo Jannacci, Totò Savio, Detto Mariano, Carlo Rustichelli; il filone no sense (che comunque un senso ce l'aveva) e colonne sonore sempre distinguibili. Registi come Mario Monicelli , Luciano Salce, Sergio Matino, Enrico Oldoini, Pietro Germi, Castellano & Pipolo, e Steno a far da ponte dalla satira di "Totò a Colori" fino a sensibilizzar il problema dell'omofobia ne "La Patata Bollente".

Quel che resta oggi è l'amarezza del fatto che "Il Vizietto" e "Nessuno è perfetto" facciano ancora riflettere; oggi restano comici retorici che elencano un'infinità di luoghi comuni sul paesino di provincia che rigetta il sindaco onesto; oggi interessa solo mettere il "comico spalla" giusto del nord accanto alla macchietta inadeguata del sud; oggi che Aldo, Giovanni e Giacomo fortunatamente resistono, e mentre Checco Zalone plagia "Il Bi e il Ba" con Nino Frassica e "Mollo Tutto" con Pozzetto.

La commedia italiana comincia con il poetico finale dell'adattamento cinematografico di "Oh, Serafina!" alla liberazione degli uccellini; prova a muoversi verso il XXI secolo con "Ricky & Barabba" che sfrecciano via sulla Testa Rossa; si conclude con il piccolo Silvio che, all'ultima scena di "Anche i commercialisti hanno un'anima", riprende a parlare e dice a Enrico Montesano "Gol!".

Tentativi di seguiti in chiave "amarcord" sono stati accolti in simpatia, ma non hanno restituito nulla. La nostalgia si mescola alla contrarietà, in ultimo, evidenziando un esempio sul perché quell'epoca è conclusa: una società bigotta, che già si preparava al politically correct, ha precluso tanta scenica presenza all'immenso Leopoldo Mastelloni.

Generazione artistica d'irripetibili. Dedicato alla memoria di Giorgio Porcaro, Ernst Thole, Adolfo Celi, Lino Toffolo, Francesco Sergianni Caracciolo, Michel Serrault, Laura Antonelli, Massimo Troisi, Monica Scattini, Oreste Lionello, Paolo Villaggio, e a tutti loro con cui si ride ancora.