Come cittadina che ha potuto osservare negli anni il susseguirsi degli eventi e delle trasformazioni nella società italiana, al di là delle sentenze, delle inchieste parlamentari e delle campagne mediatiche più o meno devianti, sto assistendo alla realizzazione del programma della loggia P2. La struttura della loggia P2 si era fin troppo ben radicata nelle istituzioni perché una legge potesse disattivarla. Le concatenazioni di interessi e di obiettivi comuni tra i consociati furono e sono tutt'ora condivisi e garantiti da occulti patti scellerati sconosciuti alla collettività.
La Commissione parlamentare analizzò con cura il fenomeno perché risultava un punto di riferimento in Italia per i servizi segreti americani che hanno operato con l’intento di controllare e pilotare la vita politica italiana spingendosi, se necessario, a promuovere riforme costituzionali ad hoc o organizzare un colpo di Stato. La commissione concluse i lavori nel 1984 e presentò sei relazioni al Parlamento i cui contenuti, con il tempo, sono caduti nell’oblio cancellando una terribile esperienza dalla memoria collettiva: oggi nessuno collega quanto sta avvenendo con il programma di rinascita della P2.
Anche la Commissione stragi si occupò della famigerata loggia ma tutti furono assolti con formula piena dall’accusa di “complotto ai danni dello Stato” con sentenze di primo e secondo grado – 1994 e 1996 – dal Tribunale di Roma, il ben noto “porto delle nebbie”.
Tra i 962 iscritti vi erano politici, imprenditori, avvocati, dirigenti di imprese ma soprattutto membri delle Forze armate, dei servizi segreti italiani perfino Michele Sindona. Penso che quella lista era solo un’appendice di un fenomeno ben più vasto e grave, fu lo stesso Gelli in una intervista rilasciata nel 1976 ad affermare che la lista non era completa.
Il 29 maggio 1977 il settimanale L'Espresso scrisse: “Loggia P2... È il nucleo più compatto e poderoso della massoneria di Palazzo Giustiniani: ha 2400 iscritti, la crema della finanza, della burocrazia, delle Forze Armate, dei boiardi di Stato, schedati in un archivio in codice... Gelli, interlocutore abituale delle più alte cariche dello Stato (si vede spesso con Andreotti ed è ricevuto al Quirinale), è ascoltato consigliere dei vertici delle Forze Armate, con amici fidati e devoti nella magistratura”.
Proprio i nomi di quelle liste dovevano farci preoccupare invece!
Basta leggere gli iscritti appartenenti ai servizi segreti per renderci conto in che mani stavamo infatti compaiono non solo i vertici di nomina politica come Vito Miceli, capo del SIOS e successivamente direttore del SID; Giuseppe Santovito del SISMI; Walter Pelosi del CESIS e Giulio Grassini del SISDE ma anche i dirigenti militari più importanti come il generale Giovanni Allavena - responsabile dei fascicoli SIFAR -; il colonnello Giovanni Minerva – si occupò del delicato caso dell'aereo militare Argo 16 e considerato uno degli uomini più importanti dell'intero Servizio militare del dopoguerra - e il generale Gianadelio Maletti, che con il capitano Antonio Labruna, anch'egli iscritto, fu sospettato di collusioni con le cellule eversive di Franco Freda e per questo processato e condannato per favoreggiamento.
Nel caso del rapimento di Aldo Moro, molti iscritti alla loggia P2 ebbero un ruolo attivo nella vicenda che si concluse con l’uccisione dello statista democristiano.
Tutte le inchieste e i processi si sono conclusi con scarsi risultati e soprattutto nessuno ha saputo rispondere ad una semplice domanda: per chi ha lavorato Licio Gelli?
La loggia fu sciolta nel 1982 ma concordo con ciò che ha dichiarato Luciano Violante, Presidente della Commissione Antimafia:
“La P2 è stata sciolta da una legge, ma può essere sopravvissuto il suo sistema di relazioni politiche, finanziarie e criminali (…) Quanto al dottor Berlusconi, il suo interventismo attuale è sintomo della reazione di una parte del vecchio regime che, avendo accumulato ricchezza e potere negli anni Ottanta, pretende di continuare a condizionare la vita politica anche negli anni Novanta.”
Una legge e tutte le sentenze non possono cancellare fenomeni simili perché non rimuovono le cause che li determinano.
È interessante approfondire l’argomento ponendo attenzione ai rapporti intercorsi tra Gelli & C e le istituzioni nazionali ed internazionali, solo così ci si può rendere conto che la “storia” continua. Il giudice Colombo dichiarò che, se l'inchiesta fosse rimasta a Milano, Tangentopoli sarebbe scoppiata un decennio prima, data la mole di informazioni presenti nelle carte di Gelli. I giudici milanesi, dopo che furono sequestrati alcuni documenti alla figlia di Gelli si resero subito conto che nel Paese si era radicata un’organizzazione che aveva l’obiettivo di impadronirsi dello Stato attraverso le affiliazioni massoniche di personaggi molti già inseriti ai vertici delle istituzioni. Il “Piano di rinascita democratica” conteneva uno programma per l’occupazione dei settori chiave dello Stato da parte dei membri appartenenti alla loggia con tanto di bilancio preventivo dei costi per tale operazione, testualmente: “La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo”.
Il modello che Gelli voleva imporre al popolo italiano era un “democratico” ritorno all’autoritarismo. Il “Programma di rinascita democratica” prevedeva percorsi sociali selettivi e un’impostazione classista della comunità nazionale; politicamente la rappresentanza popolare veniva concentrata in due partiti; porre la magistratura italiana sotto il controllo del potere esecutivo, separare le carriere dei magistrati; superare il bicameralismo perfetto e ridurre numero dei parlamentari; abolire le province; rompere l'unità sindacale e riformare il mercato del lavoro; porre sotto controllo i mezzi di comunicazione di massa; trasformare le università in Italia in fondazioni di diritto privato; abolire la validità legale dei titoli di studio; adottare una politica repressiva contro la piccola delinquenza e avversari politici. Il “Piano” prevedeva il reclutamento di persone nei principali partiti in cambio avrebbero ottenuto il “predominio” (testuale) sulle proprie organizzazioni; ad esempio nei documenti vengono riportati alcuni nomi - per il PSI Mancini, Mariani e Craxi; per il PRI: Visentini e Bandiera; per il PSDI: Orlandi e Amidei; per la DC: Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia; per il PLI: Cottone e Quilleri; per la Destra Nazionale (eventualmente): Covelli, mentre i giornalisti affiliati avrebbero dovuto “simpatizzare” per gli uomini segnalati dalla loggia. Una parte dei politici indicati avrebbero avuto poi ruoli di primo piano nei loro partiti e nell'esecutivo, tali personalità erano però considerate “da reclutare”, tuttavia non è mai stato appurato se Gelli abbia avuto contatto con loro per il perseguimento degli obiettivi della P2.
Licio Gelli affermò che: “Il vero potere risiede nelle mani dei detentori dei mass media.” Lo sanno bene gli americani che impediscono agli editori di intraprendere una carriera politica mentre in Italia la situazione è a dir poco scandalosa.
Per renderci conto dei radicali cambiamenti che si sono verificati all’interno dei mass media italiani alla fine degli anni ’70 occorre parlare della scalata al Corriere della Sera che rappresentava il quotidiano nazionale più diffuso e autorevole. Fu un’operazione targata P2.
Licio Gelli fu affiancato dal suo diretto collaboratore Umberto Ortolani, dal banchiere Roberto Calvi, dall'imprenditore Eugenio Cefis e dalle casse dello IOR, l'Istituto per le Opere di Religione. Furono individuati come acquirenti–editori i Rizzoli infatti Andrea e il figlio Angelo, acquistarono la proprietà del Corriere di propria iniziativa da Giulia Maria Crespi, Gianni Agnelli e Angelo Moratti, per ritrovarsi subito dopo sotto una montagna di debiti.
Bruno Tassan Din, direttore amministrativo del giornale, a suo tempo dichiarò: “La Rizzoli fatturava 60 miliardi di lire l'anno ed altrettanti ne fatturava il Corriere: quindi la Rizzoli aveva acquistato un'unità grande come la Rizzoli facendo tra l'altro un debito a breve termine senza avere programmato e pianificato un eventuale ricorso al medio termine”.
E qui emerge la trappola P2. Angelo Rizzoli spiegò che: “ (..) per ottenere finanziamenti dei quali il nostro gruppo aveva bisogno l'unica strada praticabile era quella di rivolgerci all'Ortolani” e che quando:” (…) qualche volta tentavamo di ottenere finanziamenti senza passare attraverso l'Ortolani ed il Gelli ci veniva immancabilmente risposto di no”.
Successivamente Andrea si ritirò a vita privata e rimase a guidare il gruppo il figlio Angelo, il cui braccio destro Bruno Tassan Din gli presentò Gelli e Ortolani.
I Rizzoli, sostenuti finanziariamente da Eugenio Cefis (secondo la ricostruzione di Alberto Mazzuca i Rizzoli non furono sostenuti da Eugenio Cefis), nel 1974 si decisero quindi per l'acquisto, ma si resero conto ben presto che l'operazione si sarebbe rivelata molto più onerosa di quello che si aspettavano. I Rizzoli quindi si misero alla ricerca di altri fondi presso le banche italiane, inconsapevoli del fatto che molte erano presiedute o dirette da affiliati della P2, e che quindi la decisione di conceder loro nuovi liquidi era condizionata dal parere di Gelli. Non vedendo altre vie di uscita, nel luglio 1977 si appellarono al capo piduista: a quel punto entrò in scena Roberto Calvi, che aveva rapporti con lo IOR, e che grazie all'intermediazione di Gelli era entrato nell'operazione per rilevare il Corriere della Sera. Si è affermato che il pacchetto azionario, pagato 200 miliardi di lire, ne valesse al massimo 60. La concessione di nuovi fondi, provenienti dallo IOR, rese i Rizzoli sempre più indebitati nei confronti della P2 ed economicamente deboli. In questo modo non fu difficile far passare il controllo della casa editrice al sistema Gelli-Calvi-IOR.
Licio Gelli ottenne il suo primo obiettivo: inserire nei posti chiave della Rizzoli i suoi uomini, uno su tutti Franco Di Bella alla direzione del Corriere della Sera al posto di Piero Ottone. Il controllo del quotidiano dava alla P2 un'enorme influenza e possibilità di manovra.
Poteva condizionare ai propri voleri la condotta dei politici, ai quali l'adesione all'area piduista era ripagata con articoli e interviste compiacenti che garantivano visibilità presso l'opinione pubblica.
Poteva inserire nell'organico del quotidiano personaggi affiliati alla loggia, come Maurizio Costanzo, Silvio Berlusconi, Fabrizio Trecca, con l'ovvio intento di pubblicare articoli graditi alle alte sfere della P2.
Poteva infine censurare giornalisti, come capitò a Enzo Biagi, che sarebbe dovuto partire come corrispondente per l'Argentina, governata da una giunta militare golpista.
Nel 1977 la P2 spinse i Rizzoli verso l'acquisizione di molti altri quotidiani: Il Piccolo di Trieste, il Giornale di Sicilia di Palermo, l'Alto Adige di Bolzano e La Gazzetta dello Sport. Nel 1978 fu fondato un nuovo quotidiano locale: L'Eco di Padova: la casa editrice entrò nella proprietà de Il Lavoro di Genova e finanziò L'Adige di Trento. Nello stesso anno Andrea lasciò il gruppo al figlio Angelo e si ritirò a vita privata. Nel 1979 la Rizzoli portò la propria quota azionaria del periodico TV Sorrisi e Canzoni al 52%, ottenendone il controllo. Infine fu fondato L'Occhio, con Maurizio Costanzo come direttore.
Secondo il piduista Antonio Buono, magistrato già presidente del Tribunale di Forlì, e collaboratore del Giornale nuovo, nel corso di un incontro a Cesena Gelli lo avrebbe informato del progetto di creare una catena di testate, nell'ambito della Rizzoli, in funzione antimarxista e anticomunista, e si sarebbe dovuta creare anche, nell'ambito di questo progetto, un'agenzia di informazione – alternativa all'ANSA – che avrebbe trasmesso le veline ai vari direttori di questi giornali associati. Nell'occasione Gelli incaricò Buono di coinvolgere il direttore de il Giornale che, a suo dire, aveva un grande ascendente su Indro Montanelli per persuaderlo ad aderire alla P2.
Il tentativo con Montanelli fallì ma due personaggi in contatto con gli ambienti massonici diventarono collaboratori del Giornale nuovo: lo stesso Buono e Michael Ledeen, legato a CIA, SISMI e alla stessa P2.
Una volta scoppiato lo scandalo, le ripercussioni sul gruppo Rizzoli furono enormi: il Corriere della Sera ne uscì screditato, dal 1981 al 1983 perse 100 000 copie. Giornalisti come Enzo Biagi, Alberto Ronchey e Gaetano Scardocchia lasciarono la testata. Franco Di Bella lasciò la direzione il 13 giugno e venne sostituito da Alberto Cavallari. L'Occhio e il Corriere d'Informazione chiusero, mentre Il Piccolo, l'Alto Adige e Il Lavoro furono ceduti. Angelo Rizzoli e il direttore generale della casa editrice, Bruno Tassan Din - entrambi affiliati alla loggia – il 4 febbraio 1983 ricevettero un mandato d'arresto e il gruppo fu messo in amministrazione controllata.
Rileggendo la documentazione che comprende articoli, dichiarazioni e opinioni di persone che hanno vissuto intellettualmente questo fenomeno si ha l’impressione di un profondo distacco dalla realtà che accompagna i comuni mortali.
La pericolosità e la diffusione capillare a livello istituzionale di questo particolare fenomeno sono stati sottovalutati proprio perché trattati da persone che potevano essere collegate alla loggia.
La chiave di lettura autentica si può avere solo consultando la documentazione originale (che spesso è negata ai cittadini), da una osservazione dei mutamenti che si sono verificati e dalle innovazioni che i recenti governi stanno perseguendo. L’organizzazione della P2 non è scomparsa, agisce alla luce del sole se ne può accorgere solo chi si scontra con gli interessi dei suoi affiliati: fin quando persiste una mentalità simile ogni individualità è in pericolo, le sigle cambiano ma non la volontà di dominare e sfruttare che rimane immutata. La democrazia si affermerebbe se ci fosse tra i cittadini la reale condivisione di obbiettivi comuni, le caste dominano perché hanno chiaro cosa vogliono e si spalleggiano.