Nel 1994, lo Stato italiano firma con Morgan Stanley, che opera tra l'altro come consulente per lo stesso Stato italiano, un accordo per disciplinare le procedure di eventuali contratti di investimento (derivati) da stipularsi per coprire il debito pubblico.

Sulla base di ciò, fino al 2012, sono state fatte operazioni che allo Stato italiano hanno finito per causare perdite quantificate in 4 miliardi.

La Corte dei Conti ha valutato quanto accaduto ed ha aperto un procedimento per danno all'erario. In relazione a tale procedimento, di cui la prima udienza è fissata per il 19 aprile come dichiarato in una conferenza stampa che si è tenuta il 30 marzo, Federconsumatori e Cgil hanno annunciato un "atto di intervento adesivo, che si affianca al ricorso proposto dalla procura generale del Lazio".

La Corte dei Conti ha chiamato in causa gli ex ministri dell'Economia Domenico Siniscalco (governo Berlusconi), Vittorio Grilli (governo Monti) ed i dirigenti del Tesoro Maria Cannata (non più in carica) e Vincenzo La Via, a cui richiede di risarcire un danno erariale di 1,2 miliardi, insieme alla banca d'affari Morgan Stanley, chiamata a rispondere di un danno pari a 2,7 miliardi.

Secondo quanto detto dal presidente di Federconsumatori Viafora, "nel 1994, con l'acquisto dei derivati da Morgan Stanley, già si configurava un forte conflitto di interessi. La banca era anche consulente del Tesoro!

Inoltre, [Morgan Stanley] non ha mai reso noti i rischi specifici dei derivati, al contrario si è riservata una clausola di rescissione unilaterale del contratto: clausola esercitata quando il Paese era più vulnerabile, nel 2011 dopo lo scoppio dello spread.

Allora il governo Berlusconi prima di dimettersi ha lasciato la polpetta avvelenata: non ha fatto niente per frenare le pretese di Morgan Stanley, sostenendo che una resistenza al pagamento poteva sfiduciare i mercati, teoria del tutto inconsistente.

La nostra azione (adesione al procedimento avviato dalla Corte dei Conti) è stata decisa perché rappresentiamo i cittadini italiani, coloro che pagano il debito, e perché ci sentiamo parte del presidio di legalità del Paese. Inoltre queste operazioni hanno ricadute sociali significative sulle fasce più deboli."

Inoltre, come ricordato durante la conferenza stampa del 30 marzo, il problema dei derivati esiste tuttora. "Attualmente i contratti derivati in essere - come dichiarato dall'avvocato Roberto D'Atri, incaricato del ricorso per Federconsumatori - compongono un capitale nozionale di 120 miliardi, con clausole di estinzione anticipata pari a 31 miliardi di euro.

Se per ipotesi tutti (riferito alle banche d'affari che hanno stipulato tali contratti) esercitassero la clausola nello stesso momento, lo Stato dovrebbe pagare l'equivalente di una Finanziaria.

In altre parole, è come fare la roulette con il debito pubblico. Ciò che stupisce veramente è che nel 2011 il governo italiano abbia consegnato i 4 miliardi a Morgan Stanley senza neanche discutere!"

Ed è in base a queste premesse che Cgil ha aderito al procedimento intentato dalla Corte dei Conti. Queste le parole del segretario Camusso: "Le nostre ragioni sono chiare: le scelte sbagliate di investimento, in termini di debito, determinano un costo per il Paese che si ritrova nelle Finanziarie e distoglie le risorse da dove c'è più bisogno.

Si tagliano pensioni e ammortizzatori, non si prevedono misure di contrasto alla crisi mentre si pagano i debiti finanziari contratti con le banche d'affari. Cifre alla mano, la manovra del 2017 sulle pensioni è costata meno dell'estinzione dei derivati con MS fatta dal governo Monti.

Il danno equivale all'universalità degli ammortizzatori, o piuttosto a un intervento per rendere più agevole il percorso delle pensioni invece che alzare l'età.

Di fondo c'è la questione dei rapporti tra le banche e gli esecutivi. Può Morgan Stanley essere consulente del ministero dell'Economia? Una discussione che si faceva all'inizio della crisi, ma che poi è svanita. Le priorità del governo non possono essere determinate dalle banche d'affari, che non rispondono certo agli interessi generali. Tra l'altro, i governi hanno dato indicazione di contrattare i derivati nelle amministrazioni locali, ma non a livello nazionale, un vero mistero.

Insomma, un esecutivo non può lanciarsi in azioni speculative sul debito pubblico. È un'attività che non si può esercitare, per giunta senza analisi dei rischi e assoldando come consulente colui che ti vende il prodotto. Ma, prima di questo, alla base resta il fatto che non si può fare. È una questione di buon governo. Il ricorso è particolarmente attuale perché la tendenza continua anche oggi: nessuno, al ministero dell'Economia, si occupa di ricontrattare i derivati, non c'è valutazione del rischio, ci si affida totalmente alle banche d'affari."