Il modo migliore per suicidarsi in Israele? Farsi ammazzare dalla polizia o dall'IDF. Non è complicato... specialmente per una donna.
Come fare? Basta vestirsi di nero, indossare un niqab e portare con sé una pistola giocattolo simile ad una vera arma. Poi è sufficiente recarsi ad un posto di blocco presidiato dall'esercito o dalla polizia, iniziare a correre al grido di Allahu akbar tenendo ben visibile l'arma... e il suicidio è assicurato. Chi vuol morire, in Israele, ha questa possibilità... oltretutto quasi infallibile.
Per scrupolo, l'autrice del gesto, Livnat Green, aveva chiesto a un'amica che cosa le sarebbe potuto accadere se le avessero sparato alle gambe e l'avessero poi scoperta. Sarebbe potuta finire in prigione? E se sì per quanto tempo?
Una conversazione WhatsApp come un'altra... a cui l'amica non aveva dato peso, cambiando però idea quando qualche giorno dopo le è arrivato un messaggio dove Livnat era vestita di nero con un niqab e una pistola in mano, a cui ne era seguito un altro che la ritraeva su di un autobus. L'amica ha avvertito la polizia spiegando cosa stava per accadere. La polizia sembra abbia cercato di allertare le varie pattuglie ai valichi con tutta la Cisgiordania, ma senza successo.
Livnat Green si è presentata al valico di Metzadot Yehuda, e con una pistola da softair in bella mostra ha iniziato a correre verso i militari israeliani gridando "Allahu akbar". È stata uccisa all'istante.
Livnat Green era finita alla ribalta della cronaca israeliana circa tre anni fa dopo aver postato online una storia in cui raccontava di esser stata espulsa da un ostello di Beersheba con un minimo preavviso, 18 mesi dopo aver terminato il suo servizio militare obbligatorio nella polizia di frontiera. Per questo aveva deciso di mettersi in una tenda proprio di fronte al ministero del Welfare. Era il novembre del 2020.
Venuta alla ribalta la storia, Naftali Bennett, primo ministro nella precedente legislatura, la invitò a soggiornare a casa sua, dove rimase per alcuni giorni, aiutandola poi a trovare una sistemazione e un lavoro.
Ma il problema di cui soffriva (disturbo da stress post-traumatico dopo il servizio militare nella polizia di frontiera) Livnat non è riuscita a superarlo e ha deciso di porre fine alla sua vita suicidandosi nel modo sopra descritto.
La storia, oltre a ricordarci quanto drammatiche possano essere le conseguenze sulla psiche di esperienze traumatiche vissute, come combattimenti, violenza o situazioni di pericolo estremo, ci fa capire anche quanto sia facile morire (farsi ammazzare) in Israele.