C'è una protesta, nel mondo, di cui nessuno sembra interessarsi: è quella che da 3 giorni insanguina l'Iraq, dove finora sono morte 18 persone e centinaia sono i feriti in scontri di piazza tra manifestanti e forze di sicurezza.

L'Iraq è un Paese dove vivono 40 milioni persone. Prima c'è stata la guerra contro Saddam. Dopo la sua sconfitta, si è registrato uno stato di guerra permamente che progressivamente ha visto l'Isis imporsi come nemico principale da debellare. Anche l'Isis è stato poi sconfitto, ufficialmente due anni fa.

Nonostante l'Iraq adesso viva un periodo di pace e di supposta democrazia, gran parte dei suoi abitanti non ha però visto miglioramenti delle condizioni di vita, nonostante le ingenti riserve di greggio e gas di cui il Paese è ricco. Anzi, si può tranquillamente affermare che c'è stato un peggioramento rispetto al passato, in una nazione in cui le infrastrutture continuano ad essere distrutte e i posti di lavoro scarseggiano.

Coloro che, teoricamente, hanno una vita davanti a sé, i giovani, non sono più disposti ad aspettare, vedendo nella corruzione della classe politica l'ostacolo principale alle loro aspirazioni.

Da qui le proteste nelle principali città dell'Iraq, da Baghdad fino a quelle nel sud del Paese, centro della produzione del greggio iracheno, eppure anch'esso luogo dove sono presenti disoccupazione e carenza di servizi.

Anche se i centri a maggioranza sciita possono essere indicati come ispiratori della protesta contro il governo di Adel Abdul Mahdi, la sua estensione, che ha sicuramente sorpreso le forze di sicurezza, sono da attribuirsi principalmente alla mancanza di lavoro e alla carenza di servizi.

Anche un anno fa, a Bassora, circa 30 persone rimasero uccise in manifestazioni nate per gli stessi motivi per cui in Iraq si sta protestando dall'inizio della settimana.

Il governo Mahdi, che a Baghdad ha imposto il coprifuoco a tempo indeterminato, ha annunciato nuovi posti di lavoro per i laureati e ha dichiarato di aver incaricato il ministero del petrolio - oltre ad altri enti pubblici - di includere una quota del 50% di lavoratori iracheni nei prossimi contratti che verranno stipulati con le società straniere.

Tutto questo ad ulteriore testimonianza delle contraddizioni della globalizzazione e di quanto fosse ridicolo lo slogan che sosteneva l'intenzione di esportare la democrazia e con cui si è voluta giustificare, insieme alla menzogna delle armi di distruzione di massa di cui sarebbe stato in possesso Saddam, l'immotivata ed assurda guerra in Iraq.