Il Centro Studi di Confindustria, diretto da Luca Paolazzi, ha pubblicato ieri un rapporto sulla crescita economica globale e le influenze su quella italiana,  anche in base alle scelte politiche (internazionali) già verificatesi e quelle a venire. Tra queste, oltre alle prossime elezioni in alcuni importanti paesi europei, viene data grande importanza al referendum costituzionale di ottobre.

Qualche mese fa, Confindustria aveva rilasciato previsioni più che ottimistiche sul PIL italiano. Adesso, come puntualmente avviene ogni volta in cui si ha a che fare con i dati reali, gli ottimi risultati vengono rivisti al ribasso.

Il nuovo target per il PIL italiano nel 2016 è di +0,8% e di +0,6% nel 2017. Pertanto, anche se il CSC si è dimenticato di ricordarlo, tenendo conto del fatto che questi "risultati" sono acquisiti anche grazie a situazioni favorevoli dovute a condizioni esterne (Quantitative Easing, basso prezzo del greggio, cambi valutari), significa che la crescita economica non verrà percepita, se non marginalmente, né dalle famiglie, né dalle piccole imprese.

Perché questa improvvisa variazione nelle aspettative dei conti italiani? Per colpa della Brexit, ovvio. Anche se la Gran Bretagna non ha ancora chiesto formalmente di uscire dall'Europa, in base a quanto prevedono i trattati, e lo farà solo ad ottobre e solo da allora inizieranno le riunioni per discutere i nuovi accordi che entreranno in vigore gradualmente entro i successivi 24 mesi, gli effetti della Brexit, incredibilmente, saranno immediati per l'Italia già nel 2016 e leggermente più pesanti per il 2017 con una perdita di 81 mila unità di occupati, 154 euro di reddito pro-capite ed un aumento di 113 mila unità tra coloro che vengono definiti poveri.

Inoltre, nel suo rapporto, Confindustria ha tenuto anche a far presente quali potrebbero essere le ulteriori conseguenze per l'economia italiana  nel caso in cui ad ottobre gli italiani decidessero di votare no al referendum per convalidare o meno le modifiche alla Carta Costituzionale.

Secondo il direttore Paolazzi le conseguenze del “No” causerebbero come prima ipotesi il caos politico e come seconda ipotesi, da intepretare come diretta conseguenza della prima, si avrebbe un aumento dei rendimenti dei titoli sovrani (+300 punti il BTP decennale), diifficoltà a piazzare nelle aste i titoli di Stato, una fuga di capitali, il crollo della fiducia sia per le famiglie che per le imprese che si tradurrebbe con 1 punto percentuale in meno di propensione al consumo e la svalutazione del cambio dell’euro nel caso in cui i capitali escano dalla zona Euro. 

Tutto questo avrebbe poi i seguenti effetti su

PIL
-0,7% nel 2017, -1,2% nel 2018, +0,2% nel 2019;
-1,7% cumulato, contro +2,3% nello scenario base (-4 punti il divario).

Investimenti
-1,6% nel 2017, -7,0% nel 2018, -3,9% nel 2019;
-12,1% cumulato, contro +5,6% altrimenti atteso (-16,8% la differenza).

PIL pro-capite Poveri
-589 euro nel 2019. +430 mila nel 2019.

Occupazione
-258 mila unità nel 2017-2019, contro +319 mila altrimenti attese (quasi 600 mila unità la differenza).

Deficit pubblico
4,0% del PIL già nel 2018, mentre andrebbe sotto il 2% nello scenario base.

Debito pubblico
oltre il 144% del PIL nel 2019, contro il 131,9%.

In sostanza, se gli italiani voteranno no, conclude il rapporto, per l'economia italiana si aprirebbe una nuova recessione che andrebbe ad incidere su una "situazione già molto difficile, in cui una lenta risalita è iniziata da poco più di un anno e i livelli di reddito e occupazione sono ancora molto bassi".

Pertanto, secondo il Centro Studi di Confindustria, gli italiani non hanno scelta. L'esercizio democratico che si dovrebbe esprimere tramite il voto è subordinato alle conseguenze economiche della loro scelta. Quindi, gli italiani, sempre secondo il CSC, hanno solo la possibilità di votare Sì alla riforma costituzionale e non perché questa sia logica, sensata, portatrice di un miglioramento nella democrazia e nella rappresentatività, ma solo perché altrimenti sarebbe il caos.

Non è ben chiaro perché una riforma arruffata, pasticciata, addirittura incomprensibile per la lingua italiana in alcuni punti, e a detta dei più destinata ad essere oggetto di numerose riserve che interesseranno per mesi la Corte Costituzionale con le conseguenti incertezze su norme e procedure, senza dimenticare che dovrà essere riformata anche secondo i suoi stessi sostenitori, debba essere comunque approvata perché, in caso contrario, l'economia crollerebbe!

Se la nuova Costituzione non dovesse essere approvata, rimarrebbe l'attuale. Per quale motivo l'economia italiana  mantenendo l'attuale Costituzione possa sopravvivere fino ad ottobre e non dopo quella data, Paolazzi e il suo Centro Studi non hanno avuto la pazienza o la voglia di spiegarlo.

Mancano ancora tre mesi ad ottobre. Quello che ci riserverà il futuro non è da sapere, ma quello che ci riserverà la propaganda in merito al referendum costituzionale, ormai è più che evidente.