A chi importerà negli Stati Uniti un'auto fabbricata all'estero verrà applicata una tariffa doganale del 25%, un quarto del suo valore. Lo ha annunciato ieri il pazzo nazifascista che dallo scorso gennaio si è insediato alla Casa Bianca, Donald Trump. Un annuncio probabilmente dettato dalla necessità di sviare l'attenzione dalla clamorosa vicenda resa nota da The Atlantic: la discussione e l'anticipazione dei piani di un attacco militare su una app di messaggistica di uso comune.

Mentre l'amministrazione Trump difende le tariffe come strumento per rilanciare la base industriale nazionale, molti Paesi e analisti ricordano che i provvedimenti rischiano di aumentare i prezzi (inflazione), innescare una recessione, danneggiare le relazioni diplomatiche e indebolire (ulteriormente) il ruolo degli Stati Uniti a livello globale.  

Il ministero degli Esteri cinese ha condannato apertamente la decisione, definendola una violazione delle norme dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e un attacco al sistema multilaterale. "Non aiuterà a risolvere i problemi interni americani", ha sottolineato Pechino.  

In Asia, le borse hanno reagito immediatamente: in Giappone, dove oltre un quarto delle esportazioni verso gli USA dipende dal settore auto, i titoli di Toyota e Mazda hanno trainato il calo degli indici. In ribasso anche le quotazioni delle case automobilistiche sudcoreane e indiane, mentre negli Stati Uniti le azioni dei colossi integrati con Canada e Messico, come Ford e General Motors, hanno registrato perdite nelle contrattazioni pre-mercato.  Stellantis, questa mattina, è scivolato sotto il limite degli 11 euro: il titolo rispetto a un anno fa ha perso oltre metà del suo valore.

Si attendono, a breve, le risposte dei Paesi maggiormente colpiti. Tokyo, attraverso il primo ministro Shigeru Ishiba, ha dichiarato di valutare "tutte le opzioni", mentre la Corea del Sud promette un piano di emergenza entro aprile per sostenere un'industria già in difficoltà. Dal Brasile, il presidente Lula da Silva ha annunciato un reclamo formale al WTO contro le tasse sull'acciaio, segnando un fronte aggiuntivo di tensione.  

Intanto, non soddisfatto, Donald Trump alza la posta e su Truth, la sua piattaforma social, ha avvertito che se UE e Canada dovessero collaborare per "danneggiare economicamente" gli USA sarebbero entrambi colpiti con dazi "molto più elevati":

"Se l'Unione Europea collaborerà con il Canada per danneggiare economicamente gli Stati Uniti, verranno imposte tariffe su larga scala, molto più elevate di quelle attualmente previste, su entrambi, per proteggere il migliore amico che ciascuno di questi due Paesi abbia mai avuto!"

Una mossa che rischia di trasformare le dispute bilaterali in un conflitto globale.  

Trump difende la politica dei dazi come leva per aumentare le entrate, compensare i tagli fiscali e rivitalizzare un settore industriale in affanno. Tuttavia, gli esperti mettono in guardia: l'impatto immediato sarà l'aumento dei prezzi per i consumatori e un calo della domanda, con ripercussioni su un mercato, quello automobilistico, già fragile. Se da un lato l'obiettivo dichiarato è proteggere l'industria nazionale, il rischio concreto è un indebolimento della leadership USA, con alleati storici che, inevitabilmente, inizieranno a cercare nuovi partner. 

In un mondo sempre più interconnesso, la logica dei muri tariffari appare anacronistica. Ma mentre i leader globali si preparano a contrattaccare, la palla rimane al campo americano: fino a dove si spingerà questa sfida al multilateralismo?